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Musica

La Proxima Oxa

Chi ha detto che la paranoia è un male? Da quando crede agli alieni, nei dischi di Anna Oxa compaiono robe sperimentali assurde. Ascoltare per credere.

Anna Oxa, oltretutto, è una ricercatrice del suono, seguendo la sua esperienza nella capacità di identificare l’Unione della mente, dello spirito e del corpo ha raggiunto la comprensione della sensibilità di gestire il suono solo per comunicare l’amore verso il suo pubblico. Per questo è amata , perché chi ha avuto la percezione dell’amore che sa donare l’artista attraverso il suono della sua voce, della voce della sua anima si è reso conto che ha alzato il livello dimensionale, un livello minaccioso per il sistema delle lobby, delle massonerie che riconoscono un richiamo animico nella voce di Anna Oxa che sveglia la coscienza degli individui, quando invece tutto l’ordine mondiale, politico e religioso lavora per rendere i popoli umanoidi terrestri, per utilizzarli a trasformare l’economia virtuale in economia reale. Il potere naviga contro l’artista che opera per la Vita e per l’Amore della Vita.
(Dal sito ufficiale dell’ artista)

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È oramai assodato, il complottismo è una moda evergreen che supera il concetto di delirio: aprendosi di natura alle fantasticherie non è raro trovare personaggi del mondo dello spettacolo attratti da tale cultura, che danno pareri fantapolitici su terrorismo, poteri occulti e roba simile senza notare che stanno andando in orbita. Uno addirittura ce lo siamo trovato capo di partito, quando una volta era un comico Baudiano e faceva pure le reclame agli yogurt. Se aggiungete a ciò un uso compulsivo di internet a scopo promozionale, potete capire quanto la musica italiana ne sia affetta. Anna Oxa probabilmente è una sintesi di tutto questo: come già accennato qui e come da ultravisionarie dichiarazioni sopra, la Oxa e i suoi sbrocchi via youtube stanno facendo scuola da un po’di tempo.

D’altronde è sempre stata un bel tipetto, già da quando l’iconoclasta e polisessuato Ivan Cattaneo ne curava il look e Fossati le confezionava brani tipo "Fatelo con me" ode all’ onanismo e alle violenze feticiste nippo-style, anni prima del boom del genere. Quindi si, un’attitudine d’impatto, riottosa, punk e una voce potente e sanguigna infilata nella musica leggera italiana. Anche se il sangue di Oxa è in realtà per metà albanese, e come tale ribolle all’insegna della libertà più estrema quanto della vendetta più atroce (paradossale la sua parentela con Hoxa, il dittatore comunista reo di aver messo in ginocchio la terra dell’aquila bifronte). Fatto sta che, se nella sua produzione dobbiamo trovare un disco veramente libero, sperimentale e pieno di voli pindarici non è tanto da cercare nelle prime prove quanto (udite udite) in Proxima, del 2010.

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Come può essere? Probabilmente merito dei radicali cambiamenti interni al pop internazionale, in primis l’inaspettato successo di classifica di fenomeni quali Björk (che tra l’altro è da poco tornata in pista e casca a fagiolo), alla quale la Oxa fa sicuramente riferimento in virtù del suo coraggio, ma non solo: anche i mischiotti di Santigold e co. ci stanno dentro. In secondo luogo, l’età della cantante la porta finalmente a svelare i suoi ascolti impegnati, mentre come contentino alla casa discografica e ai fan conservatori c'è la presenza come autori di Pacifico e Fossati, anche se in questo caso i loro brani veri e propri sono marginali rispetto agli arrangiamenti. Insomma, Anna rilancia la sfida già partita con l’allucinato e pannelliano Processo A Me Stessa del 2006, quella di rimettere tutto in gioco e lasciarsi alle spalle le canzoni pret a porter. Sia chiaro: non è certo l’unica a tentare la björkizzazione della musica italiana, ma a differenza di una Elisa e di una Meg che nella loro emulazione imbarazzano, la Oxa è, ovviamente, un’anima in perenne guerriglia, e sfodera i suoi artigli balcanici fatti di montagne impervie e mari contaminati, laddove Björk evoca paesaggi di vallate, geyser e fiordi .

