Noi italiani siamo gente strana.Agguerriti campanilisti quando si tratta di difendere la nostra cucina regionale contro un’altra, e poi? Davanti alle novità esterofile diventiamo tutti improvvisamente delle fashion victim gastronomiche. Oggi siamo qui (che poi son da solo ma il pluralia maiestatis mi dà più coraggio) per sfatare questo mito che la carne di Kobe sia la migliore al mondo.
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Il degno antagonista del Wagyu, il bove nipponico dal manto corvino, ce l’abbiamo in casa e in pochi lo sanno. Si chiama Bue di Carrù. La sua residenza è in un piccolo paesino di 4.000 anime all’inizio della Langa. Nulla a che vedere con la metropoli giapponese di cui sopra, che di abitanti ne conta poco più che Milano.
Ora abbiate la pazienza di sorbirvi un piccolo momento Super Quark per agevolarvi nella lettura.
Siamo a sud-ovest della Provincia Granda (Cuneo, 29/110 provincia italiana per popolazione e seconda per numero di comuni), una terra per conformazione e microclima da sempre vocata all'allevamento della razza piemontese che ha origini nel pleistocene, dall'incrocio di un bovino autoctono, l’Aurochs con uno Zebù proveniente dal Pakistan. Il come si siano trovati questi due esemplari nello stesso luogo non è dato saperlo, sicuramente Facebook non c’entra. La risultante è un bovino molto ossuto e scarno, particolarmente apprezzato col tempo per qualità delle carni, del suo latte, e resistenza a fatica e lavoro nei campi. Per queste peculiarità la razza piemontese è detta anche la triplice.
Facciamo un bel salto in avanti e arriviamo al 1886, quando nel comune di Guarene, nell’albese, si segnala la nascita di un vitello dal peso doppio, con la doppia groppa e imponenti fasci muscolari sulle cosce. È qui che nasce la razza piemontese 2.0, quella di oggi per capirci, detta inizialmente albeisa, della coscia o d’fasùn - dai grossi fasci muscolari - segno distintivo dell’ipertrofia muscolare del Fassone Piemontese.
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Com’è successo? Una mutazione naturale, a causa del mancato funzionamento della miostatina, la proteina che regola lo sviluppo muscolare, aveva dato origine a questo bovino mastodontico. Si era letteralmente moltiplicato il muscolo, cioè la polpa, pur mantenendo un tessuto connettivo povero di collagene ed elastina = una carne incredibilmente più morbida.
Per vedere pienamente affermata questa razza dobbiamo però aspettare ancora una settantina d’anni: spesso la vacca moriva durante il parto per via del peso del vitello, che a volte era il doppio di un normale vitello di razza piemontese nostrana. Negli anni '50, il taglio cesareo risolverà il problema del parto di questi esemplari e darà nuovo impulso della razza piemontese (fine del Momento Super Quark).I buoi nostrani impiegati per il lavoro nei campi e nelle vigne a fine carriera dopo 10/15 anni avevano una carne magra, fibrosa e durissima. Venivano messi a riposo per sei mesi/un anno e ingrassati con pastoni di mais, orzo ed altri cereali. Qualcuno sostiene anche con agnolotti e polenta (beati loro). La carne così si marezzava naturalmente, si ammorbidiva e diventava più gustosa.
La carne dei buoi di oggi è naturalmente più morbida e molto più tenera, con una marezzatura maggiore e una percentuale di grassi che può arrivare al 7/8 %. Se un secolo fa le bestie pesavano mediamente dagli 8 ai 9 quintali, ad oggi abbiamo soggetti che arrivano fino a 13/14 quintali. Questo perché i primi anni Sessanta segnano la fine dell’impiego del bue nei campi, e la conseguente castrazione e messa all'ingrasso per il solo scopo gastronomico. La castrazione deve avvenire prima degli otto mesi, nelle zone e secondo le modalità previste dal disciplinare di produzione approvato nel 2014 dal Consiglio di Amministrazione del Consorzio a tutela del Bue Grasso, mentre la frollatura successiva alla macellazione un passaggio imprescindibile per ottenere una carne che si scioglie letteralmente in bocca.
