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Musica

L'enigma James Ferraro

Percorriamo la strada che porta forse a comprendere questo artista o forse a non capirlo definitivamente.

Premessa: parlare di James Ferraro è difficile. E per diversi motivi. Tipo che andare a collezionare tutta la sua sterminata produzione sui canali ufficiali (siano essi Spotify Soulseek, Youtube) senza che questo richieda un esborso monetario (comprarmi cassettine e CDR) varrebbe né più né meno che un part-time regolarmente retribuito. La mia condizione al momento purtroppo non mi dà questa possibilità e quindi ho cercato di arrangiarmi. Nel contempo, credo che il mio sforzo di scrivere questo pezzo sia molto, uhm, coerente con l’estetica di cui Ferraro si è sempre fatto portavoce, cioè qualcosa che assomigli a un puzzle che deve essere ricomposto da chi “subisce”—nel suo caso gli ascoltatori, nel mio voi lettori. Non diversamente, questa specie di monografia intende scrivere di Ferraro e, coerentemente con il suo credo e per facilitarvi nella comprensione del tizio in questione, sarà disorganica, confusionaria e lavorerà sul vostro cervelletto fornendo punti sparsi e input da ricomporre.

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La weirdness di gente tipo James Ferraro la riconosci subito. Prima ancora che per i dischi che fa, per il suo presentarsi. Te lo ritrovi davanti, questo capellone nato e cresciuto nei sobborghi newyorkesi, e pare un incrocio tra uno del Sud-Est asiatico, un abitante a caso del Messico e un pappone della Florida. A parlare per lui sono essenzialmente due cose: come si veste e la mole di album/progetti che, in ormai dieci anni di carriera, ha infilato. Fino a che, oramai due anni fa, arriva la consacrazione della Bibbia AKA The Wire, che proclama agli occhi del Mondo (=30k di ascoltatori, stando al più-morto-che-vivo Last.fm) Far Side Virtual disco dell’anno. I pompini a The Wire me li evito volentieri, soprattutto in riferimento a quella scelta lì, dato che iniziare a parlare di Ferraro da quel disco credo sia la cosa più sbagliata si possa fare per inquadrare la sua figura.

Che poi, cosa dovremmo inquadrare? Ferraro è uno strano che, a seconda dell’ambiente fisico in cui si trova, sviluppa predilezioni/interessi. Ha fatto il girovago per mezza America e ha sempre raccontato di aver cercato di assorbire (e vomitare in musica) tutto ciò che di un determinato luogo lo sorprendeva. Di conseguenza tentare di contestualizzare la sua figura in un ambito di riferimento diventa una cosa che non s’ha da fare. Passa dal chiptune all’ambient deforme, dai droni impro al glam, fino alle ultime infatuazioni di stanza Hyperdub.

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Andiamo con ordine: c’era un tempo in cui Lustmord o i Troum non se li cagava nessuno (non che ora…), quel tempo era il 2005-2006. E Ferraro sceglieva nomi a caso per progetti che rimanevano a mezz'asta con all’attivo una cassettina a cazzo. Veri e propri one-shot dove solitamente piazzava in 30minuti di cassetta droni, noise rituale, tutto sporchissimo. Questi progetti non se li è cagati nessuno ugualmente, però questo pezzo è bello.

I suoi progetti, a parte un paio più “””””grossi””””” (ne daremo conto dopo), sono tutti confinati al do-it-yourself. Quindi chissene di collaborazione, produzione, mastering e trafila completa. Lui registra e pubblica sulla sua label, la New Age Tapes, questo almeno fino al 2008. E, non gli bastasse, crea la sub-label, la Musclework Inc, in onore al suo soggiorno a San Diego (diede di matto per il ruolo della fisicità nella forma mentis dei guys della West Coast). Pure le collaborazioni sono ridotte all’osso: una di queste è il progetto (always one shot) con Sam Meringue—che ricordiamo per essere il titolare del progetto Matrix Metals e aver fatto un disco con LA Vampires su Not Not Fun. La traccia, mezzoretta che scivola via, è fuzz rock piallato dal rullo notturno di TeleLombardia .

