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Musica

Il successo di Bocelli e il successo della trap italiana

Bocelli è arrivato primo nelle classifiche inglesi e americane, ma non in Italia: quanto è importante cantare bene se i fan cercano qualcos'altro?
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C’era una volta la musica, c’era una volta il musicista, il cantante, lo strumentista e via così… Dall’incipit di questa favoletta già vi vedo storcere il naso esclamando: “Ecco il solito nostalgico che attacca con il proverbiale si stava meglio quando si stava peggio”. No ragazzi, tranquilli, il mio non è il lamento dell’ ultimo dei moicani, ma semplicemente una constatazione, sicuramente banale.

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Non guardo X Factor, ma quando mi hanno segnalato l’esibizione della Dark Polo Gang della settimana scorsa, due domande me le sono fatte. Innanzitutto: la musica della DPG ha subito una sterzata netta verso un pop sicuramente catchy, autoreferenziale e con testi insolitamente politically correct, che in qualche modo li accomuna oggi più ai Gemelli DiVersi che ai trapper che conoscevamo. Se già tempo fa ero perplesso sul discorso che facevano a livello di immaginario, adesso diciamo c’è la certezza che al rap si preferisce il sound di una pubblicità. Chiaro, si fa sentire l’assenza di Dark Side, ma in generale anche quella del dark side tutto. E questo perché la musica è in secondo piano: l’importante è l’immagine e il pacchetto completo dei personaggi, manco fossero Playmobil. C’è dell’altro: mi sembra proprio che i nostri non cantino una nota e si esibiscano con un secco playback. L'impressione che ho avuto è che i loro microfoni non fossero nemmeno attaccati al mixer.

Questo non ci scandalizza più di tanto: il playback ha una tradizione che risale agli anni Settanta, usato nei teatri sperimentali per confondere e scuotere il pubblico, come nelle manifestazioni di massa quali il Festivalbar per risparmiare tempo e denaro. Soprattutto negli anni Ottanta è stato una specie di tensione all’ automazione completa, finalmente l’artista affrancato dal lavoro, un secco: “A che pro sbattersi se poi qua si tratta appunto di vendere saponette”?

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Per questo motivo forse il playback potrebbe essere l’unico modo per demolire dall’interno un sistema quale quello dello sfruttamento delle galline dalle uova d’oro delle sette note. Quello che però ci inquieta è che tutto ciò susciti ovazioni tra i giovani consumatori di musica, come se si fosse inventata l’acqua calda. Forse perché il playback oggi è il cantato di domani? C’è tanta differenza? Non è che, considerato poi che molti trapper ci tengono a cimentarsi nel canto con risultati che non stiamo a sottolineare, sono entrambi ormai relegati al rango di specchietto per le allodole?

Il dubbio mi viene perché nello stesso momento c’è un cantante che sta sbancando tutto nonostante si esibisca ancora dal vivo e si ostini a seguire la via del “bel canto”, in un 2018 che sembra proprio andare da tutt’altra parte: costui risponde al nome di Andrea Bocelli. Esatto, il famoso “tenore del pop” è riuscito proprio in questi giorni nell’impresa di arrivare primo nella classifica Billboard 200, primato messo a segno solo da Modugno con Volare. E questo primato incredibile lo raggiunge solo per aver pubblicato un album di inediti dopo 14 anni di cover, contro cover, reprise di arie d’opera e via discorrendo. Si direbbe che mentre i vari trapper italiani si accontentano di modesti risultati nel loro orticello campanilistico, il canto “classico” della Penisola si prende una sua rivincita clamorosa. La gente è quindi stufa di sentire snocciolare parole? Vuole ascoltare qualcuno che davvero faccia qualcosa invece di soffiare solo in un microfono spento? Oppure c’è dell’altro?

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Ebbene il caso Bocelli io non l’ho mai compreso. Come tenore non mi esalta, come cantante pop men che meno. Mi è sempre risultato assurdo il fatto che un brano come “Con te partirò” abbia avuto tanto successo all’ epoca, se non altro perché il ritornello mi portava alla mente ricordi di altre cose già sentite di Battiato. Anche il nuovo singolo, "If only" mi ricorda qualcosa di Michele Zarrillo e in generale il testo sembra preso da un pezzo trap, per quanto è ermetico e sconclusionato. In un certo senso Bocelli si muove su un pattern di melodie già sperimentate, cosa che in qualche modo lo accomuna a certe basi trap nelle quali manco si citano gli autori, si saccheggiano via internet e tanti saluti.

Cosi come lo sfruttamento del suo personaggio, in qualche modo icona della sofferenza che vince grazie all’ugola, mette in secondo piano tutto il resto: c’è dietro una strategia di marketing fortissima, aggressiva e che ovviamente prevede come nella migliore tradizione dei feat. nel rap ospitate di cantanti famosi per ottenere consensi (stavolta abbiamo Dua Lipa, una volta c’era Zucchero).

È il cavalcare una moda, come dice anche Senese parlando del tenore in maniera non tenerissima. Bocelli è un prodotto di laboratorio come lo era il Pavarotti del Pavarotti and friends, dove il peggio del pop univa il peggio della lirica, ottenendo in un certo qual modo un effetto paradossale, quasi robotico, straniante, talmente assurdo da risultare affascinante. A Bocelli hanno fatto per anni la guerra coi meme che ironizzavano (con una buona dose di cattivo gusto) sulla sua cecità e lui in risposta ha capitalizzato questa cosa in un disco come Cinema in cui rifà brani di famosi film. Anche nei titoli, si va sul sicuro (l’ultimo disco si chiama , che in pratica è un’ipoteca sulla riconoscibilità di un prodotto italiano all’estero).

È come se Bocelli fosse la versione “in positivo” di Sfera Ebbasta che fa finta di essere miliardario, Andrea è invece pettinato, di basso profilo, anziché con i capelli colorati e annesso paradenti. Sì ok, la musica di Bocelli è roba leggera come una piuma, parla d’amore, è accattivante come una scatola di cioccolatin, ma se la vediamo dal punto di vista di prodotto di consumo le cose si equivalgono.

E dunque? Dunque a mio parere la questione è che non è importante che si canti o meno dal vivo: l’importante è che l’artista faccia musica che sia valida e non esclusivamente al servizio del mercato discografico. Bocelli, per essendo un fervente cattolico, in questo momento è più maledetto dei trapper nostrani e si è preso lo scettro di Papa nel Vaticano del pop: qui sta la differenza, qui sta il “miracolo”, il belcanto o il suo opposto non c’entrano niente. Lasciatemi dunque sospirare l’antico adagio “C’era una volta la musica, c’era una volta il musicista, il cantante, lo strumentista ecc…”, perché mi sa che da questo pantano non se ne esce facilmente.

Demented tiene per Noisey la rubrica più bella del mondo: Italian Folgorati.

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