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Tradizionalmente il periodo in cui si consumava il bue di Carrù era chiaramente l’inverno.
Dà il meglio di sé anche cotta sulla piastra al bleu (1 minuto), al sangue (3 minuti), a puntino (5 minuti). Se vi piace ben cotta fatevi un esame di coscienza ed espiate le vostre colpe pranzando da Donald’s per una settimana di fila. Tagliate, costate e roast-beef offrono la possibilità di apprezzare sentori di fieno, di noci e nocciole che poi vi sognate la notte.Insomma, poche balle: è una delle carni più buone del mondo.Le carni sono di un rosso scuro simile a quello di un buon bicchiere di Dolcetto (per stare in zona), un colore molto diverso dagli abituali tagli di carne, diverso anche dal manzo che consumiamo abitualmente.
Il Bue di Carrù - per definizione - ha un’età non inferiore ai 4 anni, un’importante strato di grasso presente intorno ai tagli e la marezzatura interna delle fibre ben visibile.
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È molto povera in grassi ma di ottima qualità nutrizionale (acidi grassi insaturi, omega3 e omega6) e un bassissimo livello di colesterolo, basti pensare che non supera quello rilevato nella maggior parte del pesce (48-60 mg/100g a seconda dei tagli). Circa il 3/3,5 in un vitellone, 3-5 volte in meno delle altre razze bovine europee.I costi? Siamo lontanissimi dalle cifre da capogiro del Kobe beef, con prezzi che variano, a seconda dei tagli, dai 16,50€/kg del bollito con osso ai 31€/kg per una costata.
Ok, tutto bellissimo. Ma fatemi capire, quando si mangia il Bue Grasso?
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Dalle 9 invece, nel padiglione della Pro Loco, Bollito Misto NON-STOP, con tanto di striscione all’ingresso a prova di vegano.Consapevole del fatto che sedersi al primo turno è un privilegio raro (cit. Gabry Ponte) riservato ai carrucesi, arrivo in paese poco prima delle 7.
Per trovare parcheggio è come essere a Milano, devi essere un po’ creativo. Mi infilo nel primo bar per sfuggire al freddo infame e butto giù senza pensarci un caffè doppio e una grappa bianca. Se non uccide, fortifica.Qualche ingenuo fa anche una bella colazione abbondante, ignaro di ciò che lo aspetta varcata la soglia del ristorante. Una volta dentro, è un gran casino. I decibel aumentano sensibilmente, il ristorante è strapieno in ogni ordine di posto, pare di stare in curva a San Siro durante il Derby.
Cori, canti popolari, gente che tra una portata e l’altra suona la fisarmonica (quella a san Siro ci manca), molti già in evidente stato di ebbrezza. È inevitabile non essere contagiati da questo tripudio di folklore e goliardia, in un meltin-pot anagrafico che non fa prigionieri. Amici, coppie, famiglie intere, nonni e nipoti, nessuno escluso.Ci sediamo anche noi: davanti a me e ai miei due impavidi compagni d’avventura, una bottiglia di Dogliani, un cavatappi e un piatto con qualche fetta di salame tagliato spesso, come piace a me. Le lancette segnano le 7.35. Ci guardiamo in faccia con la stessa espressione, quella che sembra dire “Ma che diavolo stiamo facendo?”, solo un po’ più colorita.Apro la bottiglia e riempio il bicchiere a tutti. La sensazione è surreale. Ci servono la battuta di bue al coltello. “Siamo in ballo ragazzi, balliamo”.Il resto è storia, e tanta, tanta Citrosodina.Segui MUNCHIES su Facebook e InstagramSegui Gianmaria su Instagram