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Musica

Musica paranoica per gente paranoica

Vatican Shadow, Shifted e Ron Morelli sono tutti dei paranoici. D'altronde lo sei anche tu...

Un po' di tempo fa, prima che VICE italia decidesse che i tempi erano maturi per isolare gli argomenti musicali nella vetrina specializzata che state visitando in questo preciso instante, scrissi su quelle pagine un articolo intitolato, paraculamente e senza manco fantasia, "Buttate via le chitarre (di nuovo)". I presupposti del pezzo erano molto meno profetici di quanto ci si possa aspettare da un titolo del genere. L'intento era, anzi, solo fare un punto sullo stato della musica elettronica nell'anno 2012, o meglio sulla confusione tra l'emisfero più irregolare e speriemntale, e quello facile per andare a ballare. All'epoca, circa un anno fa, mi sembrava in sicurissima crescita, senza comunque che fossi tanto intrippato da auspicare una terza e ancora più technologica summer of love. No, anzi, l'idea era quella che ci trovassimo di fronte a una summer of paranoia, senza però che questo desse necessariamente un connotato negativo alla faccenda.

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Scrivevo, infatti, e mi autocito: "Sonoramente, l’unica caratteristica rintracciabile in tutti questi artisti è quel sottile livello di paranoia dato dalla ripetitività, atmosfera perfetta per gli anni più incasinati dell’epoca informatica, come se la liberazione si ottenesse attraverso l'overload o l'overdose, la disintegrazione dell'identità." Insomma, un cortocircuito tra dimensione sociale e antisociale. Avevo trovato degli spalleggiatori di questa posizione nei Raime, che intervistati mi avevano detto molto innocentemente di cercare proprio quella tensione nella musica che ascoltano, dal doom metal alla jungle, e di tentare di riprodurla uguale nella propria. Anche a causa di certi riferimenti musicali espliciti (jungle, IDM, rave culture), questo sentimento di paranoia ci riconduce agli anni Novanta, vale a dire l'età di cui oggi pare giusto e obbligatorio fare almeno un po' di revival, per motivazioni sociali completamente diverse: laddove c'erano la paura di fine millennio e la sensazione di stare andando incontro a svolte culturali imponenti, qua siamo invece incastrati in un loop di conflitti irrisolvibili, all'ombra di un collasso che non sembra voler arrivare mai. In comune c'è lo shock dato dall'overload di informazioni: se vent'anni fa ci rimanevamo scemi perché non eravamo ancora abituati, oggi siamo "scemi" perché completamente assuefatti. Ho scritto "scemi" ma potevo benissimo metterci di nuovo "paranoici", appunto.

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La musica ovviamente ne risente anche se sono molto pochi ad averne preso coscienza fino in fondo. Sulle prime ci era sembrato profetico James Ferraro col suo collage di Skype e cazzate affini—che non a caso sembrava ipercontemporaneo ad alcuni e un sacco anni Novanta ad altri—ma la bolla è scoppiata subito. Più di recente è arrivato Daniel Lopatin (Oneohtrix Point Never, ve lo devo anche ripetere?) col suo R Plus 7. Ne ha parlto molto bene il nostro compare Valerio Mattioli, non qui (purtroppo) ma su XL: per lui più che di un album si tratta di un saggio sulla "realtà aumentata" di oggi. Ce la descrive in una maniera che spiega anche molto bene cosa intendo io per paranoia: "quando persino una scappata al supermercato con smartphone al seguito si trasforma in un’esperienza alterata per cui nulla è ciò che sembra, e dietro ogni singolo oggetto si cela una quantità di informazioni, link e rimandi teoricamente senza fine." Una quantità di informazioni che potrebbero essere tanto positive quanto ostili e che, soprattutto, non assimiliamo mai da soli: ci sono sempre un paio di occhi e orecchie in più, che sia Google o l'NSA.

Quindi mi sbagliavo: non sono gli artisti drammatici e oscuri come i Raime a raccontare bene quest'epoca di fatti indecifrabili, o almeno così pare. Sono quelli come Ferraro e Lopatin, coi loro suoni asettici e luminosi, scintillanti. Ecco, forse effettivamente quel modo tenebroso di intendere la paranoia non è tanto indice di come ce la viviamo davvero tutti i giorni. Questo in parte è vero, in parte no.

