Perché i rapper italiani si stanno tatuando la faccia?
Young Signorino, fotografia promozionale.

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Perché i rapper italiani si stanno tatuando la faccia?

I tatuaggi sul viso stanno diventando la nuova norma o sono una moda passeggera? Ne abbiamo parlato con Luche, Highsnob, i tatuatori di Sfera e DPG e molti altri artisti.

Forse è cominciato tutto da quelli di Er Gitano. Quando MTV andò a raccontare la sua storia passando una giornata con lui a Tor Bella Monaca non li aveva ancora, ma aveva già calcificato in sé il sistema di valori che lo avrebbe portato a tatuarsi il viso: "Quando combatti, o vinci o muori". La telecamera lo riprende mentre guida, e in sottofondo si sente la sua voce su "Sangue e Piombo" di Saga Er Secco: "Come armi sempre e solo mani toste e tatuate". Er Gitano si sentiva un guerriero, ed era quindi più che felice felice di marchiarsi il corpo prima di entrare in battaglia. Quando ammise a se stesso di non aver più voglia di combattere, a febbraio 2012, si sparò in testa. In faccia aveva il muso di un pitbull e delle lacrime, ma anche le scritte "mea culpa" e "addio", simboli in cui si confondono aggressività e responsabilità, furia e riflessione. Nel momento della sua morte, c'è chi li sfruttò per puntare il dito contro di lui e di Pepy, suo compagno di crew morto qualche anno prima: "Sti quattro zozzi pieni di tatuaggi, pregiudicati, palestrati e dall'atteggiamento di chi ti deve massacrare. Due coglioni di meno su questa Terra", diceva un commento dell'epoca. Nessuno, o quasi, ha invece osato fare un commento su quello che aveva in faccia Lil Peep, morto a soli 21 anni lo scorso febbraio. Si è polemizzato sul suo rapporto con le droghe e i medicinali, certo, ma l'equazione "tatuaggio sul viso = criminale" era completamente assente, resa irrisolvibile da un fulmineo cambiamento nella psiche e nell'estetica di chi fa e ascolta rap. Aveva persino cominciato a lavorare come modello, Peep, con il suo motto Crybaby sulla fronte, una rozza "A" di Anarchia sulla guancia, una rosa nera sull'altra.

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Nei sei anni che sono passati dalla morte di Er Gitano i tatuaggi sul viso sembrano essersi normalizzati, in Italia come nel resto del mondo. È stato un processo lento e costante che entrò per la prima volta nella conversazione mediatica americana nel 2011, quando Gucci Mane decise di mettersi sulla guancia il suo iconico, oggi scomparso, cono gelato. Ma Lil Wayne, già da prima, aveva deciso di usare l'interezza del suo corpo come tela per puro piacere estetico. Young Thug, che idolatrava Wayne fino quasi all'ossessione e allo scherno, cominciò presto a imitarlo anche nell'inchiostro che si metteva sulla pelle.

Qualcosa è però cambiato con la nascita e l'affermazione di quella corrente disordinata a cui ci si riferisce come SoundCloud Rap, in cui si mischiano trap, emo e lo-fi. È impossibile stabilire esattamente quale sia la ragione dell'empatia che si è creata tra artisti come Lil Uzi Vert, Lil Pump, Lil Peep, XXXTentacion e Lil Xan e il loro enorme pubblico: credo c'entri l'immediatezza comunicativa evocata dal grezzume emotivo e a tratti violento dei loro pezzi, confermata nella creazione di un discorso social costantemente aperto che si svolge attraverso foto, storie e dirette. Ma c'entra anche la loro estetica, e nello specifico un'intuizione: in una scena hip-hop più ampia in cui l'attenzione alla moda è ai suoi massimi storici, il modo migliore per farsi notare è osare, esagerare. E quindi tatuarsi, per esempio, un sacco di "69" sul viso, o un albero rinsecchito sulla fronte.

