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Musica

Odiare i Måneskin non serve a niente

Quando ho ascoltato il loro album Il ballo della vita mi sono indignato, ma poi mi sono reso conto che hanno ragione loro.
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La prima reazione che ho avuto ascoltando Il ballo della vita dei Måneskin è stata indignarmi. C'è da dire che ero partito decisamente prevenuto, dato che ho un rapporto difficile con X Factor e la modalità con cui valuta il talento di chi si esibisce sul suo palco. Chi si presenta davanti ai quattro giudici viene infatti giudicato principalmente secondo criteri emotivi: "Quello che questa persona fa e rappresenta mi sconvolge? Mi sorprende? Mi commuove? Allora è ok". Il che è giusto, da un punto di vista televisivo: nessuno guarderebbe il Grande Fratello VIP se non presentasse personaggi che fanno scattare qualcosa nello spettatore, facendogli prendere le parti dell'uno o dell'altro lungo l'arco narrativo del programma.

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Secondo questa logica, i Måneskin erano perfetti per X Factor. La loro età giocava a favore: nei talent show, come nel porno contemporaneo, essere giovani o vecchi significa dimostrare rispettivamente una sorprendente precocità e/o una commovente dedizione alla propria arte. Avete presente Susan Boyle, quella signora inglese bruttarella dalla voce incredibile che andò virale qualche anno fa? Se fosse stata una ragazza carina di 28 anni forse non saremmo qua a parlarne. E i Måneskin si atteggiavano da grandi rocker sul palco a un'età in cui di solito si è pieni di brufoli e si suonano male le cover dei Guns'n'Roses alle feste in oratorio.

Con il passare delle esibizioni la band romana ha aderito ad altre categorie emotive necessarie ad esplodere oltre i confini del talent show, già comunque di per sé amplificatore mediatico. Sono diventati sconvolgenti quando il loro cantante Damiano ha fatto pole dance con lo scotch sui capezzoli e commoventi quando hanno fatto un pezzo con l'orchestra mostrando, come dissero loro stessi sotto consiglio del loro coach Manuel Agnelli, "un'altra faccia". Sono arrivati secondi, sono andati in tour facendo quasi solo cover, hanno fatto i milioni di views, ora hanno fatto anche un film e un disco.

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Fotografia promozionale.

Il disco si chiama Il ballo della vita ed è perfettamente coerente con quello che i Måneskin sono stati fin dall'inizio: un gruppo di ragazzini che fa musica normale, impacchettata come se fosse fuori dal normale grazie all'età anagrafica e all'estetica dei suoi autori. Anche se il programma che li ha generati è finito le sue logiche continuano però a sussistere nel modo in cui li fruiamo. I Måneskin fanno arrabbiare, per esempio, chi usa la purezza come categoria di giudizio all'interno del proprio sistema di valori. Sei passato dalla sporchissima TV? Allora sei un venduto, un prodotto, eccetera. Oppure chi, come me, ha a cuore la correttezza linguistica. Non canti in un inglese impeccabile? Allora sei un ignorante, provinciale, wannabe, e così via.

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Il ballo della vita è però la dimostrazione che queste piccole battaglie non servono assolutamente a nulla. Come se già non lo sapessimo, data la quantità enorme di artisti usciti dalla televisione e/o che cantano in inglese male le cui carriere sono state perlomeno dignitose, reagire negativamente ai Måneskin significa attaccare dei ragazzini che, semplicemente, fanno quello che il 99% di noi avrebbe fatto se si fosse trovato in mano degli strumenti, un grosso budget e un team di autori, coach e videomaker a diciotto anni. Cioè fare una cosa che ci gasa. Insomma, anch'io a diciott'anni pensavo che Vasco Brondi fosse Bukowski. Anzi, a diciott'anni pensavo che Bukowski fosse Bukowski.

