Dai Gazosa a Puccini: storia di Federico Paciotti
Foto per gentile concessione dell'artista.

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Musica

Dai Gazosa a Puccini: storia di Federico Paciotti

Il chitarrista è tornato sulle scene a 16 anni da "www.mipiacitu" con un album di... opera metal?

"Va' a intervistare Federico Paciotti", mi dicono un giorno. "Chi?" rispondo io. "L'ex chitarrista dei Gazosa. Adesso canta l'opera e ci piazza dentro la chitarra elettrica con le cose hard rock, metal, sai, quelle cacate che ascolti tu". Assorbo il colpo e inizio a documentarmi. Tutto vero: il quattordicenne che correva in spiaggia schitarrando vuvuvù mipiacitù guardando Megan Gale di sottecchi in piena tempesta ormonale preadolescente oggi di anni ne ha trenta, si è diplomato tenore al Conservatorio Santa Cecilia di Roma e ha appena pubblicato un disco, dal programmatico titolo Rosso Opera, in cui canta arie dalla Tosca e dal Nabucco riarrangiate per fare spazio alla chitarra elettrica, con cui fa un po' di guitar-heroing lavorando sodo sul manico.

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Nel tempo libero, poi, Federico vince audizioni e partecipa e tiene concerti con ospiti e in luoghi illustri: in Vaticano diretto da un Maestro giapponese, in Kazakistan per l'Expo di Astana, in Arena a Verona per una trasmissione televisiva nazionale. Un certo pedigree, che mi fa pensare che forse la qualifica "ascoltatore di metal & cacate" mi rende un po' impreparato all'incontro con un astro nascente della nouvelle couture musicale nostrana. Decido quindi di indossare la mia migliore faccia da culo e addirittura una camicia, e mi presento all'incontro molto incerto sulla piega che prenderà la serata.

In un tardo lunedì pomeriggio, a pochi metri dalla fermata di piazza della Repubblica, nel cuore della Milano che lavora, vengo accolto dall'arzilla Elena, agente di Federico, che mi guida ad un bar tutto vetri e arredamento in colori chiari. "Su faceva caldo, per cui perché non chiacchierare al bar, che è così tranquillo?" Ed è a questo punto che incontro Federico, l'aria un po' stanca e lo sguardo gentile, ma soprattutto l'abito scuro e la cravatta. La mise da rocker dannato del 2015 è durata poco, evidentemente, e oggi ho davanti un professionista in carriera. Mentre ci presentiamo, Elena si industria per assicurarci tutti i comfort: si sta bene? qualcosa da bere? due pizzette magari? Così, mentre sorseggiamo cocktail analcolici alla frutta esotica (loro) e acqua minerale (io) inizia la chiacchierata, tra una tartina vegetariana e una patata al forno gourmet ma non troppo.

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Noisey: Prima domanda obbligata: come sei passato dai Gazosa all'opera?
Federico Paciotti: Mah, guarda, la mia doppia anima nasce ancora prima dei Gazosa. Ho iniziato a suonare la chitarra che avevo cinque o sei anni, il canto è venuto poco dopo, ma già allora stavo in fissa per Paganini e volevo suonarlo sulla chitarra. La musica classica già c'era, insomma.

Allora rigiro la domanda: come sei finito dall'opera ai Gazosa?
Mio papà suonava con Claudio Simonetti [quello dei Goblin, mica pizza e fichi, N.d.R.], e io ho iniziato con la chitarra perché seguivo papà nei negozi di strumenti musicali. Il papà della cantante andava nello stesso negozio di strumenti, a Monteverde, a Roma, e un giorno chiese a mio padre se conoscesse qualcuno con dei figli che volessero suonare, per mettere su un gruppetto per Jessica. Il batterista lo trovammo tramite una scuola di musica, e così la domenica iniziammo a trovarci e a suonare roba anni '70, perché eravamo tutti cresciuti coi genitori che ci facevano ascoltare Led Zeppelin, Hendrix, io ho iniziato con "Voodoo Child", figurati. Immagino che adesso vorrai chiedermi come siamo finiti da lì a "www.mipiacitu".

Appunto. Dagli anni '70 alla hit dell'estate, com'è successo? Ci sono un po' di cose che il mondo deve sapere.
Ecco. Quel passaggio non l'ho mai capito nemmeno io.