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Come ha raccontato The Outline in questi due pezzi sul tema, i tatuaggi sul viso rischiano di diventare così normali che immaginare un futuro in cui i nostri nipoti avranno le guance pittate non sembra poi così assurdo. Hanson O'Haver, autore del secondo articolo, fa notare come questo fenomeno potrebbe essere paradossalmente un ritorno alle origini della pratica del tatuaggio. Nonostante nel corso dei secoli sia stato associato al mondo del crimine, nella cultura Maori il tatuaggio sul viso - il tā moko - era un simbolo di status sociale e aveva una valenza religiosa. Come anticamente avere un pattern sul viso simboleggiava il proprio ruolo all'interno di una comunità, così oggi per un rapper mettersi in faccia una scritta o un disegno sta diventando affermazione del proprio status: "Ora faccio il rapper, e non posso né voglio fare altro".

"Mi sono fatto il mio primo tatuaggio sul viso tra il 2012 e il 2013", mi dice Mike Highsnob, parlandomi della scritta 24/24 che ha sotto all'occhio sinistro. "È il simbolo dell'oro, a indicare la purezza. Poi ho fatto la scritta kalderash, un gruppo di sinti rumeno di cui alcuni miei amici fanno parte". E poi arriva alla sua fronte, e all'enorme scritta HIGHSNOB che campeggia sopra il suo sopracciglio. "L'ho fatta praticamente un mese dopo lo scioglimento dei Bushwaka. Prima di cominciare a fare singoli, però".

Il caso di Highsnob si inserisce perfettamente nella narrazione di dedizione che sembra aver sdoganato i tatuaggi all'interno della scena rap italiana: "Il mio progetto era fallito, ero in un momento di zero hype e ho voluto fare una scelta coraggiosa. Volevo far vedere che stavo facendo sul serio, prima a me stesso e poi agli altri. Nel mio cervello il fallimento non esisteva." Al contempo, però, Mike è perfettamente conscio di come il discorso sia molto più complesso e tocchi anche l'estetica e la psicologia: "Non mi piace nascondermi dietro a un dito: il tatuaggio ha un fattore estetico. È un modo per dire 'hey, guardami'. Io non sono escluso. Si parla sempre di business, di cose in cui un rapper deve stare dentro con i piedi."

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Viviamo in un'era in cui fare rap è più semplice che mai, ma al contempo così semplice da creare una saturazione del mercato. Il tatuaggio sul viso è quindi diventato uno dei modi che chi fa rap ha per identificarsi nel personaggio che interpreta e cercare di affascinare chi presta i suoi occhi e le sue orecchie a un suo video, accettando al contempo le conseguenze psicologiche del gesto. "Quando non arrivi al successo, anche chi non ti dice nulla ti guarda sempre con quel fare, come a dire 'povero cretino'", spiega Mike. "Anche chi ti vuole bene ma non capisce la determinazione che c'è dietro. Ti chiedono che lavoro fai veramente, dove sono i soldi. E tu sei lì che ingoi, ingoi, ma sai dove vuoi arrivare. Quando ti chiedono quale sia il tuo vero lavoro non stanno capendo la sofferenza che c'è dietro al tuo fare rap. Torni a casa arrabbiato, impensierito. Ma è una cosa normale per chi non ha nulla e parte da zero".

Dopo essersi tatuato in faccia senza avere alcuna certezza di quello che sarebbe stato Mike ce l'ha fatta davvero a fare il rapper, e può quindi parlare delle sue scelte alla luce di un percorso più o meno compiuto. Non si può dire lo stesso di due ragazzi esordienti che ho contattato per questo articolo. Quello nella fotografia qua sopra, Young Signorino, ha da poco cominciato a pubblicare pezzi ufficiali dopo una serie di quelle che chiama "trappate" dadaiste e gracidanti, estremizzazione dell'idiozia testuale che compone parte del vocabolario dei rapper odierni. Il suo risultato migliore, a oggi, sono le 117k views del suo nuovo video - non ancora un risultato che gli garantisce un futuro da rapper.

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Signorino ha un paio di lacrime sul viso, un coltello sulla guancia sinistra e il suo nome d'arte, imponente, sulla fronte. Mi racconta: "Ero lì un po' in sbatta, come tutte le sere, alle cinque di mattina. Il coltello l'ho fatto per poi dire in una canzone 'lei vuole leccare il coltello'". Poi ride. "E volevo personalizzarmi la faccia col mio nome. Non ragionavo tanto, però sono fighi [come tatuaggi]". La sua è stata una scelta impulsiva, esagerata e a casaccio: le stesse qualità che contraddistinguono lui, la sua musica e le reazioni che causa. "Ancora in Italia non sono pronti per 'sta cosa. Ci sono ancora troppe critiche. Ovunque, tutti mi danno del modaiolo o del pazzo. Ma c'è anche chi mi dà del grande". Sembra che nella sua testa la priorità sia scatenare una reazione, qualsiasi essa sia. Prima di mettere giù il telefono, me lo dice chiaramente:

"L'ho fatto apposta per essere provocatorio. Non ho tatuaggi addosso, li ho solo in faccia."

