Rejjie Snow ha trovato se stesso

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Musica

Rejjie Snow ha trovato se stesso

Il rapper irlandese ci ha raccontato dei cinque anni di battaglia con la propria identità e di come ‘Dear Annie’ rappresenti l'arrivo della maturità.
Ryan Bassil
London, GB
JL
foto di Jake Lewis
Giacomo Stefanini
traduzione di Giacomo Stefanini
Milan, IT

Sono le undici del mattino e sono seduto nel Tankard, un pub irlandese a pochi minuti da Elephant and Castle a Londra sud, sorseggiando una birra con gli altri bevitori diurni. È uno di quei locali pacchiani con i tavoli ricoperti da uno strato di lucido frutto di decenni di bevande rovesciate, i pulsanti della slot machine consumati e gli avventori abituali che si rovesciano il tabacco sui pantaloni mentre guardano le corse dei cavalli. Da un certo punto di vista è una location appropriata (anche se forse un po' inconsistente) per incontrare il rapper di Dublino Rejjie Snow; da un altro, è un errore: ha smesso di bere cinque mesi fa.

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“Ho passato una nottataccia ieri, sto cercando di riprendermi", spiega quando arriva, stringendo in mano un sacchetto di plastica blu del minimarket che di solito contiene latte di birra e invece questa volta contiene un frullato. È il giorno dopo i BRIT Awards e Rejjie è stato in giro fino alle 6 del mattino – non a far festa, più a rivedere vecchi amici. Nell'ultimo anno circa, si è mosso di continente in continente mentre scriveva il suo primo album Dear Annie, tra Los Angeles, New York, Parigi e Londra, dove condivide un appartamento poco distante da qui con uno sconosciuto con cui è entrato in contatto su Spare Room.

Come sapranno molti dei fan di Rejjie, Dear Annie era atteso da anni – quasi un lustro – prima di arrivare lo scorso febbraio con un'esplosione di colorato jazz e soul ("23"), raccontando storie di amore e lussuria (“Egyptian Luvr”) che suonano come se fossero state trasmesse da un giardino sopra le nuvole (“Spaceships”). Per quanto l'esistenza dell'album a volte sembrasse una trollata – un po' il debutto di Jay Electronica o il Detox di Dr Dre di questa generazione, di cui si è parlato tantissimo senza che fossero mai usciti – il vero motivo del ritardo è che il viaggio di Rejjie verso l'uscita di Dear Annie è stato pieno di morte, paura, distruzione e perdita, tutte cose che lo hanno finalmente portato a crescere come persona e a conoscere meglio se stesso.

I suoi fan della prima ora si ricorderanno di Rejjie quando si faceva chiamare Lecs Luther e del suo primo singolo “Dia Dhuit” uscito su YouTube nell'agosto del 2011. A questo seguirono varie offerte da etichette, oltre a video premiere su questo stesso sito, e un accordo con la agenzia di management di Elton John. A quei tempi, Rejjie aveva 18 anni e stava ancora cercando il suo posto nel mondo. O, per essere più espliciti, stava ancora cercando di capire cosa volesse dire essere un giovane uomo di colore in Irlanda. "Quando vivevo a Dublino era difficile essere me stesso. Ho problemi di identità per tutta la vita: c'erano tante cose che non potevo esprimere o sfogare al 100 percento", dice con il tono calmo e sicuro di una persona che sta bene con se stessa, che in sette anni è cresciuta molto.

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Da adolescente, che fosse guardando video di artisti americani su YouTube o facendo graffiti in giro per Dublino o tatuandosi o imparando a ballare la breakdance (andava a scuola di danza nei weekend e sa anche usare un paio di scarpe da tip tap in caso di bisogno), Rejjie voleva "essere qualcuno", solo che a quell'età a Dublino non era ben chiaro chi fosse questo "qualcuno". Soltanto quando si è trasferito a Londra qualche anno fa – una città multiculturale che è l'esatto opposto di Dublino – ha cominciato ha sentirsi "più se stesso". E poco dopo aver trovato casa, si è riversato nel mare della scena musicale londinese: facendo amicizia e freestyle con King Krule (che è presente, anche se non accreditato, su “The Wonderful World of Annie”) e scrivendo canzoni insieme a Loyle Carner e Jesse James Solomon.

Eppure era ancora giovane, poco più che ventenne, e lo stress di produrre un album era esagerato, troppo troppo presto. Nonostante pubblicasse tracce qua e là – per citarne una, la vellutata “All Around The World” nel 2015 – è stata la firma con la label americana 300 Entertainment (Young Thug, Fetty Wap, ecc.) che lo ha fatto entrare in studio e finire l'album. È un disco che aveva evocato tanti anni fa su Twitter, dicendo spesso ai fan che Dear Annie stava per arrivare, ma che è alla fine è stato preceduto da vari singoli indipendenti e dal mixtape del 2017 The Moon & You. Più o meno come il suo compagno di etichetta Young Thug, che deve ancora pubblicare HiTunes.

