I migliori estratti dall'autobiografia di Gué Pequeno
Foto per gentile concessione di Rizzoli.

FYI.

This story is over 5 years old.

Musica

I migliori estratti dall'autobiografia di Gué Pequeno

L'infanzia, l’adolescenza, la maturità, i Dogo, la famiglia, i dubbi, le crisi, la musica, le donne, il successo, i soldi e i vestiti (un sacco di vestiti).

Sono rimasto molto male quando è stato annunciato questo libro, perché dopo la bella intervista fatta insieme quest’estate speravo che Gué pensasse a me come consulente, cosa che avrebbe segnato il più importante traguardo professionale cui potessi pensare. La delusione si è però un po’ attenuata quando ho scoperto che non l’aveva fatto insieme a un altro giornalista, ma tutto da solo (cosa abbastanza rara nel caso di libri di musicisti). Del resto si tratta di una persona che con le parole ha dimostrato di saperci fare, e ci sta che volesse misurarsi con la scrittura per conto proprio.

Pubblicità

Il mio rapper preferito, nelle quasi 300 pagine di Guérriero - Storie di sofisticata ignoranza, appena uscito per Rizzoli, parla della sua infanzia, dell’adolescenza, della maturità, dei Dogo, della sua famiglia, dei suoi dubbi, dei momenti di crisi, di musica, di donne, successo, soldi e vestiti (parla tantissimo di vestiti).

Abbiamo allora selezionato nove estratti dal libro, che se odiate il personaggio probabilmente vi faranno venire voglia di ammazzarlo, se invece ne siete fan vi spingeranno a correre a comprarlo. Eccoli:

Tra le cose che ho fatto in anticipo: mettermi dei denti d’oro, portare la “piazza” sul palco, indossare e creare bling bling personalizzati, usare l’autotune, vestire Stone Island, Supreme, Kappa, Champion, Gucci, Vuitton, Fendi, citare tutti i marchi nelle rime, swaggare, avere un’etichetta indipendente, creare un brand di streetwear, andare nei gossip con delle fighe famose, sdoganare e istituzionalizzare lo show del rapper nei club commerciali, indossare Rolex veri, mettere questo lifestyle nelle rime, citare cibo e alcol costosi, e la lista continua.


Non riesco a capire come mai i ragazzini di adesso non abbiano la curiosità anche solo di andare a sentire una cosa diversa, a informarsi anziché commentare su Instagram a cazzo senza sapere di cosa stanno parlando, alla fine Google è un amico e può anche aiutare a sapere molte cose, ma a quanto pare oggi è più importante contare i follower. Ora il rap è talmente di moda da trasformarsi in un mucchio di bambini che fanno corna e linguacce nella foto profilo. Il rap italiano è diventato un videomessaggio per Francesca e i suoi diciotto anni.

Pubblicità

In questo momento storico in cui l’immagine è tutto i più furbi se la inventano e se la giostrano, ma a me non me ne frega un cazzo di fare le foto con il dito in bocca alla Zoolander e accessori da donna, e anche gli artisti che ammiro non usano nemmeno i filtri per le foto, e non posterebbero mai certe cose. I filtri li uso in un altro modo.
Io non mi vendo per nient’altro che per un musicista rap, ovvio, con tutto quello che gli ruota attorno ma principalmente è quello. Un po’ devi fare e un po’ devi essere; a me invece piace fare musica rap e fare e dire quello che voglio. Penso che si capisca che mi comporto come se non mi interessasse nulla, quando in realtà non me ne frega proprio assolutamente un cazzo.


Non ho nessuno che mi scrive il copy dei post, e se mi rompi il cazzo su Instagram ti rispondo. Ormai lo sanno tutti.
Non mi interessa essere un opinionista, perché non ho niente da opinare. Non faccio il modello perché non avrò mai la tartaruga. Però col rap ti mando a casa.