Per la comunità dei tatuatori parole come queste sono un terreno di battaglia, una terra di nessuno trincerata da una parte dalla tradizione, dall'altra dall'innovazione. Riccardo Berlanda, in arte Berly Boy, fa parte del primo schieramento. "Le zone esposte ce le si guadagna. Mani, collo e faccia come ultima cosa", dice. Sostiene che chiunque possa fare quello che vuole con il proprio corpo, ovviamente, ma "a patto che abbia coscienza di cos'è portarsi dietro un tatuaggio". Crede che il tatuaggio in faccia sia oggi, nella scena rap, "una moda che ti fa scopare tutte le fighette stupide, ma domani sarà come il sacro cuore sul petto, o i tagli sulla braccia dell'emo che ora tutti vogliono coprirsi".

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L'eccezione, nella sua concezione, è chi si tatua il viso sulla forza di un background artistico. Mi cita come esempio Gucci Mane: "Come i punk provocavano nel '77, questo provoca in questa maniera negli anni Duemila, e ha abbastanza miliardi e faccia di cazzo da poterselo permettere". Dall'altro lato dello spettro, sta chi "inizia a cantare e un anno dopo si tatua il simbolo dei soldi in faccia". E questi sono sempre di più: Riccardo sostiene che negli ultimi tempi la quantità di persone che gli chiede tatuaggi in zone visibili sia aumentata fortemente, ma se questi non hanno una superficie elevata del corpo, o una conoscenza della pratica tatuaggio, cerca di dissuaderli.

Quando chiedo a Riccardo un esempio di tatuaggi in zone visibili che apprezza particolarmente lui mi cita The Great Omi, un ufficiale della marina inglese che, a inizio Novecento, andò dalla leggenda del tatuaggio George Burchett e gli disse di voler diventare una zebra. "E allora il maestro fa questa bodysuit completa che entra nella storia, un progetto stupendo. Omi diventa un freak, si lima i denti, si dilata i lobi, si mette un septum in osso. Lui è uno coi coglioni, un altare al tatuaggio".

Antonio Peluso, in arte TrashFlash666, si pone in maniera diversa. Nel suo curriculum ci sono tatuaggi a Ghemon, Gemitaiz, Madman, Sfera Ebbasta, Lazza, Wayne e Highsnob. "Il panorama del tatuaggio si sta liberalizzando molto. Se un tempo non ci si poteva tatuare sulle mani o sulla faccia prima di avere il 90% del corpo tatuato, adesso le cose stanno cambiando. A livello estetico è subentrata questa scena un po' ignorant, in cui mi rivedo, per cui il tatuaggio è più leggero, meno invasivo e pesante, magari fatto di sole linee molto sottili. Questo ha contribuito a sdoganare i tatuaggi in posti un po' sbatti, per intenderci".

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L'entusiasmo di Antonio per lo sdoganamento del tatuaggio come forma d'arte pura è genuino: "Se uno vuole tatuare, comincia domani e non sa nulla ma tira fuori delle bombe che non hai mai visto, perché penalizzarlo perché non ha la concezione dell'old school?", si chiede. Ma è abbastanza lucido da considerare l'impatto che un marchio sul viso ha sulla salute mentale del tatuato. "Il tatuaggio sulla faccia è un impegno. Ti penalizza nel mondo del lavoro e a livello sociale. Puoi essere la persona più brava del mondo, ma siamo ancora in uno stato di bigottismo per cui la gente ti guarderà male", dice. Per questo, quando un ragazzino gli chiede di lavorare sul suo viso, lui e i suoi colleghi cercano sempre di farlo ragionare: "Se viene un ragazzo con quattro tatuaggi in croce e vuole farsi la faccia sta a noi la responsabilità di fargliela o meno".