Però è successo, confermi che è successo, eri presente.
Sì, sì, è successo. Abbiamo iniziato a costruirci questo mini repertorio di cinque o sei brani, e siccome il papà della cantante lavorava in Sardegna durante l'estate e aveva un gruppo r'n'b con cui faceva serate, ci propose di farci una vacanza e suonare per aprire al suo gruppo. E questo abbiamo fatto. Una sera c'era tra il pubblico uno degli autori di Disney Club, che impazzì per noi. Ci volle nel programma, e così iniziò l'avventura di Torino. Tra l'altro, io me lo guardavo il Disney Club.

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Ci mancherebbe altro, lo guardavamo tutti.
Eh, quindi andare negli studi del Disney Club per me era tipo [assume un'espressione allucinata da vero die hard fan del Disney Club]. Così durante la trasmissione suonammo Tina Turner, Prince, di nuovo i Led Zeppelin, insomma tutte le cose che facevamo di solito.

Che però non erano "www.mipiacitu".
No, assolutamente no. Però da lì è successo un po' di tutto. Iniziarono a chiamarci le case discografiche, ma i nostri genitori si opposero, perché il tutto era partito per farci crescere musicalmente, non per farci finire in un tornado commerciale. Comunque, quando stavamo per firmare con la BMG, venne la signora Caselli ad ascoltarci dal vivo e ci fece un discorso molto bello, con una progettualità di crescita per noi ragazzi. Da lì tempo un anno e mezzo uscimmo con un disco tutto in inglese, e sai che fare un disco in inglese in Italia, insomma, la gente lo prende in mano, vede i titoli in inglese e lo rimette a posto.

Sì, oggi si spera un pochino meno, quasi vent'anni fa molto di più, certo.
Sì, ma all'epoca… E poi considera che tutte le parti le registrammo noi, e far registrare un disco interamente a ragazzini di undici anni fu davvero un lavoro importante, un passaggio di crescita nella disciplina della musica. A quel punto arrivò l'avventura di Sanremo, una di quelle cose che succedono quando i pianeti si allineano e manco tu capisci bene com'è che ti ci ritrovi dentro. Probabilmente avevamo il brano giusto, un'immagine un po' fresca, da ragazzini. Quel successo non se lo aspettava nessuno, comunque.

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E visto che parli proprio di immagine, oggi quanto è difficile affrancarsene? Ancora oggi nei comunicati vieni presentato come artista maturo, che ha iniziato giovanissimo, ma il riferimento ai Gazosa c'è sempre. È una cosa che ti turba in qualche modo, che ti fa piacere, come la vivi?
No, no, non mi turba. A parte il pezzo commerciale in sé, nei dischi dei Gazosa ho sempre cercato di dare un contributo mio, con gli assoli e le parti di chitarra, che facesse sentire il mio background, non è qualcosa da cui prendi le distanze.

Quindi non ripudi il tuo passato o scemenze del genere.
No, affatto. Chiaro che oggi, a trent'anni, quando ascolto "www.mipiacitu" sorrido perché è un brano-gioco, ma a dodici anni chevvoicantà?

Giustamente. Quindi sei contento dell'esperienza.
Assolutamente, è stata un'esperienza meravigliosa, poter fare Sanremo così giovane mi ha dato anche, quando ci sono tornato due anni fa, la possibilità di viverla diversamente perché era un palco su cui ero già salito. Potessi scegliere rifarei l'esperienza dei Gazosa ogni volta che nasco. Anche umanamente, tra di noi, tra i nostri genitori… È stata una bella esperienza. Quel brano era giusto per quell'età, era una cosa pulita, carina, da bambini.

A questo punto arrivano le pizzette sul tavolo, e Federico le adocchia insistentemente, ma è troppo educato per fare il primo passo. Lo rassicuro sul fatto che non mi offendo se mangia una pizzetta mentre parla, lui ne addenta una e si lascia andare un po' di più.

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E, archiviata quell'esperienza, come hai proseguito? Sicuramente con lo studio accademico, ma che hai fatto in questi sedici anni? Quello che è uscito ora è il tuo primo disco, giusto?
Sì, è il primo disco, ma sai, sono sempre stato convinto che se uno nun ci ha 'n cazzo da di', mejo che se ne stia zitto. Va bene l'esperienza dei Gazosa perché era una cosa da bambino, ma da ragazzo e uomo voglio salire sul palco se e quando quello che sto andando a raccontare mi rappresenta, non perché ho una faccia conosciuta. E così ho sempre fatto. A diciotto anni ho fatto un kolossal teatrale con l'orchestra di Morricone, su un cast di seimila cantanti ci hanno preso in sei e abbiamo fatto due anni di tournée. Tutte cose che mi hanno arricchito. Poi ovviamente il conservatorio, che mi ha dato grande inquadratura mentale.

