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Musica

Nicola Cruz ha trasformato il mondo in un dancefloor senza confini

Se oggi andiamo a serate dove balliamo sulla cumbia e sui flauti delle Ande è in buona parte merito di Nicola Cruz, che sta per arrivare con un live a Milano.
nicola cruz giove

"Mi chiedono un sacco come e perché ho inserito ibridazioni nella mia musica. Ogni volta che mi succede me lo chiedo, tipo, 'Come ci sono arrivato?' È che i suoni della tradizione sono ovunque, a Quito".

Così Nicola Cruz, francese di origine ecuadoriana, ha provato a spiegare a Remezcla la radice folk della sua musica elettronica - e non ce l'ha fatta veramente. È che quando facciamo interviste, noi giornalisti cerchiamo spunti interessanti per incuriosire voi che cliccate e quindi ci attacchiamo a ciò che, nella nostra mente, distingue un artista. Ma spesso non riusciamo a farci raccontare questo "qualcosa" perché, semplicemente, è una cosa che c'è.

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Uno degli sviluppi più interessanti del mercato musicale negli ultimi anni è stata la fine, almeno nella mente di chi scrive di musica, della supremazia culturale dell'Occidente sul resto del mondo. Man mano che i confini reali si sono fatti più spessi e difficili da attraversare, nel mondo delle note qua tra i giornalisti ci siamo messi a predicarne l'apertura più totale. Le abbiamo chiamate "ibridazioni", abbiamo cominciato a usare un sacco il termine "appropriazione culturale", abbiamo provato a parlare il più possibile di musica non Europea o Nordamericana.

La musica elettronica è stata quella che, almeno nella mia percezione, si è dimostrata più ricettiva a un discorso di questo tipo. Collettivi latini underground come NON hanno beneficiato di questo senso di attenzione generale nei confronti della loro tradizione; scene africane, come quelle costruite attorno alla gqom sudafricana o al mahraganat egiziano, si sono ritagliate spazi nel mercato europeo; il tutto mentre artisti affermati come Nicolas Jaar e DJ-esploratori come Awesome Tapes From Africa accompagnavano un pubblico più generalista verso il medesimo punto d'arrivo.

È grazie a questo clima che il mondo si è accorto di Nicola Cruz, nato a Limoges ma cresciuto a Quito da quando aveva 3 anni. Batterista da ragazzino, affascinato dai ritmi, Nicola si innamora di un disco di proto-hip-hop latino nelle cui percussioni si sente l'eco lontano di quelle che animano la sua musica oggi: Chaco degli argentini Illya Kuryaki & The Valderramas, una sorta di Sangue Misto pucciati in un brodo di bonghi, chitarre languide e trombette. Nel giro di qualche anno la batteria diventa un software per produrre e il suono delle strade di Quito scalza l'hip-hop dal podio dei gusti di Nicola.

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Il primo ad accorgersi di lui è proprio Nicolas Jaar, che nel 2012 ha già prodotto da un paio d'anni la traccia che più ha avvicinato le quasi-masse dell'elettronica quasi-erudita alla complessità culturale della musica sudamericana, cioè "Mi Mujer". Fondata un'etichetta, passo praticamente necessario nella carriera di ogni DJ e producer che si rispetti, Jaar assolda Cruz per una compilation e non solo gli ficca nelle carni il suo marchio d'approvazione, va anche a spianare la strada per la sua ascesa.

A cominciare dal suo album d'esordio, Jaar ha steso la pasta del suo suono verso forme sperimentali, strane e politiche, fedele alla ricerca del padre Alfredo. Così facendo ha lasciato a Cruz il compito di dissetare le gole arse di chi voleva solo lasciarsi attraversare dai fiati delle Ande, dai movimenti sussultanti delle cumbie, ma con il supporto di un'impalcatura elettronica downtempo che invitasse al ballo. Il suo esordio Prender El Alma, uscito nel 2015 per l'argentina ZZK Records, lo introduce al mondo nel migliore dei modi: è abbastanza accogliente da far prendere bene chi pensa che la "musica latino-americana" sia una singola cosa, ma al contempo è costruito da una persona che ben conosce la differenza tra un guiro e un cencerro.

I dischi di Cruz sono pieni di spunti perfetti perché i media li citino quando parlano di lui. Digging nei negozi di dischi dell'Ecuador, registrazioni di strumenti tradizionali campionate e rilavorate con l'elettronica, canzoni registrate in grotte artificiali. Più che lo yogurt, però, queste curiosità sono le praline che ci ficchi dentro per farlo mangiare ai bambini; il denso fluido bianco della musica di Cruz è la sua voglia di predicare la normalità del folklore.

Come ha dichiarato parlando del suo nuovo album Siku, "[la gente] si aspetta che arrivi sul palco con un poncho e un cappello di piume, che suoni tutte le canzoni che ho già messo su mille volte, come 'Colibria'. […] Per me si tratta solo di creare un bel misto, non ci ho mai pensato troppo". La sua musica suggerisce un continente, non lo predica, e così facendo sfida chi ne scrive a non soffermarsi troppo sulle implicazioni dei suoi pezzi. Invita, semplicemente, a chiudere gli occhi e immaginare una Quito personale in cui ambientare il flusso di suono che ci arriva nelle orecchie.

Nicola Cruz si esibirà in un live show a Milano il 21 febbraio ai Magazzini Generali, i biglietti sono già disponibili. Elia è su Instagram. Segui Noisey su Instagram, Twitter e Facebook.

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