Partiamo quindi dal primo brano, opera di Fossati, che alla fine della fiera è il meno interessante. Si ok un brano radiofonico raffinato e “impegnato”, con qualche svisata metrica e la partecipazione dello stesso Fossati, ma sicuramente non rimane. Anzi, è uno specchietto per le allodole sanremesi che possiamo pure bellamente dimenticarci.

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Ma già nel secondo brano già le cose cambiano: “Ammesso Che Dio Esista “ già dal titolo mette i puntini su altre i. Le progressioni armonico melodiche sono meno rassicuranti, ci sono repentini splittaggi fra elettronico e acustico (e a volte l'ispirazione sembra arrivare da Alan Moulder) e chiaramente strizzate d’occhio al ritornello pop che anche se non eccelso è funzionale al saliscendi del pezzo con la Oxa a raggiungere tagli addizionali degni di Giuni Russo. Il testo anche è ruvido e duro “Se sapessi riconoscere quale Dio/si giocherebbe l’anima al posto mio/gli mostrerei il confine tra paura e dignità/e queste mani fradice di sangue e stenti “. Si parla di inferni quotidiani, di emarginazione rancorosa: insomma "Orphans" di Lydia Lunch in versione “leggera”

Il complottismo e il male di vivere continua con “Scarpe Con Suole Di Vento”, scritto dal leader degli Yo-Yo Mundi Paolo Archetti Maestri, dove Oxa fonda insieme Mina e l’R&B e sembra cantare col distorsore alla voce, sfruttandola sulle più ruvide tonalità in senso “etno”, come lamentazioni balcaniche. “Siamo schiavi “ è la prima frase del pezzo, l’ottimismo vola e neanche il refrain rockeggiante tranquillizza tant’è che verso i tre minuti c’è uno stacco abbastanza repentino, anticamera di un minaccioso disastro sonico che purtroppo però non arriva.

La mutazione continua: in “Apri Gli Occhi” un pianoforte riverberato apre la ballata di Pacifico, che trova la sua forza nell’arrangiamento: aperture di effettazzi, schitarrate, voci doppiate sulle basse e sgasamenti elettronici. Peccato che il ritornello sia brutto come pochi, ma è il prezzo da pagare per tenersi buoni i fan sanremesi.

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Poi infatti parte “Dopo La Neve”. Stavolta pacifico riesce a fare centro, o meglio: l’arrangiamento annulla fortunatamente l’autore. L’orchestra e relativo mood sembra proprio fregata a Björk con Marc Bell degli LFO periodo “Selmasongs” ma il resto sembra un Lavezzi riveduto e corretto, poi diventa jazz e miscela brutalmente elettronica e archi, con tanto di oscillatori e storture armonico melodiche. Il disco, per quanto mi riguarda, parte da questo brano: fra la voce e il resto è un gioiellino di dinamica.

Ed ecco qua il pezzo forte, “La differenza” che introduce con ghironde balcanizzate pizzicati di orchestra elettronici, clarinetti e roba distorta infilata e tolta qua e là (si notano tapping alla Reeves Gabrels). Il brano sembra una canzone albanese degli anni settanta rivista in chiave moderna e rock, una ricerca alle radici. E finale con inquietanti respiri in pitch per una storia d’amore sofferta, probabilmente a base di raki.

