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Musica

Chi è Santii?

Dopo aver distrutto a picconate il progetto M+A, Miki e Alex sono pronti a tornare con un nuovo progetto, Santii, e una visione completamente differente.
Fotografia di Mattia Guolo.

Incontro Miki e Alex pochi secondi dopo aver visto per la prima volta il video di "Outsider", che ora potete tranquillamente vedere anche voi e che troverete embeddato da qualche parte nel corso di questa intervista. Da ascoltatore quasi passivo del loro progetto precedente, gli M+A, erano circa tre anni che non avevo notizie di loro. Non sapevo cosa facessero, se facessero, perché facessero. Così è stata una sorta di sorpresa sapere che sarebbero tornati con un'altra pelle, con un singolo su cui canta il rapper irlandese Reijje Snow e che volevano spiegare il perché di questo cambiamento.

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M+A era più che un progetto, era un successo: rispetto all'interno dei confini nazionali, premi ed airplay dal Regno Unito, concerti in giro per il mondo, un nome riconoscibile a molti. Ricominciare da zero non è una scelta semplice, soprattutto se la materia sonora alla base del progetto cambia passando da un'elettronica vellutata e carezzevole a produzioni più diagonali e strambe. Dopo aver ascoltato “Dear Annie” per l’ennesima volta, essere salito in un ufficio, aver visto il video, mi accingo a parlare con loro.

Noisey: Leggendo il comunicato e vedendo il video, ho notato questa sorta di dicitura “stagione 01, episodio 01”, quindi innanzitutto volevo chiedervi da dove veniva l'idea di ripartire da zero con questa connotazione di serialità. Ripartite con un progetto nuovo e lo fate con una parvenza di continuità…
Alex: No ma non la vedrei come continuità, la vedrei come poliedricità.
Miki: L'idea era quella di fare una cosa molto easy, ma sostanzialmente di togliere la distanza tra band e disco. Quindi volevamo fare una cosa per cui ogni volta fosse una declinazione diversa in formati anche diversi, dal video al magazine, senza avere ogni volta l'annuncio Santii fanno il disco, che si chiama…
A: È come se fosse un percorso unico, un flusso.
M: Consapevoli che comunque dietro c'è un elemento di studio. Ci piacciono determinati artisti e quindi li vogliamo coinvolgere nel progetto. Ma di volta in volta potrebbero cambiare le modalità, i generi. Per quanto riguarda il cambio di nome, invece, era semplicemente che eravamo molto carichi per quello che avevamo fra le mani e non ci volevamo sentire troppo legati a una bolla di una band passata, che ci faceva molto paura. Quando avevamo proposto di cambiare nome tutti ci avevano detto di stare attenti, per termini di numeri, burocratici. Quindi, quando ci hanno messo in allerta, abbiamo capito che era la cosa che volevamo fare. Viene percepito come un cambio radicale, del tipo “oh mio dio cos'avete fatto?!”, ma sia in termini di numeri che poteva avere il vecchio progetto, sia in termini artistici non ci spaventa così tanto.
A: Poi non è stata mai una decisione a tavolino. Non è che siam partiti dicendo: ok, la roba vecchia ci ha stancato, facciamone una nuova. Ci sono state più o meno tre fasi, vissute nell'arco di questi tre anni. Inizialmente ci siamo messi a lavorare alla roba nuova degli M+A, poi andando avanti ci siamo resi conto che la roba nuova c'entrava poco con quella del passato, quindi abbiamo pensato per un po' di tempo di fare un side project. Infine più andava avanti la produzione artistica, più ci appassionava questo mondo che stavamo creando, e più abbiamo messo la pulce nell'orecchio alle persone con cui lavoravamo del cambio nome, più la risposta era “No, no, ma cosa fate, mi raccomando tenete tutto com'è”. E così quasi per gusto di distruggere ciò che hai costruito fino al giorno prima, quasi per rigetto dell'imposizione, abbiamo deciso di dar vita a qualcosa di completamente nuovo e centrale.
M: Anche l'idea di cancellare le tracce, in qualche modo, ci stuzzicava. L'idea che qualcosa possa non essere per sempre mi affascina.