Sfera Ebbasta, fotografia di Antonio Peluso aka TrashFlash666.

Simone Basta aka Freddy Boy Bastard, che ha tatuato Side, Wayne e Tony Effe, affronta la questione da un punto di vista di fama e personalità. Secondo lui, il tatuaggio sul viso "è una cosa che non tutti possono permettersi". Mi racconta di aver mandato a cagare tutti i ragazzini che sono venuti a chiedergli di lavorare sul loro viso senza avere magari niente sul corpo: "Io faccio robe sulla faccia e sulle mani non a comuni mortali ma a personaggi pubblici, che possono anche scriversi 'Fanculo' in faccia e a me va benissimo. Se mi arriva un pischello che vuole farsi un tatuaggio perché ha visto Lil Xan che si mangia quattro barre al giorno, gli dico 'Zio, smettila, fatti due canne e capisci che non è il tuo mestiere. Vai a fare l'operaio come ho fatto io così ti passa la voglia di fare il pirla'".

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Stefano, in arte Black Bear, lavora in provincia di Cagliari e ha tatuato a Sfera Ebbasta il Kalashnikov che ha sul lato del viso. Anche lui mi sembra della stessa opinione di Freddy Boy Bastard: "Chi si tatua in punti così ha una personalità abbastanza estrema, le idee molto chiare e una direzione in testa", mi dice raccontandomi del lavoro che ha fatto a Sfera. "Quando se l'è fatto, mentre promuoveva il suo primo album, non aveva ancora una fama internazionale ma aveva già mani e collo tatuate. Per me [il tatuaggio in zone visibili] rientra un pochino nella normalità, quindi non vado a sindacare sulle motivazioni. Oggi, con la fama che ha, potrebbe tatuarsi in qualsiasi zona e sarebbe ok".

Secondo Freddy Boy l'elemento emulativo è fondamentale per spiegare l'improvviso aumento di richieste di tatuaggi in zone visibili. Fa notare, però, che è un fenomeno che potrebbe ribaltarsi diventando la norma e perdendo quindi l'elemento di rottura che lo ha reso così affascinante in primo luogo. "La cosa fondamentale è farsi riconoscere dalla massa, copiare le altre persone per me è sbagliatissimo. Non basta voler essere come Sfera per essere lui", dice. Questo, però non impedisce a chi raggiunge la maggiore età e sogna di diventare un rapper di crederci davvero, che un tatuaggio sulla fronte gli svolterà la carriera. Anche se vive in un paesino in Basilicata.

Screenshot dal video di "BLACKDRAGON" di Taxmania.

Taxmania ha 19 anni e vive a Rapolla, in provincia di Potenza. Ha in faccia una scritta, xSPETTROx, un diamante e un fantasma. Sono capitato sul video della sua "BLACKDRAGON" per caso, un brano esageratamente gridato, greve e violento che mi sembra dover molto al gusto per la provocazione di 6IX9INE. Ma mente Take$hi sta a New York e ha un pubblico potenzialmente enorme, essendo americano, Tax è calato in un contesto completamente avulso dalla realtà della scena hip-hop internazionale. Questo, però, non lo ha minimamente fermato quando ha deciso di tatuarsi la faccia. "È un paesino di 4000 abitanti dove non c'è niente. Noi abbiamo portato qualcosa", mi dice.

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Gli chiedo da quanto rappa, e lui mi risponde "Da parecchio, saranno sette anni, da quando eravamo ragazzini". Questo dimostra una certa convinzione nei propri mezzi e la rischiosa idea che fare musica a 12 anni possa già essere considerabile parte della propria carriera e gavetta. Non riesco a farmi spiegare bene da Tax il momento in cui ha scelto di marchiarsi la faccia a soli 18 anni, ma mi colpisce molto la terminologia che utilizza. Definisce i suoi tatuaggi "una pazzia", come se fosse consapevole dell'assurdità del suo gesto. Ma poi ritratta: "Già da piccolo avevo dread e tatuaggi sulle mani. La cosa "non gli pesa" a livello mentale. In lui ritrovo l'idea della scelta di vita, della dedizione alla causa: "Il rap era la mia unica scelta, dovevo fare qualcosa che lo rendeva un lavoro".

