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Musica

Orietta Sintetica (a Sanremo)

Italian Folgorati speciale Sanremo: ricordiamo quando Orietta Berti ci provò al festival con l'electropop, e non beccò neanche troppo male.

"A VOI RUSSI O AMERICANI / IO NON DELEGO IL SUO DOMANI / SU MIO FIGLIO NON METTERETE LE VOSTRE MANI"

(Orietta Berti, da "Futuro", 1986)

Febbraio, come sapete, è caratterizzato da quello spettacolo-totem chiamato Sanremo. Nostro malgrado verremo, come da copione, tempestati da gossip a questo proposito, ma una volta il festival non era certo solo questo. Sanremo, oltre ad essere stato la più classica delle vetrina della melodia italica all’estero, è stato anche la culla di personaggi controversi e a tratti sperimentali che magari sono durati un giorno e mezzo e in altri casi hanno trionfato in eterno (vedi Vasco Rossi e Matia Bazar). In tutto questo marasma, c’è un personaggio femminile che ha tentato la fusione dello Ying e dello Yang sanremese in uno slancio fra il kamikaze e il ponderato. Stiamo parlando di Orietta Berti

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La povera Orietta , ospite praticamente fissa di Sanremo, non ha mai avuto vita facile con la critica. Il pubblico invece le ha sempre regalato ovazioni. Il perché di questa idiosincrasia è ben spiegato da Gianfranco Manfredi nel suo saggio dell’81 Mina, Milva Vanoni E Altre Storie dove, in pratica, sottolinea la matrice popolare e di campagna dell’Orietta, molto più verace delle sue sofisticate rivali. In effetti, l’operato di Orietta è roba da sesso nel fienile, generosi fiaschi di vino e dopolavoro operaio, dove la danza è fondamentale su arie spensierate: qualcosa, quindi, di genuino e privo di implicazioni pseudo-intellettuali. Si tratta di folk senza mezzi termini sostenuto da una voce obiettivamente bella e potente, non priva di languori lussureggianti. A chi la accusa di essere nazionalpopolare, risponde con la militanza musicale in zone rosse, sul campo, e non a fare aperitivi in centro tipo Ornella Vanoni. Anche nel cinema, la ricordiamo a fianco di Tognazzi ne “i nuovi mostri”, in cui con schietto semi-autobiografismo denunciava l’impresariato sciacallo dei tempi.

Certo che, però, arrivati gli anni Ottanta, la nostra Orietta comincia a perdere colpi. I tempi sono cambiati, il pop anglosassone, con i videoclip , sta accentrando su di sé tutti i consumi musicali: anche le balere cambiano volto, e infatti in un album d’epoca la Oriettona incide una versione de “I Sogni Son Desideri” (lo sapevate? La voce della colonna sonora di Cenerentola era sua) in versione disco. Ci vuole una sterzata netta, anche per scongiurare il rischio “fenomeno da baraccone” alla Reitano.

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Sterzata che puntualmente arriva.

Nel 1986 la Berti si presenta a Sanremo con il suo buon brano inedito: si chiama “Futuro” . Fin dal titolo e dalle prime note si sente la rivoluzione in atto: musica completamente sintetica, suonata con macchine tipo Synclavier e nessuna traccia dell'elemento umano. L’unica cosa calda è la voce di Orietta, che canta un testo di paranoie nucleari e il suo rifiuto di scendere a compromessi col potere. Una melodia vocale coerentissima con la tradizione su un tappeto quasi alla Fad Gadget, testi in sintonia col periodo storico—Sting ma anche, se vogliamo, il Moravia de L’Inverno Nucleare—a cura di Umberto Balsamo, che è il produttore di tutta sta faccenda.

Balsamo è famoso alle masse per aver scritto “Balla”, meglio conosciuta per l’inciso “Sciogli le trecce e i cavalli corrono”. Un brano misto fra tarantella e disco che—nel bene e nel male—ricordano pure le piante. Ma la scelta non cade solo su di lui: alle programmazione abbiamo infatti Stefano Previsti, di cui già parlammo come collaboratore di Gianna Nannini. E infatti "Futuro" è fin troppo debitore di Fotoromanza, al punto da sembrare un plagio. In realtà è il modo di Oriettona di unire il passato folk (che implica anche la rielaborazione e la trasmissione orale) con l’attualità dell’elettronica, con ovviamente molto più fuoco sul primo. Sulla carta, l’unione di questi mondi distanti promette qualcosa di sicuramente assurdo.

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In effetti l’album, trainato dal singolo omonimo, è piuttosto strano. Al primo ascolto sembra un disco per tossicomani avvezzi alla balera, ritmi alla morfina, ballate elettropop suadenti come se Orietta fosse una Geneva Jacuzzi emiliana. A volte si sentono echi melodrammatici che quasi quasi vorresti Marc Almond dei Soft Cell a cantarci su: tipo in “Quando Cammini Tu”, brano proto–lounge, con echi dei Righeria di “Gli Parlerò Di Te”, la Diana Est di "Diamanti" e gli Hong Kong Syndikat oppure in “Senza Te” che sembra Seven Seconds di Youssu N’Dour e Neneh Cherry, talvolta anche i Portishead se fossero adusi a vivere in una cascina. “Parla Con Me” sembra scritta da Moroder, tipo “Take My Breath Away” per i Berlin, con quel botta e risposta con Balsamo, e sfoggia un finale con arpeggiatori in loop infinito da diventarci deficienti. “Giurami” è una cosa alla Nada ma con un arrangiamento fra il Battisti di “L'Apparenza” e la roba alla Celso Valli: i Washed Out potrebbero campionare a sbafo senza problemi.

I testi sono d’amore, ma permeati di delusioni e cocenti malinconie. Ovviamente Orietta non nasconde il suo essere moglie, madre e attaccata a un mondo popolare e romantico: ma spuntano fuori tradimenti, depressioni del quotidiano, la già menzionata paranoia del nucleare e l’alienazione di coppia. Insomma, tematiche poco rassicuranti. Musicalmente uso larghissimo di giri di DO, brani di liscio che poi però diventano una specie di orchestra elettronica alla Jean Michel Jarre; il lavoro di Previsti sembra quello di uno che si sta facendo un bucio di culo così per dare corpo a idee musicali diafane ed evocare una balera per robots avvezzi ai lenti.

Le soluzioni del disco—per quanto spesso chiaramente discutibili—otterranno il risultato sperato. Sesto posto a Sanremo e, finalmente, la Berti torna in classifica. Non a caso questo disco è forse il più interessante dopo quello che di Orietta è il capolavoro: Zingari, del 1976, dove rilegge in italiano classici del folk moldavo, ucraino ecc… Roba inusuale per i tempi, se non proprio coraggiosa visto la grande “simpatia” dell’italiano medio per i gitani. Interessante perché resta nella linea folk, cercando di proporlo in modo elettronico addirittura prima dell’intuzione di Malcom McLaren sull’8 Bit (probabile l’uso del Commodore, all’epoca in fase sperimentale, per le sequenze). Un tentativo di svecchiarne le formule per portarlo nel duemila,un esperimento synth-folk insomma. Si tratterà comunque dell’ultimo exploit commerciale/sperimentale di Orietta Berti e dell’inizio, più che di un declino, di un flat perenne, fra amarcord e programmi tv dell’ora di pranzo, ma sempre vissuto con dignità e semplicità, con la coerenza di chi non ha mai preteso chissacché, se non stare vicino alla gente. Come recita in “Ascolta Mario”, brano che sembra trattare la tematica del suicidio: “La vita è unica, l’amore il seguito. Ascolta Mario, tu non lasciarla mai.”

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