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Quindi: vi trovate in mano una cosa completamente nuova, quasi per definizione in continua mutazione. C'è un fil rouge che lega quest'uscita—la prima—alle future uscite di Santii o l'idea è proprio essere un'incognita?
A: Il filo rosso siamo noi due. Per quanto noi cerchiamo di allontanarci da noi stessi, che è davvero qualcosa che inseguiamo, non riusciremo mai effettivamente a diventare un'altra cosa.
M: L'aspetto divertente è anche quella delle collaborazioni, un aspetto fondamentale di questo nuovo progetto. Il featuring è una sorta di medio per poter essere non totalmente me stesso, ma potermi ritrovare in una maniera diversa. Parte tutto dall'ospite, per così dire, e poi a noi tocca rielaborare qualcosa che non è nostro, quindi diventa per forza un elemento di novità.
A: Sì perché poi devi considerare che tutte queste collaborazioni non sono nate come: “Ho questa produzione, la mando a tizio, lui ci metterà la voce sopra”. Noi mandavamo tipo venti ruff da pochi secondi a un artista e lui da quello doveva scegliere ciò che gli piaceva.
M: Sì, la tracklist è stata praticamente decisa dai featuring.
A: Quindi è come se noi nella fase iniziale avessimo voluto intenzionalmente lavarci le mani dal prendere delle decisioni artistiche, per poi revisionare in maniera molto più estrema nel post.

Paradossalmente quindi ci possono essere dei ruff che a voi piacevano tantissimo ma che nessuno ha scelto?
A: Esatto.
M: Che poi alla lunga ci siamo accorti che la scelta esterna è stata quella più azzeccata. Un occhio terzo talvolta ti rende un filino più oggettivo, anche magari in maniera cinica. Se vivi inglobato in due è molto speculare, quindi non sempre è facile giudicarsi. Ma per quanto voi collaboriate da un sacco di anni, già il fatto di essere in due, per fare un passo indietro, non vi dà la possibilità di essere un po' meno voi stessi alla fine? Attraverso la conciliazione, intendo.
M: In realtà, per come lavoriamo, abbiamo un approccio al contempo simile, ma diversissimo, nonché molto eclettico. Per esempio in questo disco c'erano dei brani alla fine di generi completamente diversi fra di loro, erano delle intuizioni delle volte di generi che uno dei due aveva in testa. Considera che però, lavorando sempre in due, l'altro bene o male sa benissimo quello che hai in testa. Lui e io alla fine ci plasmiamo nel corso del tempo.

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L'artwork ufficiale di "Outsider".

Ma parliamo di ciò per cui siamo qui: il vostro primo “nuovo” brano, quello con Reijje Snow, che se vogliamo ha un percorso simile al vostro. A un certo punto si è fermato, nonostante l'hype, e non si sapeva se sarebbe tornato, quando lo avrebbe fatto, come lo avrebbe fatto… Com'è nata? Lui è stato il primo a cui avete pensato e/o mandato i ruff?
A: No, non è stato il primo. Però la cosa è nata in maniera molto informale: gli ho scritto io su Facebook, quando ancora doveva firmare per 300, quindi non era ancora esploso. Era già in fase di fermo dopo i singoli del 2013, ma era ancora in una sorta di limbo. Gli scrissi perché entrambi eravamo in piena per lui, proprio artisticamente. Lui ascoltò i brani, si prese bene, lavorò al pezzo, inteso come al ruff. Poi da lì, a quando è realmente andato in studio a completare il brano è passato un sacco di tempo, perché nel frattempo lui ha firmato il contratto, si è messo a lavorare a Dear Annie e alla fine il brano è stato uno degli ultimi a essere chiuso. È stato bello perché quando gli scrissi ebbi proprio un rapporto umano con lui, non mediato da nessun manager o simile. Alla fine noi abbiamo sempre cercato di collaborare con artisti che, oltre a convincerci artisticamente, potessero garantirci un confronto umano. Proprio per il fatto di lasciare all'ospite la responsabilità di scegliere il ruff.