Io l'idea di fare l'opera e aggiungere del rock l'ho sempre avuta, ma mi colpì tantissimo il film Moulin Rouge, te lo ricordi? A un certo punto c'è un remake di "Roxanne" che è veramente bellissimo. Poi i Police sono uno dei gruppi che nella mia infanzia musicale hanno avuto un ruolo importantissimo, e sentire un brano che io avevo ascoltato per tanti anni in una veste completamente diversa mi ha fatto pensare che effettivamente allora queste cose si possono fare e possono anche funzionare. Ho pensato che la strada fosse giusta.

Tieni conto che io ho sempre cercato di essere "rispettoso" nei confronti dell'opera, non volevo prendere qualcosa di pronto e appiccicarci le chitarrine, quindi ho risuonato tutta l'orchestra coi virtual instrument e quando avevo tutte le arie con l'orchestra pronte e cantate da me ho fatto degli innesti musicali, ma sempre e comunque mantenendo lo spartito. Insomma se levi il contributo di musica moderna, ti rimane l'aria esatta, precisa.

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È interessante questa cosa. Mi è capitato diverse volte, soprattutto man mano che la musica diventa più estrema, di trovarmi davanti a gruppi che fanno larghissimo uso di ibridazione sinfonica od orchestrale, anche in generi come il death o il black metal. La particolarità è che loro rimangono sempre gruppi rock che aggiungono la musica classica. Al contrario, tu sei un musicista classico che aggiunge al suo lavoro il rock come elemento successivo.
Esatto. Io sono partito dalla mia voce e dall'orchestra, poi ho iniziato a sperimentare, a metterci dentro dei tempi di batteria… Per esempio: sembra un'eresia, ma prendi Verdi. Verdi è il tripudio dei tempi ternari, ed è heavy metal, se tu lo ascolti tu-tum tu-tam tu-tum tu-tam tu-tum tu-tam, se tu ci metti la batteria è la morte sua, e mi sono accorto di quanto stanno bene insieme. Da lì ho iniziato con gli arrangiamenti, e ci ho messo diverso tempo. Ci ho lavorato per tre anni, a questo disco, nel frattempo portando avanti lo studio vocale, chitarristico, di pianoforte, musicale in generale. A un certo punto sono arrivato a qualcosa che secondo me aveva un inizio e una fine, a una proposta musicale che aveva il suo senso, con uno stile coerente per tutte le arie. Lo feci ascoltare all'epoca al direttore del conservatorio, che mi diede molto sostegno, e mi fece fare dei test, facendomi cantare anziché con orchestra e voce o pianoforte e voce, con i miei arrangiamenti. Il primo lo facemmo a Tor Bella Monaca, un quartiere di Roma bello tosto. Concerto gratuito, con sette, otto cantanti, tutto Puccini, e io cantai le mie arie con la base rock. E funzionò.

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Allora ho pensato di contattare la signora Caselli, con cui ho sempre avuto un ottimo rapporto e che si ricordava di me, perché mi ha sempre visto come una sorta di operaio della musica. Quando ho avuto un'idea precisa su Rosso Opera, l'ho portata a lei, che oltre ad essere una discografica è un'artista, e ha una mentalità molto aperta. Le ho mandato un sample con alcune arie, e infatti ha capito cosa stessi facendo. Erano anni che non ci vedevamo e non eravamo più in contatto, ma quando ha sentito quello che stavo facendo le è piaciuto, così mi ha fatto fare un'audizione e dopo quell'audizione siamo partiti a lavorare. In Rosso Opera ho avuto l'occasione di collaborare con dei grandissimi professionisti, metà disco l'abbiamo fatta con Celso Valli, che è l'arrangiatore di Vasco Rossi, Bocelli, Ramazzotti… E metà con Simone Bene, che sta a Los Angeles e lavora nel team di Hans Zimmer. Ci abbiamo messo due anni.

federico paciotti rosso opera cover artwork copertina

Ah. Nientemeno. Quindi tu quando ti sei presentato a Caterina Caselli avevi il disco già scritto, e da lì sono partiti due anni di lavori per le registrazioni.
Sì, il disco era già scritto, poi ci abbiamo messo due anni per lavorarci e mettere insieme tutto, ma io avevo già completato tutta la scrittura con tutti gli innesti nelle arie. Poi sono arrivate delle grandi opportunità che abbiamo colto, come ad esempio tornare a Sanremo. Carlo Conti è stato molto gentile a farmi aprire la terza serata come ospite, ed è stato un test per vedere come il mio lavoro venisse recepito.