Cercando di delineare i motivi della sua scelta, Tax mi sembra poi tornare leggermente sui suoi passi: "Per me non è normale che i ragazzi si tatuino in faccia. Io forse ho sbagliato, potrò pentirmene e non convincerei mai nessuno a farsi un tatuaggio sul volto. Potresti anche essere senza, ma è come se guadagnassi punti nello stile. Non è come avere un paio di scarpe che non hanno tutti, è qualcosa di più pesante". È proprio il processo mentale che mi sembra stia cominciando a palesarsi con frequenza sempre maggiore nelle menti di chi decide di voler fare il rapper, talentuoso o meno che sia: un pastrocchio di volontà di apparire e scelta di vita, passione e pazzia, distorsione (o evoluzione?) di una pratica dalle origini ancestrali in nome di una fama proiettata che potrebbe non arrivare mai.

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"Ci sta il tatuaggio, ci sta l'estetica, ognuno fa quello che vuole. Però siamo entrati in un'altra fase in cui io lo faccio prima di diventare chi voglio diventare perché quella cosa là mi dà l'illusione di esserlo", mi dice Luche.

Il rapper di Marianella mi sta parlando da Londra, via Whatsapp. L'ho chiamato per chiedergli della scritta che ha deciso di mettersi sulla fronte: Young, giovane. Lui me lo spiega volentieri: "Nel nostro campo si parla tanto delle nuove generazioni e del fatto che solamente i ragazzini ora siano rilevanti. Io non la penso così, ma parlandone spesso questo timore e complesso un po' ti inizia a entrare nel cervello. Quindi era un po' un reminder per ricordare a me e agli altri che finché sei giovane tu, allora è tutto ok". Ma il discorso si sposta presto su che cosa un tatuaggio sul viso significa per la carriera di un artista, piuttosto che sull'opera in sé.

Secondo Luche non c'è una grande differenza tra un ragazzino americano e uno italiano che sceglie di tatuarsi sul viso: "In entrambe le nazioni c'è chi ce la fa a diventare qualcuno e chi no. Siamo in una fase di uniformità, di mancanza di personalità. Le nuove generazioni cercano di essere uguali a tutti allo stesso tempo, di essere il personaggio del momento a tutti i costi. Lo trovo molto triste, oltre che rischioso. Il 90% dei ragazzi che fanno una cosa del genere non ce la farà nella musica, e nella vita si troverà questo guaio sul viso solo perché si voleva dare un tono."

Luche è uno di quelli che ce l'ha fatta. Ha deciso di tatuarsi il viso per dare ulteriore spinta alla sua creatività, forte dello status che ha raggiunto dopo anni e anni passati a scrivere, esibirsi e curare la sua immagine e la sua carriera. "Magari questi ragazzi possono indovinare una hit, ma durare dieci, quindici anni non è facile", conclude. Ed è vero. I grandi modelli statunitensi che i ragazzi di mezzo mondo idolatrano, indipendentemente dal contesto sociale da cui provengono, hanno avuto il beneficio di essere stati tra i primi promotori di un'estetica e una concezione musicale che ha attecchito benissimo nel terreno culturale della scena hip-hop nel suo momento di maggiore espansione. Man mano che continua a mettere le sue radici, però, sempre più persone ne resteranno affascinate e vorranno farne parte. E quindi con il tempo il potenziale artistico ed evocativo, come accade a ogni scena e movimento, si spegnerà.

Arriverà un giorno in cui, probabilmente, i tatuaggi in zone visibili saranno così normali da non causare più sdegno e prese per il culo. Il viso resta l'ultima frontiera dell'accettabilità, e i rapper che la stanno varcando hanno deciso di giocare d'azzardo, di affermare il loro coraggio e la loro voglia di dettare una linea estetica mettendo sul piatto il loro futuro all'interno del corpo sociale. Chi è già in una posizione di dominio la sta consolidando, mentre chi la vuole raggiungere si trova invece al centro di un fenomeno artistico ed estetico fino ad oggi inedito. Comunque andrà, tutti saranno stati protagonisti di un momento storico fondamentale nell'evoluzione del rap e del tatuaggio. Chi ricade nella seconda categoria, però, farebbe meglio a tenersi comunque da parte qualche migliaio di euro. Si sa mai che un giorno senta il bisogno di farsi puntare un laser in faccia.

Elia è su Instagram: @lvslei

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