“Lodestar” parte con un cicalio di bambini e poi un macello di roba elettronica in reverse da Rinse.FM per una ballatona melodica col testo—purtroppo davvero pretenzioso—di Mara Redegheri degli Ustmamò. Il coro di ragazzini di solito è un espediente per quando non si hanno idee, ma qui almeno ricorda la Bertè di “Acqua” (e d’altronde come sappiamo anche i Daft Punk…), mentre il ritornello è degno della Oxa classica che tutti conosciamo. Un ibrido per una filastrocca fra la afro e gli zanzaroni di Timbaland. Poi ad una certa un casino vocale, cori, ragazzini che ciarlano ancora e finale mezzo truzzo. Può piacere o meno, ma di certo è una roba weirdo inspiegabile.

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Con “Haiku” il dialogo pianoforte voce e orchestra è centrale, la melodia è al cento percento Oxa, addirittura ricorda i primi dischi… Poi improvvisamente vira e diventa mezza elettronica. I ritornelli in questo disco sembrano i maggiori punti deboli, sempre per il già citato tentativo di mettere tutti d’accordo. Per il resto non si capisce un cazzo e questo ci piace.

“La Tigre” vede invece fra gli autori il tizio dei Baustelle, che può non stare simpatico ma quando scrive fa il suo lavoro. Quindi abbiamo un pezzo che scivola in movimenti , con arrangiamenti che vanno da staccati d’archi minimal, al tango, agli orchestra hit malati. La voce è filtrata dal vocoder, il ritornello o quello che ne rimane è fatto di flessuosi e dilatati vocalizzi che ci fanno capire quanto Oxa si sia persa in un trip che piacerebbe tanto ingoiare anche noi.

“Parole Al Mondo” invece nasce come un gorgo di batterie elettroniche al contrario, quasi autechriane. La voce di Oxa è effettatissima, la base piena di vuoti. “Sono suono, suono puro” e in effetti ci sono parecchie scuregge digitali, rumori, roba che pare Bolder. La fine si avvicina, il cantato di Oxa è un misto fra Mina e Björk, cosa che riesce (forse) a non far cadere tutto nel fastidio accompagna ovviamente un testo di delirante spiritualismo in cui Anna è convinta di essere un alieno.

Il disco finisce con “Pesi e Misure”, forse il migliore pezzo del disco, una stoccata elettronica che starebbe bene nel catalogo Tri Angle, ma anche un mischiozzo di clarinetti storti e programmazioni al limite. Qui Oxa non scimmiotta Björk ( giusto forse per l’andazzo ritmico alla “The Hunter”) e forse alla fine avrebbe fatto meglio a rimanere su frequenze che sono, in fondo, le sue. Ma è una che osa, non c’è dubbio.

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Infatti quando stai per dargli la sufficienza piena, il disco clamorosamente non termina lì: continua con una deflagrante ghost track di ben DODICI MINUTI in cui Oxa scorrazza in esperimenti vocali al limite della illbient o della roba tipo Blood Stereo, sfiorando anche Maya Raktje, la Galàs, Yoko Ono ecc, dandosi ai giochi di gola esquimesi, smaciullandosi le corde vocali tanto che si mangia senza meno tutte ‘ste tizie che oggigiorno vanno con la loopstation a fare i layers di se stesse. Le ficca in una elettronica squagliata e ipnotica con tanto di granulatori, che in pratica fa EP a parte. Sicuramente la cosa più allucinante che abbia mai prodotto Anna: solo per questo vince il nostro premio della critica.

Il disco ad ogni modo non andò male: raggiungerà ad esempio il quarto posto della classifica FMI e otterrà buone recensioni, ma subito dopo la Oxa smetterà di incidere. Non sembra che regga la storia complottista del “bavaglio” massonico, forse trattasi di normale crisi creativa? La nostra è tornata infatti a tour acustici dei suoi grandi successi, un classico per chi forse ha smarrito la bussola. Beh, ad Italian Folgorati ci auguriamo che possa presto misurarsi ancora con "frontiere oltrepassate” e ripartire da quegli ultimi dodici minuti. Poi se dica il vero o no, che importa? La sua follia parla per lei.

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