I pezzi de Il ballo della vita sono molto diversi gli uni dagli altri e, se volessi fare una recensione da vecchio scoreggione, direi che sono incoerenti, semplicistici e derivativi. Si potrebbe fare il classico giochino dei riferimenti: "Shit Blvd" sembra i White Stripes mezzi funky, "L'altra dimensione" è "Libertè" di Ghali in versione rock, "Are You Ready?" è un pezzo dei Major Lazer con le chitarre. Potrei condannare i tentativi di crossover tra rock e hip-hop come esperimenti che prendono il peggio da entrambi i mondi: "Immortale" è un pezzo scadente dei Deep Purple, co-prodotto da Don Joe e con Vegas Jones che ci rappa sopra, mentre "Niente da dire" è un brano semplice dei Red Hot Chili Peppers con gli hi-hat trap nel ritornello.

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maneskin ballo vita copertina

La copertina de Il ballo della vita, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify.

Ma se il mio articolo fosse solo questo sarei l'autore della recensione dei Greta Van Fleet su Pitchfork, cioè un tizio che sta dietro a una tastiera e dice cose buffe e cattive (e giuste, ma percepite in primis come "buffe" e "cattive") su un gruppo di ragazzini di enorme successo. Magari crederei di illuminare le menti di chi mi legge, ma più realisticamente starei solo generando odio e ironie e quindi engagement, con grandi complimenti del mio capo. Ma chi legge una recensione estremamente negativa non va immediatamente a informarsi sulla storia della musica, si scarica la discografia dell'Art Ensemble Of Chicago e si abbona a Buscadero; o non fa niente, o la commenta incazzato, o la condivide con i suoi amici per farsi due risate.

Potrei dire che l'accento giamaicano che Damiano sfoggia di tanto in tanto sarebbe la sua condanna in una società più attenta a questioni di appropriazione culturale. E perché non dare addosso ai pezzi in italiano? Potrei dire che frasi come "Io scrivo le canzoni perché restino per sempre" sono truismi—come se ci fosse qualcuno che le fa perché vengano dimenticate! Ma non sarei forse un Don Chisciotte contro i mulini a vento?

Prendiamo per esempio questa recensione di Lettera43 in cui si dice che i Måneskin sono dei "coattini", che stanno "anni luce" dal talento di Mick Jagger o Iggy Pop ("paragoni imbarazzanti anche solo da tracciare, ma è per trovare un qualche riferimento alla boria che si vorrebbe esibire"). Rockol, più pacato, fa solo notare che i nostri "dovranno lavorare ancora di più sul repertorio, fare scelte linguistiche e musicali ancora più precise, dopo questo primo passo". DailyBest scrive che "Il progetto dietro questo album sembra inesistente: le canzoni sono slegate, parlano linguaggi diversi e sembrano esattamente come le puntate di X Factor in cui una volta a un concorrente tocca il lento di Tiziano Ferro e la volta dopo gli AC/DC, alla faccia della voglia di esprimere qualcosa di personale, che abbia un’anima propria e un percorso organico".

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Tutto questo è, secondo me, vero. Sono d'accordo, ma sono anche conscio che stiamo parlando di un prodotto nato per essere esattamente quello che stiamo giudicando una ciofeca. Il ballo della vita è un album perfetto per i suoi creatori. Venderà un sacco di copie e li farà restare sulla cresta dell'onda almeno per un po', dato che il suo target non sono certo io o chi scrive recensioni all'interno della nostra bolla. È questa mamma che, come molte altre, gli fa i complimenti e li ascolta con i suoi bambini. È questa signora che li definisce dei "fuoriclasse" perché magari ci sente le cose che ascoltava da ragazzina. È questo ragazzo che cita Jim Morrison sotto la sua foto profilo e posta foto con Fedez e J-Ax. Non certo il pubblico di riferimento di Sfera Ebbasta, di Suzanne Ciani, di Jeff Mills, di PJ Harvey, di Brunori SAS, di Merzbow o degli Impaled Nazarene, quello che insomma può ridere o indignarsi per un normalissimo rock da grandi masse disabituate alle logiche della cultura internazionale. Il nostro, relativamente piccolo, pubblico. Non sono loro il problema, è il sistema in cui vivono.

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