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“Facevo musica ma non sapevo riconoscere il momento giusto per pubblicarla”, dice Rejjie per spiegare il tempo che ci è voluto a realizzare Dear Annie. Vedendolo da fuori, però – e avendo intervistato Rejjie varie volte nel corso della sua carriera, oltre ad averci passato anche del tempo libero – ho la sensazione che pubblicare un primo album fosse un'idea troppo impegnativa, che Rejjie non fosse pronto, che avesse ancora bisogno di capire se stesso e capire che posto occupasse nel mondo. “Ho superato tutta quella roba adesso", dice, quando gli comunico la mia riflessione. E superare la paura non è stato l'unico ostacolo da superare sulla strada dell'uscita dell'album. Negli ultimi due anni Rejjie ha perso tre cari amici. "È stato davvero traumatico e mi ha messo molto in confusione. Quella roba mi ha davvero incasinato per un po' e non mi andava di fare musica né di viaggiare per i concerti. Dovevo trovare il tempo dentro di me. Ma è difficile… Perché se non faccio concerti non faccio soldi, ed era frustrante pensare a un album in quel periodo".

rejjie snow intervista dear annie

Parlando oggi, tuttavia, con Dear Annie vivo e vegeto nelle nostre orecchie, è chiaro che Rejjie è arrivato dall'altra parte. O perlomeno ora sorride. "Passare attraverso quel processo [di perdita] ti fa capire che tanta merda non ha importanza. Ho capito che cosa importa nella vita: la famiglia, l'amore, gli amici. Queste sono le cose che tengo davvero strette oggi". Per un attimo ci fermiamo e ci mettiamo a parlare di altro, di come leggere il libro Widow Basquiat – un'analisi di questo artista autodistruttivo visto attraverso gli occhi della sua musa, Suzanne – l'abbia aiutato a superare certe cose. Poi prosegue: "Ora amo davvero la vita, e le persone. Ora capisco molto meglio i sentimenti delle altre persone. Prima tenevo lontana certa gente, non volevo conoscerla ed ero super negativo. È sempre stata una questione di immagine, di mascolinità, e ora ho superato quella merda – sono soltanto me stesso, senza scuse".

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Un'altra parte del percorso di scoperta di sé di Rejjie ha comportato studiare e accettare il suo retaggio culturale. Anni fa, nella vita di tutti i giorni, Rejjie si faceva chiamare Alex Butler; ora usa il suo nome di nascita, Alex Anyaegbunam. Sua madre è Irlandese, suo padre Nigeriano, della tribù Igbo, e suo nonno è un giudice nigeriano che ha avuto un ruolo importante nella scarcerazione di Fela Kuti. Queste radici sono una cosa che Rejjie ha intenzione di esplorare meglio in futuro, in un secondo album che ha già intitolato Uncle Thomas, che, dice, "parlerà dell'essere un uomo nero in un mondo bianco".

“Mi interessa davvero imparare il più possibile sulle origini di mio padre. Non ho mai indagato perché pensavo di essere Irlandese e basta, non volevo essere nient'altro. Ma parlando con lui… Voglio davvero andare là adesso, a 24 anni, e capire quella cultura. Penso che potrebbe avere una grande influenza sulla mia musica".

La settimana scorsa, Rejjie Snow ha suonato al Roundhouse. Questo locale situato a Londra nord è bello grande – ci ho visto da Rick Ross ai Taking Back Sunday – quindi è un ottimo esempio di quanto sia arrivato lontano. Tre anni prima suonava all'Old Blue Last, un piccolo pub a Londra est; ora è il nome più grosso di una line up che comprende Ebeneezer, Slowthai e Wiki, con circa 5000 persone davanti al palco. Molte di queste hanno circa la stessa età di Rejjie, se non sono addirittura più giovani. Anzi, alcune persone nel pubblico sono talmente giovani che in due mi chiedono di comprare dell'alcol per loro. Chiaramente, come Lil Yachty, Rejjie Snow è un altro re dei teen, un principe dell'era di Snapchat ossessionata dalla moda.

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Dagli appunti che ho preso da ubriaco sull'iPhone, la performance al Roundhouse è andata più o meno così: "È tipo Dipset ma con l'amore al posto della cocaina. Prende bene invece di giocare a dadi”; “[il suo DJ] Skinny [Macho, l'uomo dietro l'etichetta Bone Soda] indossa un cappello di pelo e un cappotto arancione"; “Party people let's do this shit let's go”; “Cappello da pescatore occhiali luci blu passo da pappone". Di base quello che riesco a decifrare con un cervello sobrio è: Rejjie Snow fa un concerto positivo, strambo ma con uno stile figo, che suona e appare come un classico concerto rap dall'inizio alla fine. Considerato che ha appena pubblicato il suo album di debutto e sta già suonando in un locale così grande, viene da pensare che il prossimo disco potrebbe proiettare Rejjie molto lontano. Ciò detto, non è ancora il caso di pensarci. La musica arriverà al momento giusto, quando Rejjie si sentirà pronto.

Per ora, la parte migliore di questo viaggio e di Dear Annie è che sembra che Rejjie Snow abbia trovato se stesso. Nei primi anni lo potevi trovare che rappava con l'accento Americano, ma ora l'inflessione Irlandese si fa sentire. Per quanto il disco sia influenzato da un'ampia selezione di fonti – il soul, Bootsy Collins, Ramp, mescolati per creare qualcosa "che sarebbe passato in radio negli anni Settanta – è il primo disco che si può identificare come inequivocabilmente e sfrontatamente Rejjie Snow. In privato, ora è tranquillo. Medita, fa yoga, crede nell'amore. A un certo punto vorrebbe anche ritrasferirsi a Dublino, dice. Ora che il peso del debutto è sollevato dalle sue spalle, comincia un nuovo capitolo: "Non ho mai programmato di farlo. È stata tutta fortuna. Tutto è successo per un motivo, anche". Che si tratti di Guinness o di un frullato di frutta, è il caso di brindare.

Reggie sarà in Italia per due concerti, il 4 e 5 maggio. Acquista i biglietti qui.

La versione originale di questo articolo è stata pubblicata da Noisey UK.

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