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C'è infatti un altro uomo chiave: Dominick Fernow. Lasciando da parte per una volta tutti i suoi trascorsi come Prurient, parliamo esclusivamente del progetto Vatican Shadow. Figlio illegittimo di Muslimgauze, VS è per tanti motivi il progetto più importante della scena elettronica "dark" di oggi, pur senza esserne il musicista più dotato o innovativo. Tutto sta nella sua fissa per il medio oriente, anzi per il rapporto conflittuale tra occidente e mondo arabo: laddove Muslimgauze ci credeva tantissimo, lui non ci crede manco un po'. Non crede proprio in niente. Tutti i titoli dei suoi pezzi e dei suoi dischi sono scritti in modo tale da sembrare dei ritagli di cronaca, tra l'altro di una pessima forma di cronaca, troppo caricata drammaticamente e un po' cheesy. La musica va di pari passo: il suo modo di intendere l'oscurità è esageratamente carico, drammatico, pieno di tutti i cliché basici del suono dark industrial, e anche il riferimento alla musica araba è piuttosto superficiale, giusto nella ritmica. Insomma, è tutta finzione, oggi che anche la guerra lo è oramai diventata, e siamo passati dai Throbbing Gristle, che imponevano al loro pubblico gli orrori della guerra su piccoli schermi, all'epoca dei droni, in cui la guerra stessa avviene su piccoli schermi e sembra rimanerci, diventa gesto meccanico, rimozione, noia pura. Neanche ci si rende conto che a farne le spese sono persone vere, in luoghi lontani; pure in questo caso il passaggio fondamentale sono gli anni Novanta, con la guerra del golfo sul piccolo schermo di tutte le case d'America. Vatican Shadow, e lo si sente soprattutto nel suo ultimo album Remember Your Black Day, canta con fortissima intensità belligerante questa mancanza di intensità onnipresente. Balla in un vuoto incolmabile, e questo lo rende sublime, geniale; tanto la sua quanto quella di Lopatin sono psichedelie della superficie, e questa è liscia, impenetrabile e assoluta. Paranoia a palla, l'avrete capito oramai.

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Ma lo stesso Fernow ha fatto uscire sulle sue label dei dischi di altri artisti che sembrano rappresentare un impatto frontale con questa superficie. Mi vengono in mente due esempi recenti: il primo è Under A Single Banner di Shifted (sulla mini-etichetta Bed Of Nails). Occluso, monolitico e brutalista, è un album di techno che non cambia mai né vuole farlo. Non contiene niente di veramente drammatico proprio perché non contiene nessun "evento" vero e proprio, suona più come una palla di energia che se ne sta lì a meditare sulla sua stessa gratuità, e intanto brucia, si consuma. Rabbia pura, o forse frustrazione pura, senza una vera direzione. Molto simile a lavori di gente tipo Shapednoise (a cui però questo gioco riesce meglio), a tutta quella roba dritta, pesante e apparentemente imballabile. Eppure è quella roba ha trovato un posto fisso sul dancefloor di eventi manco troppo nicchiosi. Che un pubblico più vasto abbia imparato a consumare questa stesa paranoia in maniera fisicamente appagante cosa significa? E a cosa può portare? Non lo so, forse è semplicemente che quando siamo fatti balleremmo qualsiasi cosa c'abbia una cassa dritta. Il che ci porta ad un altro nome.

Ron Morelli è un DJ di New York. È il capo di L.I.E.S., etichetta che ha oramai definito un suo stile tra techno old school a bassa fedeltà e rumori inusuale, eppure il suo nuovo album, Spit esce per Hospital (che è sempre di Fernow). Ad ascoltarlo sembra contemporaneamente l'apoteosi e una parodia piuttosto stronza del suono L.I.E.S. di cui sopra. L'electro-funk cialtrone delle sue ritmiche sarebbe in teoria ballabilissimo—ha anzi un botto di groove—ma è piazzato in un insieme di suoni che fa sembrare ogni brano uno scherzo bastardo. C'è del sarcasmo perché è uno sberleffo convinto, senza distacco ironico. Non si tuffa del tutto nella stortura, proprio perché la sua forza malvagia sta nel rimanere in bilico tra beat raccomandabili e sempliciotti, e rumore mefitico che si fa schifo da solo. Una roba che non sai come prendere e spiazza, specialmente perché sembra prendere atto che il noise, l'industrial e la techno più anziana e acida oramai rischiano di svuotarsi definitivamente perché vanno "di moda", così ci pensa lui a svuotarli del tutto. Li rende superficiali e quindi ancora più cattivi, perché non sai davvero che fartene né che cazzo vuole da te questo qua. È una strada che ultimamente stanno provando in tanti, da Powell a Prostitutes, ma nessuno era ancora andato così a fondo. A conti fatti, finisce per suonare davvero… divertente.

Diceva William Burroughs, in uno dei suoi aforismi più famosi che manco Jim Morrison sulla Smemoranda, che "il paranoico è uno che ha quasi capito come stanno le cose". Di fatto è vero, ma è vero anche che un quadro completo della realtà è oramai impossibile da ottenere (perfino per l'NSA, direi). Quello che certa musica può fare per noi è aiutarci a prendere atto dell'ir-realtà aumentata in cui viviamo e forgiarla in una forza produttiva, per quanto dura e distruttiva questa sia. Non è un caso che alla fine possa sempre risultare emozionante e ballabile, quindi intensa.

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