Tornando al progetto, invece: quando parlate di creare vari media, cosa intendete? In questo caso l'uscita del brano è abbastanza classica: audio su Spotify e simili, qualche giorno dopo video su YouTube. Quali possono essere le declinazioni differenti?
M: No, le modalità di uscita sono quelle standard, ovviamente. Semplicemente non sono declinate come se ci fosse un preciso concept unico che lega il tutto. Per il resto le uscite sono quelle classiche del 2018.
A: Nel comunicato c'è scritto magazine, per esempio. Quell'idea nasce perché abbiamo una passione per il mondo grafico e in generale visivo. Per dirti: all'inizio avevamo l'intenzione di far uscire, con ogni traccia, un sedicesimo in tiratura limitata. Perché alla fine a me del vinile non frega un cazzo, mi provoca anche noia, invece qualcosa che ti accompagna nell'ascolto, un supporto visivo, mi sembra un plus. Se devo effettivamente abbattere degli alberi, li abbatto per un contenuto che ha senso e che ha un valore. Lui scrive molto, io faccio il grafico e quindi ho un sacco di materiale fermo, per cui l'idea nasce abbastanza naturalmente.

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L'intervista continua dopo il link, torna su a cliccarci sopra quando hai finito di leggerla:


E invece, vedendo il video di “Outsider”, partendo dalla scelta degli attori, fino ad arrivare a qualche riferimento esplicito all'Europa intesa come unione, mi chiedo se anche questo tema, che potremmo banalmente definire della “fratellanza”, non possa essere uno dei leitmotiv di ciò che uscirà d'ora in avanti. Oppure è qualcosa che rimane circoscritto qui?
M: Diciamo che la base del progetto e in parte dei feat non vuole mai essere troppo diretto, né didascalico. L'idea era di riuscire a tenere insieme il macro e il micro, senza perdere né l'uno né l'altro. Il video è strutturato così, sia nella parte iniziale, che nella parte più di ripresa dei corpi. Storicamente ho notato che ci sono due tendenze, una del macro che è il vuoto, e una del micro che è quasi del localismo, che fino a cinque o sei anni fa sarebbe sembrata ben inquadrata a livello politico. Quindi nella musica ci piaceva tenere insieme questi elementi che non fossero né spudoratamente europei, né che fosse spudoratamente hip hop americano, ma che fosse una miscela di questi due elementi senza perdere l'essenza di nessuno dei due.
A: Sì, diciamo che non siamo grandi fan dell'esplicitare i concetti, ma poi a un certo punto il tutto ci è sembrato necessario. Più che l'Europa di per sé, dunque, ci è chiaro il concetto di unione, di fare squadra, senza concentrarsi sul singolo. Da qui anche le tante collaborazioni. Anche l'idea di strutturare tutto in maniera così mutevole, credo sia la conseguenza della fruizione della musica oggi. È molto più difficile sottoporre a un pubblico il disco, piuttosto che proporre tanti brani a tante piccole fan-base, fatte di ascoltatori di playlist et similia, no?
A: In effetti è proprio così, non è un disco, è u più un flusso in cui io posso permettermi di cambiare molto e tu ti puoi permettere il lusso neanche ascoltare una determinata cosa se non fa per te, ma ascoltare il brano dopo, con la possibilità che sia il tuo brano. Questa cosa ti lascia molta libertà, ma a livello di marketing, rende anche molto difficile la creazione di una fanbase vera e propria. Però alla fine abbiamo accettato quest'idea, ci viene spontaneo farlo. Alla fine è il discorso di prima: anche se tu hai un tabacchino, intorno a te si crea una bolla. A un certo punto distruggere quella bolla, per prima cosa ti consente di capire con più lucidità cosa hai avuto tra le mani fino a ora.
M: L'approccio distruttivo è stato paradossalmente molto costruttivo. Per esempio l'approccio che avevamo alle voci era molto più eclettico, spesso in molti non riconoscevano la mia voce, perché a volte era super acuta, a volte molto pitchata, a volte senza effetti. Ecco, con Santii abbiamo deciso di dare un aspetto più familiare alle voci. Cambia anche l'approccio live?
M: È più bello! È più performance, continua anche qui la sperimentazione su di noi, abbiamo deciso di goderci l'esibizione, senza bisogno di dimostrare ciò che si sta facendo, ma con il solo scopo di divertirsi. Vedrai che storia, perché poi c'è anche una matrice MC che sarà molto divertente, non vedo l'ora.

Tommaso è su Instagram: @tom.hardee

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