Passando alle cose un po’ più sostanziose: Lamborghini Crystal è il progetto condiviso con J.C. Peavey e mette sul piatto queste chitarre effettate, con fruscii e voci a cazzo. Potrebbe essere roba hard-rock ricoperta di eighties ovunque, ma senza l’epicità dei giorni migliori. Feature importante: contorno di sfiga non da poco. Insomma, quel che fanno gli Strokes ma meglio. In un mondo giusto l’indie-rock dovrebbe assomigliare a questo. E invece no.

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Sempre in àmbito Lamborghini Crystal (forse la seconda roba più figa che Ferraro abbia mai fatto, la prima la vediamo dopo) si segnala questo pezzo bellissimo. Ho sempre pensato che Ferraro sia stato–eufemismo–poco intelligente nel non riuscire a mettere a fuoco certe sue intuizioni. Come Lamborghini Crystal lavora su questo glam senza confini che viene inabissato nel lo-fi più becero. Con qualche accorgimento in più sarebbe stato il progetto del decennio, invece, per quanto figo (tipo il CDR “Alien Microwave”), affonda nel solito “patinatismo” voluto di copertina.

Arriviamo finalmente al suo apice. A nome The Skaters, in condivisione con Spencer Clark, ha pure fatto gran belle cose, anzi bellissime. Ve la ricordate quell’età dell’oro dove tutti ascoltavano noise senza che di mezzo ci fosse la techno, quando gli Yellow Swans esistevano ancora e i Wolf Eyes pubblicavano la loro roba migliore? No? Ecco, era il 2004 e stavamo tutti "meglio".

The Skaters non hanno cambiato un cazzo, né il loro immaginario era diverso dai gruppi che uscivano da città americane tipo Portland o Providence: Lo-Fi a manetta, retroterra punk, camicie di flanella. E uscivano pure per Eclipse, etichetta faro all’epoca (parliamo dell'arco temporale 2003-2008). E quindi amiconi di gente tipo Double Leopards, Charalambides, Sunburned Hand Of The Man, Fursaxa e compagnia bella. Però c’era qualcosa in loro che li rendeva stupendi, il loro suonare forse smaccatamente sexy (roba che altre band affini mai nella vita) o qualcosa del genere. Ad esempio, Physicalities Of The Sensibilites Of Ingrediential Strairways è un gran disco, ma pure tutta la loro produzione si distingue. Tutta roba astratta, che va dal drone all’ambient fino al noise. Seguendo però coordinate, appunto, molto particlari. Ripeto, c’era un qualcosa di estremamente sensuale nella loro musica. Questo estratto live da un concerto a Londra parla per me.

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Mi sono sempre chiesto se questo suo essere arty a tutti i costi sia una costruzione molto sincera o se invece faccia davvero il cazzo che gli pare. La risposta che mi sono dato è che credo che, in fin dei conti, sia più paraculo di quanto si possa pensare, ma anche di quanto egli stesso pensi di (non) essere. Riesce a sviluppare concetti del qui ed ora molto articolati, e in questo senso mi sembra che la dicotomia circa il suo essere dentro vs fuori dal mondo (non ha telefono/sito internet ma fa album che sono suonerie per Iphone) sia volutamente costruita. Non so se questa sia la tendenza del nerdismo del futuro, però Ferraro mi sembra totalmente inserito in un contesto, ne usufruisce per la sua arte, e nel contempo lo repelle nella misura in cui ne è già contaminato (ingenuamente senza rendersene conto, magari).

