Pastis artigianale argalà
Foto per gentile concessione di Argalà.
Cibo

I ragazzi che stanno facendo rivivere il Pastis, il liquore d'antan piemontese

Il Pastis si beve da secoli: si allunga con acqua naturale ed è storicamente il drink da bar nel Piemonte delle montagne.

Le abitudini, soprattutto al bar, si prendono in fretta e quel pastis che si beveva a Marsiglia spesso è tornato indietro insieme ai lavoratori stagionali.

C’è una nicchia di millennials, cresciuta tra le strette valli che da Cuneo salgono su al confine con la Francia -e da pochi loro coetanei di pianura-, che se dovesse indicare un drink che ha segnato le loro prime sbronze non avrebbe dubbi: direbbe il Pastis.

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Sto parlando di quelli che andando all’università si sono dovuti scontrare con lo shock culturale di baristi che ignoravano l’esistenza dell’aperitivo che li aveva svezzati. Di coloro che vedevano nel bicchiere bianco e lattiginoso un legame poetico con l’assenzio di Baudelaire, sebbene il pastis sia nato, si dice, proprio quando l’assenzio dei poeti maledetti venne proibito in Francia (per una storia romanzata ma con un giovanissimo Leonardo Di Caprio come protagonista guardate “Poeti dall’inferno”). Di chi, al contrario, brindava nel nome di quel liquore che sanciva il legame con la Provenza, stringendosi nell’identità occitana nonostante i confini (del resto il nome pastis viene dall'occitano pastís, che significa "pasticcio" o “miscela”).

Io, ad esempio, facevo parte della categoria che ne subiva il fascino romantico e lo sceglieva malgrado il gusto all’anice (che evitavo fin dal tempo delle confezioni gusto misto di ghiaccioli). Il primo pastis l’ho bevuto seduta al tavolino di un bistrot dalle parti di Rue de l'Abbé de l’Épée, nei primi giorni di Erasmus a Parigi. Non poteva fregarmene di meno delle vecchie tradizioni delle mie valli, mentre mi inebriavo in un pomeriggio di sole e facevo scivolare in borsa la caratteristica caraffa di Ricard, sentendomi la protagonista di un film di Godard.

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Cos’è il Pastis

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Il pastis come viene servito, con acqua, da Argalà. Foto dell'autrice

Il pastis è un liquore all’anice, come ce ne sono tanti in Italia e in tutto il Mediterraneo. La particolarità è dovuta alla miscela di due tipi di anice, quello verde e quello stellato, e all’aggiunta di altre erbe aromatiche, tra cui liquirizia, salvia, rosmarino e timo. Ha una gradazione alcolica intorno ai 45%, e lo si beve allungato con acqua ghiacciata in piccoli bicchierini: in proporzione una parte di liquore e cinque o sette di acqua. In questo modo si smorza il grado alcolico. Ed è così tipico della Francia del sud che il Pernod, uno dei brand storici, lo ha chiamato 51, come il codice del distretto di Marsiglia.

La sua fortuna è legata al declino dell’assenzio, la fata verde che fino al 1915 aveva ispirato poeti e pittori, ma che aveva anche creato grandi disordini sociali a causa della sua alta gradazione alcolica (intorno ai 70°). Vietato dalle autorità francesi, fu però presto sostituito da questa nuova bevanda dal grado alcolico ridotto (all’inizio non doveva superare i 16°, poi i 30° e infine i 45°), che deve la sua commercializzazione a Jules-Félix Pernod, che depose il marchio Anis Pernod nel 1918, e a Paul Ricard, che nel 1932 introdusse per la prima volta l’anice stellato oltre a quello verde e alla liquirizia e che dichiarò: “Ricard, le vrai pastis de Marseille” (trad. Ricard, il vero pastis di Marsiglia).

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Questa capacità di cogliere la tradizione provenzale di fare liquori con le profumate erbe spontanee della costa e venderle in tutta la Francia, sfruttando il brand di sole e bella vita della Côte d’Azur, fece la fortuna del pastis in tutta la Francia.

Perché il pastis è famoso in Piemonte

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Alcune botaniche di produzione del pastis. Foto per gentile concessione di Argalà

Perché questo aperitivo, pressoché sconosciuto nel resto d’Italia, è così centrale nelle comunità delle valli del Piemonte occidentale? Innanzitutto la lingua era in parte la stessa, del resto la lingua occitana deriva dalla langue d’oc, ovvero dal francese provenzale antico - la nemica “sconfitta” della langue d’oïl (da cui la parola oui) del francese standard. Le abitudini, soprattutto al bar, si prendono in fretta e quel pastis che si beveva a Marsiglia spesso è tornato indietro insieme ai lavoratori stagionali. Il confine, però, era ben chiaro quando si trattava di tassazione e produrre pastis in Italia per poi rivenderlo oltralpe: divenne un ottimo business per i provenzali d’Italia che potevano mantenere un prezzo inferiore rispetto ai colossi Ricard o Pernod.