Mi ricordo che anni fa con i Club Dogo eravamo stati invitati a suonare all’Heineken Jammin’ Festival, dove di solito c’è più che altro rock. Dopo la nostra esibizione arrivò nel backstage il direttore di una rivista musicale, uno di quelli che io definisco “barbetta”, un alternativo coi soldi e una folta barba, occhiale da intellettuale, abbigliamento fake trasandato, e quella leggerezza di modi di chi non ha pensieri, accompagnato da un amico, anch’egli barbetta, con le espadrillas. I due vennero a sedersi lì con noi come se ci conoscessimo da una vita, a rollare canne parlando delle serate all’Hollywood, delle zoccole… E alla fine il giornale uscì con un articolo denigratorio. Uno come tanti, del resto.

Pubblicità

Non molto tempo fa, mentre surfavo un’onda lavorativa particolarmente positiva, sono riuscito a uscire con una nota cantante italiana, un volto televisivo; mi piaceva da tanto e insistendo ce l’avevo fatta. Una sera ci vedemmo in una pausa di lavoro in un hotel: sushi, bottiglie, piscina di notte e tutto il resto. Lei si era raccomandata di moderare la fiesta conoscendo le mie abitudini turbolente. Tutto ok finché, una volta addormentata, di notte sgattaiolai come un ninja fuori dalla stanza per raggiungere i miei amici, con cui giocai alle slot e bevvi vodka fino all’alba. La mattina lei mi informò con un sms che era meglio che se ne andasse un giorno prima del previsto.


In certi giochi non ci sono mai cascato, preferisco comunque un Gucci, un Dolce&Gabbana, rispetto a questi nuovi marchi street-fashion che prendono lo streetwear e lo fanno diventare di lusso. Però Gucci fa la campagna coi Baustelle! I Baustelle! Presente il cantante dei Baustelle? E intanto i ragazzini di piazza invadono gli store per comprarsi la divisa cap, borsello, cintura e scarpa gucciata che vedono da noi.


Un giorno ad Amalfi alla fine dei nostri giri notturni abbiamo visto l’alba sul mare. Quando assisti a uno spettacolo così bello ti si apre il cuore, è stato un momento incredibile, ma purtroppo la poesia è durata poco, perché poi è tutto una merda lo stesso.


Io so benissimo che anche se domani mi metto con Bella Hadid dopo un po’ mi romperò i coglioni e andrò a cercare di farmi la cameriera del bar di sotto.


[L’inferno] È la sensazione che la metà dei miei contenuti e del mio stile non venga appieno capita dal mio pubblico e quasi mai riconosciuta. La frustrazione e la voglia di lasciare perdere. È l’ansia, il malessere del non dormire o del dormire male. Il pensiero del futuro la maggior parte delle volte mi angoscia, non trovare una relazione seria, fallire sempre nell’amore, non avere una mia famiglia, non essere una persona normale, gli spettri e gli scheletri nell’armadio mi vengono a prendere quando cerco di dormire. La mia testa malata schiava di marchi costosi e status symbol mi porta a esasperarmi alla ricerca continua di soldi da ogni angolo, mai abbastanza e mai le cifre che vorrei. La dipendenza compulsiva sempre da cose diverse mi logora. L’inferno è non avere fede. Finire in camera con una tipa che non conosci e doverci dormire insieme perché ormai è tardi o addirittura l’hai invitata in un’altra città. A volte la depressione mi manda in un down così profondo che diventa fisico, mi sento debolissimo o la testa mi si schiaccia e gli occhi tendono a chiudersi da soli. Avere delle fitte in tutto il corpo. È l’ipocondria, il test delle malattie veneree. Non avere veri amici o scoprire che ti spolpano. La maggior parte delle volte penso di non essere all’altezza del mondo esterno. Non voglio deludere mia madre ma spesso mi autobiasimo. Sono troppo altruista e nello stesso tempo troppo egoista.

Puoi trovare Federico in giro per Milano con Gué a palla che esce dal finestrino, oppure su Instagram.

Segui Noisey su Instagram e su Facebook.