Peggio dell'Italia peggiore

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Musica

Peggio dell'Italia peggiore

...c'è Lo Stato Sociale. Ecco perché il loro nuovo disco, invece di farci riflettere, ci riflette e basta.

DISCLAIMER #1: A qualcuno tra quelli che seguono abitualmente queste pagine, questo sembrerà solo l’ennesimo ripetersi di uno stesso ritornello, di uno scontro che al terzo round è oramai diventato troppo semplice e anzi già al secondo mostrava un po’ la corda. “Birsa Vs. l’indie italiano”, in cui si spara sulla croce rossa e grossa attaccando musicisti che vabbé, LO SAPPIAMO GIÀ che (ti) fanno schifo, è ovvio, cosa perdiamo tempo a fare. Ecco, senza mettermi a fare l’avvocato di me stesso, voglio spendere almeno due righe per sottolineare che dissezionare i percome della musica popolare italiana (abbiamo già stabilito che non ha più senso chiamarla “indie”) non serve ad altro che a chiedersi che tipo di significanti sociali siano stati inclusi dall’artista in causa nel disco in causa, e chiedersi in che maniera verrano decodificati dal mondo circostante. E no, non gli sto “facendo pubblicità”, almeno a patto che questo articolo venga davvero letto per quello che vuole illustrare e finisca per occupare uno spazio attenzionale critico e non neutro nella capoccia di chi legge. Insomma, si tratta solo di farsi delle domande su un aspetto della cultura italiana, che ha delle cause e delle conseguenze nella stessa cultura e società italiana. Dovrebbero essere i minimi termini di un lavoro critico. Passatemi le pretese, cazzo.

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Il disco che mi ha dato al cazzo oggi è il nuovo album de Lo Stato Sociale, L’Italia Peggiore. In realtà la bile me la sono consapevolmente cercata e mi sembrava importante confrontarsi con questo disco e questa band, per tutti i motivi elencati sopra e altri ancora. Del resto, il loro lavoro precedente, Turisti Della Democrazia, lo avevamo insignito del titolo di peggior disco del mese quando ancora ci tenevamo tanto a quelle recensioncine brevi fatte apposta (non è vero) per fare incazzare la gente. La recensione l’aveva non-firmata Francesco Farabegoli, che giustamente lo definiva il disco italiano più importante di sempre… Ma faceva schifo! Anzi, era proprio nel suo fare schifo che l’album trovava autorevolezza a proposito dei tempi che corrono, rivelandosi per qualcosa che ci meritavamo ma di cui non avevamo bisogno: un disco di merda in un paese di merda, un po' come il verbo “sguazzare” all’infinito. Finendo abbastanza in fretta per concordare con Francesco, mi irritai ancora di più quando uscì il video di “Sono Così Indie”, la canzone che perculava il mondo di Rockit e dei vari Vaschi Brondi ospitandoli però tutti insieme in una versione ancora più autoreferenziale e autocelebrativa di roba come “La Nuova Musica Italiana” dei Linea 77 e di tutti i tentativi di Manuel Agnelli di creare un Movimento 5 Stelle Rock. Questa a me pare una maniera di rapportarsi col piatto in cui si mangia degna di Salò.

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L’elemento di scazzo, comunque, stava tutto nell’uso tracotante che il pezzo faceva dell’ironia, o post-ironia o non so neanche più io che cazzo, comunque di un distacco che finiva per doppiarsi da solo e diventare un gigantesco catafalco di seriosità in grado di schiacciare qualunque altra cosa. Il cinismo estremo della traccia dimostrava che chi l'aveva scritta non poteva non sapere che a fare autoironia in quel modo si scade nell'autoindulgenza più totale, e quindi produrre più benefici che danni a un mondo di cui si sono comunque riconosciuti i limiti, i problemi e le nocività. Senza temere un minimo le contraddizioni, la band se le faceva rimbalzare tutte addosso e precipitare addosso a chi gli sta attorno, fottendosene bellamente di quanta distruzione stavano causando nel Paese reale.

La parte strettamente musicale del loro lavoro è completamente al servizio dell’ironia, è quanto di più significativo si possa produrre facendo roba insignificante: synth-pop semplicissimo, electro house dozzinale e fatta volutamente male. Servono a mettere in totale risalto la voce e il testo perché, si sa, in Italia funziona così, bisogna imporre il discorso in maniera coercitiva anche dentro l’ascolto più superficiale, ma anche a creare un vero e proprio senso di distacco perché non impegnarsi troppo a fare il musicista vuol dire automaticamente avere qualcosa di importantissimo da dire e non stare a perdere tempo coi suoni. È praticamente la stessa formula de I Cani, ma estremizzata da una voce “alla bolognese”, cioé il recitato lagnoso degli OfflagaDiscoPax, mutuato dai Massimo Volume che a loro volta lo avevano mutuato dagli Starfuckers, e che è oramai diventato una cosa completamente diversa da come l'aveva concepito Manuel Giannini. Ora serve solo a mantenere lo stesso distacco: guai a CANTARE davvero, ma pure a urlare, sussurrare, rappare, ad essere espressivo rischi di passare per uno che non ha le idee chiarissime su tutto. Però mi raccomando, metti la melodia nel ritornello, che pure fare roba non orecchiabile significa menarsela troppo da artisti. Meglio sempre menarsela il doppio, menarsela da quelli che non se la menano. È lo sport nazionale italiano.