Se fino al 2008 aveva sviluppato un approccio alla musica volutamente lo-fi, battendo le strade della new age, dei drones beceri, delle chitarre effettate, ecco che da quell’anno le cose cambiano. Probabilmente s’è fatto impallinare la testolina dall’anima di Bill Gates a colpi di clic o non si spiega la sua iniziazione all’hi-fi. Gli integralisti e defunti Emeralds rifiutarono quella strada, Lopatin si trovò sul crinale e scelse la Warp. Ma attenzione: quando scrivo di hi-fi non intendo un qualcosa di connesso a stronzate tipo la pulizia e la perfezione del suono, quanto proprio a Ferraro che inizia a scandagliare la nuova modernità tecnologica. Quindi daje di suoni plasticosi, di Ipad (se li usa Lopatin è Dio, se Morgan una merda–giustamente) però tutto immerso in una cornice che di tecnologico ha, paradossalmente, molto poco. Il suono della quotidianità di Ferraro, più che un Iphone (suo ideale destinatario e mezzo di ascolto per Far Side Virtual) è un Nokia di generazione precambriana. In questa linea di continuità (e coerenza) si gioca la sua svolta non hypna, quanto retrofuturo (o come cristo volete chiamarlo) tout court.

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Dar conto del suo “periodo elettronico”, che coincide con le pubblicazioni su Hippos In Tanks, significa, per dirla con le sue parole: “If you really want to understand Far Side Virtual, first off, listen to [Claude] Debussy, and secondly, go into a frozen yogurt shop. Afterwards, go into an Apple store and just fool around, hang out in there. Afterwards, go to Starbucks and get a gift card. They have a book there on the history of Starbucks–buy this book and go home. If you do all these things you’ll understand what Far Side Virtual is-- because people kind of live in it already”. Che, con tutta la buona volontà postmoderna del mondo, se lo fate state male per davvero.

Ora col disco nuovo (Nyc, Hell 3Am) si è messo a fare roba che non è eccessivamente nelle sue corde. Va però di moda (giro Hyperdub, virato arty) e quindi ci si è tuffato (per la prima volta “rincorrendo” una sonorità). Il risultato è questa cosa qui. Si può dire che sia la roba più ascoltabile che abbia mai fatto. Per me è un boh su tutta la linea, però meglio delle sue ultime compilation per ringtones.

Se c’è una cosa che ho sempre ammirato in lui è la coerenza della proposta, che oltretutto ha anticipato spesso sui tempi altri musicisti nel mettersi a fare quelle cose lì. Sia questa musica patinata, sporca, hi-fi o altro. Quindi ci si ritrova a dire che “Il primo fu Ferraro” e chissene dei risultati. Che è una cazzata di base, però è così.

Ecco, i risultati: delle decine e decine di dischi e progetti, cosa rimane davvero di Ferraro? Non diversamente dal suo essere compulsivo artisticamente, pubblicando ogni cosa che caga fuori quotidianamente, così moltissimo del suo materiale deve servire non tanto ad una lettura musicale, quanto ad un'interpretazione (perdonatemi, non volevo usare questa parola, cercate di capirmi) sociologica. Mi spiego: Ferraro ha prodotto un sacco di merda, ma tantissima. Però quei suoni lì, quelle sue intuizioni, spesso lanciate a cazzo di cane, ti danno l’esatta dimensione di un qualcosa di molto più ampio, che, nel primo periodo, è la merdamusic (avant-folk, noise/drone americano, le cassettine che tornano in auge), nel secondo il rapporto tra uomo e tecnologia. È uno che riesce a codificare un mondo (quello in cui è immerso di volta in volta), a concettualizzare musicalmente quell’universo che lo investe. E lo fa tentando sempre la strada più semplice, quella della personalizzazione del suono, che è anche la più difficile. Sembra un grande regista, Ferraro, uno che ha capito tutto, che riesce pure a esprimerlo, ma con un canovaccio che non sta in piedi o che, in realtà, ci sta solo in modo profondamente frammentato.

Ma, più probabilmente, sono io che non ho capito un cazzo.

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[ James Ferraro è in tour in Italia in questi giorni: mercoledì sarà a Roma e giovedì a Firenze ]