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Ti confesso che io ho visto i video solo successivamente, non rientro nel pubblico tipico di Sanremo, ma sei effettivamente molto attivo. La settimana scorsa hai suonato all'Expo ad Astana, in Kazakistan, com'è nata una possibilità del genere?
C'era stato uno scambio culturale tra il Kazakistan e Santa Cecilia, e avevamo ospitato i kazaki nel nostro teatro. Lì loro hanno visto il mio materiale, che gli ha mostrato il presidente del conservatorio, ed erano rimasti colpiti, tanto da voler organizzare un concerto con me. È stato un successo per me, perché il teatro ha venduto 3300 biglietti, che è la capienza massima. Là ho suonato con l'orchestra di Santa Cecilia, e la cosa più bella è stata il feedback del pubblico. Si è creata quell'alchimia che c'è quando capisci che non stai facendo quella cosa da solo, ma la stai facendo insieme a tutte le persone che sono lì con te. Ed è bello anche perché tu vai dall'altra parte del mondo ed esporti il tuo Paese, alla fine io esporto il made in Italy, l'opera è patrimonio nostro, e se trovi una risposta simile, dopo anni di lavoro, è molto bello.

Poi ho suonato all'Arena, a Verona, cantando "Nessun Dorma" in una serata dedicata a Puccini, con Brian May come ospite d'onore. Si parlava delle band che hanno fatto innesti, come dicevi tu prima, di musica classica nel rock, e ovviamente i Queen sono stati tra i primi. Anche in quel caso c'è stata una risposta quasi inaspettata, perché nessuno pensava davvero che il mondo dell'opera potesse aprirsi così tanto.

Probabilmente perché, come discutevamo prima, la tua musica è effettivamente opera, e come tale è stata riconosciuta, seppur con delle "aggiunte". Poi c'è da dire che il mondo dell'opera non è nemmeno così chiuso, uno dei miei migliori amici è violoncellista in Arena e ci siamo conosciuti da ragazzini andando ai concerti black metal insieme. Forse, più che altro, è un mondo poco conosciuto.
Assolutamente, sì. Guarda, l'opera è una cosa nata per il popolo e non ha mai voluto essere per l'élite. Lo è diventato, qualcosa d'élite, ma in origine era per la gente comune. Se tu leggi le trame di Verdi, o di Puccini, troverai sempre storie che riguardano persone normali. Un concetto che si ricollega all'antica Grecia, addirittura, dove il teatro rispecchiava la vita di tutti i giorni.

Addirittura il teatro greco doveva essere educativo, pedagogico.
Non solo, era visto anche come una sorta di percorso di psicoterapia per lo spettatore. Qualcosa "per noi" gente normale, insomma. Ed è quello che vedo ai nostri concerti, dove il pubblico è formato tanto da ragazzi che ascoltano rock e sono incuriositi, a settantenni appassionati dell'opera, a cinquantacinquenni appassionati di prog settantiano. E non è vero che ai giovani non piace l'opera, è che essendo una cosa che uno deve andarsi a cercare, spesso non la incontrano. Dei ragazzi che suonano gli Slipknot mi hanno mandato una cover con l'elettrica di "E Lucevan Le Stelle" [uno dei brani/delle arie di Rosso Opera], e quella per me è la soddisfazione più grande. Questo è un patrimonio del nostro Paese che tutti nel mondo ci invidiano, e credo che noi giovani abbiamo la responsabilità di continuare a tramandarlo, e non solo nel teatro.

E qui mi porti a farti un'ultima domanda allora: prossimi progetti?
Adesso siamo in tournée per un po', tra l'altro insieme ad uno dei più grandi tenori del mondo, che è anche sul disco, Ramon Vargas; abbiamo suonato qualche giorno fa ad Assisi insieme e staremo in giro per qualche tempo. Tra l'altro faremo due tipologie di concerti: dove potremo, suoneremo con l'orchestra, ma dove gli spazi non lo permetteranno avremo una formazione un po' più scarna con due o tre violini, batterista e bassista. Io nasco come musicista "di strada", quindi vorrei molto portare la mia musica anche in contesti diversi, nei pub o nei locali. Anche perché l'aspetto che a me piace di più è quello live: mi piace suonare e mi piace stare sul palco, e il disco stesso è nato con l'idea di portarlo dal vivo. Fin dall'inizio con Caterina ci siamo mossi verso la costruzione di uno spettacolo.

Andrea è uno dei Lord di Aristocrazia Webzine.

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