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L’Italia Peggiore non è molto diverso dall’LP precedente, Turisti Della Democrazia. Anzi, ne è praticamente una versione rifinita e più decisa. In particolare il primo singolo, “C’eravamo Tanto Sbagliati” è a tutti gli effetti la seconda parte di “Mi Sono Rotto il Cazzo” (traccia-madre dell'esordio). Se possibile, questo lavoro è ancora più dichiaratamente politico, e si continua a notare una grossa differenza tra i pezzi cantati e firmati dal frontman principale Lodovico Guenzi e quelli degli altri della band, che rappresentano sì una novità ma non hanno ancora un posto preciso nello stile del gruppo, finiendo per suonare molto meno incisivi. I testi di “Lodo” sono ancora quelli che dettano la linea, che offrono il contributo più rilevante alla la linea estetica e politica del gruppo. Gli altri sono delle canzoni sceme tipo Elio E Le Storie Tese in versione DAMS.

La forma preferita dal Guenzi è quella dell’elenco: praticamente tutti i suoi pezzi sono liste di robe più o meno collegate tra loro, o di immagini surreal-sardoniche snocciolate col distacco di cui parlavo prima. Questa formula ha un miliardo di precedenti, da gli ovvi e già nominati (poi smetto, lo giuro) OfflagaDiscoPax ad Al Bano, dai Bluvertigo a Brondi, ma i veri inventori di questa formula, mi duole assai dirlo, sono i maestri della canzone milanese Gaber e Jannacci. Soprattutto il primo ha di che rigirarsi nella tomba, perché praticamente tutti i pezzi della band bolognese sembrano aspirare a una roba che ricordi “Io Se Fossi Dio” e “Qualcuno Era Comunista”. Poveraccio, il buon Giorgio è anche stato pioniere (ma non inventore) del teatro-canzone, e ovviamente Lo Stato Sociale ha fatto spettacoli di teatro-canzone 'ché tutti, in Italia, prima o poi devono fare teatro per dimostrare quanto sono seri. Brunori fa teatro, Cristicchi fa teatro, Saviano e Travaglio fanno teatro. Sarà pure ora che lo lasciate in pace, il teatro, cazzo. Questa del cabaret/cantautorato/impegno sociale/messinscena sarà pure una tradizione culturale italiana, ma è l’ennesima forma che da rottura e avanguardia si è trasformata in una scappatoia stantia e conservatrice.

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Ma torniamo al disco: ci sono tre pezzi che mi hanno colpito in particolare, molto più del singolo con Piotta che pare la versione Offlaga (argh, ancora?) di “In Italia” by Fibra&Nannini (a proposito: complimenti ar Piotta per i versi più insignificanti mai scritti). Trattasi delle tracce 1—“Senza Macchine Che Vadano A Fuoco”, 6—“Il Sulografo E La Principessa Ballerina” e 10—“Io, Te e Carlo Marx”, tutti e tre sembrano esplorare il rapporto tra amore e conflitti sociali, tra sentimenti privati e lotta di classe, con un certo nostalgismo amaro per l’epoca in cui le ideologie erano ancora vive o per una generica età di antagonismo politico forte, talmente astratta che potrebbe essere pure il 2001 o il futuro. In particolare la prima, sembra quasi un atto d’accusa verso chi ai tempi aveva scambiato la libidine per volontà rivoluzionaria, il che a me sembra proprio una cosa triste, la predica di uno convinto che la rivoluzione andasse fatte perché era la cosa GIUSTA e non perché un popolo intero ne sentiva il bisogno fisico ed emotivo. Non solo: l'idea di fondo è che se non ci sono riusciti in quell'epoca in cui tutto sommato ci credevano in tanti, figuriamoci se si può fare ora che non ci crede nessuno. L' "io" narrante si premura comunque di mettere in chiaro la propria innocenza: lui ha capito tutto, fosse per lui la rivoluzione si farebbe domani, siete voi che siete stronzi e se pure poi ci fosse la fareste fallire, quindi tanto vale non cagarvi. Magari l’ho fraintesa completamente, eh… Magari è veramente solo nostalgia di cose random. Lo Stato Sociale usa la disillusione politica contemporanea allo stesso modo in cui i CCCP usavano la favola dell’Emilia sovietica, in ogni caso: che due palle.

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Ad ogni modo, quello che Guenzi fa nella maggior parte dei suoi testi è puntare il dito contro tutto e tutti, soprattuto contro un’epoca e una generazione che hanno reso impossibile compiere atti significativi sul reale. Il problema è che si tiene sempre al riparo da quelle accuse, in una posizione rialzata e protetta da cui giudica il mondo senza manco soffrire per i suoi peccati. Alla fine è lo stesso profetismo che hanno nel sangue tutti questi nuovi menestrelli d’Italia, ossessionati dalle loro stesse parole, ed è un virus nato all’incrocio tra il cantautorato esasperato e gli status di Facebook. Guenzi non vuole fare l’eroe romantico come Capovilla, né il disagiato melenso come Brondi e manco il paternalista come Niccolò Contessa. La persona che emerge dalle sue canzoni è fatta in maniera diversa.