Quanto a me, rientrata nella provincia cuneese, eroina di un film in esilio, il pastis restava un ottimo alleato per riportare alla memoria i sapori parisiens. E non ero la sola ad essere caduta nel fascino fresco di quell’aperitivo. Sin dal 2002 un gruppo di amici di Aisone, in Valle Stura, aveva trovato nel liquore all’anice un punto fondamentale di aggregazione, ignari del fatto che, in una decina di anni, si sarebbero trovati al centro di una specie di rave occitano. Sarà stato il fascino di vedere il bicchiere di liquore trasformarsi da giallo a bianco con l’aggiunta di acqua, verde (perroquet) con lo sciroppo di menta o rosso (tomate) con quello di granatina. O le carovane di francesi scapigliati che arrivavano d’estate a portare la musica della controcultura, sempre ben oliata da freschi bicchieri di pastis. Sta di fatto che in quell’anno è nata la Festa del Pastis di Aisone (Cuneo) che oggi, purtroppo, non c’è più, ma che è stata luogo di incontro per anni dei millennials scapestrati della zona.

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I tini dove viene prodotto il pastis. Foto dell'autrice

Da quando Stefano, suo fratello e la band occitana Lou Seriol organizzarono la prima festa, negli anni si è allargata fino a diventare teatro di gruppi musicali con una presenza fino a 10.000 persone. Ma per fortuna non tutti i ragazzi presenti all’evento erano lì soltanto per divertirsi. Tra mandrie di ubriachi e il cielo stellato della valle, l’amore per il pastis stava creando una nuova sorprendente realtà: Argalà.

I ragazzi che stanno facendo rinascere il Pastis

Nel 2011, Enrico Giordana e Piero Nuvoloni Bonnet, dopo anni di sperimentazioni della ricetta  perfetta tra le mura di casa, dopo la classica sbronza che ti fa giurare di non berlo mai più, ma anche dopo aver scoperto i pastis artigianali che stavano nascendo in Francia (come l’Henri Bardouin di Forcalquier), decidono di produrre il primo pastis artigianale italiano. “Non era nostra intenzione farlo diventare un lavoro, per noi era un hobby,” mi raccontano. “Abbiamo iniziato a sperimentare a casa dei nonni” -come se fossero stati nel garage di una Silicon Valley fatta di fiori ed erbe spontanee-. “Poi abbiamo iniziato a farlo assaggiare agli amici e abbiamo visto che piaceva e più ci chiedevano bottiglie, più abbiamo dovuto imparare a organizzarci per gestire gli ordini e la produzione”.

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L'orto botanico di Argalà: alcune delle erbe invece vengono prese dai monti.

Alla fine hanno capito come dosare perfettamente 35 erbe: alcune creano la base, altre il contorno; alcune sono coltivate da loro (“vicino alle piante di peperoni e zucchine che usiamo per la famiglia”, dice Piero), altre, come il timo serpillo, lo mandano a  raccogliere direttamente in montagna. Il mercato ha dato loro ragione e ora si sono allargati in un’ex stalla ristrutturata nel mezzo della campagna di Boves, sempre nel cuneese, che non sarà San Francisco, ma si trova in mezzo alla natura incontaminata, proprio davanti alla vetta sbeccata del monte Bisalta.

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La raccolta delle erbe di montagna. Foto per gentile concessione di Argalà.

La scelta del nome Argalà, che in lingua occitana significa “soddisfatto”, racconta molto di come Piero e Enrico abbiano elaborato quello che era un piacere fino a trasformarlo in un lavoro di qualità. La ricetta che sono riusciti a trovare non mette insieme soltanto anice stellato, liquirizia, finocchio, timo serpillo, melissa, rosmarino, cardamomo, cannella, pepe nero e altre 26 erbe, ma anche il gusto di anice che restava in fondo ai bicchieri quando Piero andava a trovare gli zii emigrati in Francia.

Il processo finale prevede la macerazione degli ingredienti in un distillato di grano e acqua, la distillazione in alambicco unita all’assemblaggio del macerato per estrarre tutti i sapori possibili dalle erbe, che ormai conoscono nei dettagli, e la diluizione con zucchero di canna grezzo e acqua delle Alpi Marittime (provenzale in ogni goccia). Si conclude con una maturazione e lenta decantazione in cisterna di circa tre mesi e poi con la filtrazione, l’affinamento e l’imbottigliamento.

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Oltre ad aver vinto riconoscimenti e aver portato la loro versione di pastis in tutto il mondo, sono anche riusciti nell’arduo compito di riconvertire chi, come me, ne aveva bevuto troppo e si diceva nauseato dal dolciume dell’anice. La loro ricetta, infatti, anche se rientra nel disciplinare, è secca e ha una dose minima di anice, così da far risaltare tutti gli altri sapori.

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Foto per gentile concessione di Argalà.

La lavorazione del pastis attualmente non occupa che una parte del lavoro di Enrico e Piero, specializzati in liquori a base di erbe, tra cui il vermut.

E se volete provarlo, ma il mood vintage montano non fa per voi, potete renderlo più interessante usando della kombucha al posto dell’acqua, spruzzarlo in cima a un bitter shakerato e vedere il colore che cambia creando uno strato bianco o lanciarvi nella creazione di un Pastis Cobbler.

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