Assodato che già per cantare—e per scrivere—ci vuole per forza un ego smisurato, e pure che in “C’eravamo Tanto Sbagliati” Lodo manda affanculo anche quelli a cui basta ascoltare una loro canzone per credere di conoscerlo, io voglio comunque azzardare delle conclusioni, che magari non hanno niente a che vedere con la persona che è in privato, ma neanche vogliono averne.

La voce che parla in questo disco, comunque, è quella di uno che nutre un forte risentimento verso il mondo esterno, sinistra compresa, antagonismo compreso, e verso il gioco di ipocrisia e arrivismo sociale in cui tutto è completamente immerso. Tutti tranne lui, lui ha capito tutto e devi dargli retta perché è post-post-post-ironico e usa quel tono distaccato che gli permette di stare contemporaneamente con Civati e con le B.R. e contro entrambi. Lui stesso ha capito perfettamente che in realtà il suo desiderio più grande è quello di vincere al “loro” stesso gioco, ma non si lascia andare ai suoi desideri di protagonismo perché sa bene cosa è GIUSTO e di quali atrocità bisogni rendersi complici per avere successo nella vita. Finisce comunque, inconsciamente, per compierle tutte lo stesso, e se ne rende anche conto. Insomma, è come se avendo perfettamente chiari quali sono i mali del mondo, dell’Italia e della sua generazione, invece di adoperarsi per un cambiamento o per abbatterli, si limiti a sfotterli e a farglieli pesare. Così la situazione si aggrava e basta.

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In questo senso, quella de Lo Stato Sociale è a tutti gli effetti la voce di un’epoca, la più vera e autentica rappresentazione di una generazione (di cui faccio parte anche io) che non ha combinato un cazzo di significativo. Questo perché non abbiamo saputo mai mettere davvero in condivisione un’idea, un’urgenza, un progetto, snobbando ogni possibilità di farlo perché gli altri erano sempre troppo superficiali, troppo convinti e troppo autocentrati. Magari era anche vero, ma di passi per superare questo limite non ne ha davvero mai tentati nessuno e allora eravamo/siamo/restiamo ancora tutti superficiali, convinti e autocentrati come "gli altri". Gaber stesso tuonava in continuazione contro la sua generazione, branco di ex-rivoluzionari imborghesiti e abbrutiti, ma partiva anzitutto dalla sua stessa auto-crocifissione. "Noi" siamo partiti già colpevolizzati dalla storia, e con poche effettive possibilità di fare un cazzo, e abbiamo anche dimostrato con gli anni di essere proprio quelli meno in grado di interpretare la contemporaneità e modificarla. Ecco, i Lo Stato Sociale sono tra quelli che hanno avvertito questa insofferenza con grande lucidità, ma hanno deciso di sfruttarla per il proprio tornaconto. Pure il paragone con le favole CCCPiane di cui sopra è piuttosto calzante ma va rovesciato, perché se Ferretti sbeffeggiava sia la generazione precedente che la propria gridando "cosa succederebbe se al mondo ci fosse qualcuno che crede DAVVERO nella retorica dell'Emila rossa?", ebbene, questi si chiedono "cosa succederebbe se il mondo fosse pieno di gente che crede DAVVERO nell'essere un completo hater da facebook?" dimenticandosi però che il mondo è effettivamente pieno di gente che crede DAVVERO tanto nella propria superiorità intellettuale senza volerla superare un minimo. In questo modo finiscono per essere solo dei sadici in mezzo ai cinici, e lo sanno bene.

Paradossalmente, però; questa loro totale insincerità è assolutamente sincera. Non posso però fare a meno di pensare che l’unica maniera di dimostrare una volontà artisticamente progressiva e positiva, sarebbe stato buttare via tutte queste cazzo di forme estetiche che ho illustrato prima: la dittatura del testo, l’ironia, il synthpop facile, il teatro-canzone, i racconti sul babbo che guidava l’autobus a Bologna il 2 agosto del 1980. Quello che i membri de Lo Stato Sociale devono chiedersi è se per raccontare la propria epoca meglio degli altri valga davvero la pena di non uscire dallo stesso comodo schema su cui questa si basa. È come sventrare un grattacielo senza minarne le basi o i muri portanti per lasciarlo comunque lì, enorme e cancerogeno come un ecomostro pieno di amianto.

DISCLAIMER #2: Sì, ok, ho scritto questa roba su un sito di VICE, e sì, le minchiate, i rapper, i bocchini blah blah blah. Se lasciate che queste cose si mettano in mezzo tra il vostro spirito critico e il contenuto di questo articolo, mi spiace per voi. Ah, e per cortesia evitate di commentare con “Mi sono rotto il cazzo della critica musicale…” Questa idea brillante è già diventata banale e noiosa tre articoli fa. Insultate pure, ma siate più creativi.

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