rocco hunt sony 2018 022 ph credit Francesco Prandoni
Rocco Hunt (foto di Francesco Prandoni).

FYI.

This story is over 5 years old.

Musica

Il lato oscuro di Rocco Hunt

Abbiamo intervistato il rapper campano in occasione dell'uscita di "Tutte 'e parole" e ci ha parlato di come è riuscito a trovare l'equilibrio tra la strada e Sanremo.
Giacomo Stefanini
Milan, IT

Quando mi hanno detto che avevamo la possibilità di intervistare Rocco Hunt per l'uscita del suo nuovo singolo, sono rimasto un po' stupito. Sapete, per quanto voi pensiate che Noisey sia il miglior sito di musica di tutti i tempi (e abbiate obiettivamente ragione), siamo pur sempre un'entità modesta. Insomma, Rocco Hunt è un artista che viene intervistato da Rai Uno, non da Noisey. Che cosa c'è sotto? Sotto c'è l'underground, sotto c'è la strada. Che non è solo un punto di partenza, come in una narrazione rap banale e stereotipata, ma anzi è un ambiente fertile, in cui la musica fiorisce.

Pubblicità

È per questo che Rocco, che l'ambiente "asettico" della Grande Musica Pop Italiana lo ha iniziato a frequentare a 20 anni (vincendo Sanremo Giovani 2014 con "Nu juorno buono", in caso aveste vissuto sulla luna negli ultimi cinque anni), continua a ritornarci, consapevole che, certo, essere primi in classifica e andare in radio e fare tanti soldi è bello, ma la soddisfazione di creare una canzone cruda e sincera che parla a chi ti è più vicino a volte è più bello.

Non che lui me l'abbia spiegata così questa storia, durante l'intervista. Quello che lui voleva fare con "Tutte 'e parole" era una canzone dal suono fresco e attuale, in dialetto salernitano e che convincesse i suoi fan più hardcore, quelli che non si ascoltano soltanto i singoli in radio, ma anche, per dire, "The Show". E credo che in parte ci sia riuscito. "Tutte 'e parole", prodotta da Yung Snapp, è un pezzo rap (o trap?) semplice, diretto, che non sfigura a fianco della produzione più vitale dell'underground napoletano del 2018 (e del resto Yung Snapp ha fatto magie per Vale Lambo e Lele Blade, tra gli altri).

Mi sono fatto raccontare direttamente da Rocco la sua visione di questo pezzo, della sua carriera e del rap in generale nell'intervista che potete leggere qui sotto.

Noisey: Spiegami un po’ la genesi di questo nuovo pezzo. Al di là del ritorno al dialetto, un’altra caratteristica che spicca è un suono piuttosto cupo per i tuoi standard.
Rocco Hunt: Sì, rispetto ai singoli radiofonici che ho fatto in passato, in questo singolo volevo mostrare il mio lato più rap, lasciandomi influenzare dagli stili più attuali. Infatti è prodotto da Yung Snapp, che fa trap. Nell’ultimo anno ho cercato di differenziare tra singoli per le radio e street single, che sono singoli che pubblico principalmente per la mia fanbase, per accontentare anche la frangia più “estrema” della mia fanbase. Questa volta avevo voglia di riaffermare le mie origini, perché prima di Sanremo e tutto il successo, io ho iniziato come rapper underground, con il rap crudo e cupo. Con questo pezzo volevo rimarcare questa cosa.

Pubblicità

Come vivi questa doppia identità? Da un lato rapper di strada, dall’altro Sanremo.
Diciamo che io sono a mio agio su qualunque tappeto musicale, e questo mi porta a poter rappare tanto su un beat di Yung Snapp quanto su produzioni più pop. Questa mia versatilità per me è un pregio. Poi una certa fetta di pubblico magari conosce solo le mie cose più commerciali, ma quella è solo una faccia della medaglia. Comunque trovo sia sicuramente un vantaggio la possibilità di fare musica di tanti tipi diversi. Dall’altro lato c’è il problema di essere frainteso, o riconosciuto solo per una piccola parte del tuo lavoro, perché anche negli album usciti dopo Sanremo ci sono collaborazioni con rapper di livello altissimo come Gué, Ensi e Noyz Narcos.

Tu hai quasi la stessa età dei rapper della nuova scuola, ma sei diventato famoso a livello mainstream molto prima e in un contesto molto diverso. Come vedi l’ascesa del rap a “nuovo pop” dalla tua posizione?
Diciamo che io sono stato uno degli ultimi dell’ondata Dogo/Marracash/Emis Killa, nel periodo tra il 2007 e il 2009. Quindi ho vissuto uno scenario molto diverso da quello che c’è oggi. Allora per far arrivare un certo messaggio a più gente possibile bisognava interfacciarsi con realtà molto precise, avere a che fare con un determinato tipo di supporto e di stampa. Recentemente invece credo ci sia più meritocrazia, perché i mezzi per raggiungere un pubblico ampio sono alla portata di tutti: un ragazzino con un video prodotto in cameretta può raggiungere milioni di persone, e di conseguenza costruirsi una carriera da solo, senza dover accontentare qualcuno o qualcosa che apra le porte per lui.

Pubblicità

Tu hai sempre detto di voler portare un messaggio positivo con la tua musica. Lo vedi come una posizione contraria in un mondo in cui il rap più diffuso è spesso legato a tematiche gangsta, violente e negative?
Secondo me si può portare un messaggio positivo anche usando un linguaggio di strada. Prendi “Nu juorno buono”, la canzone che ho portato a Sanremo. Nel testo dico cose piuttosto hardcore, eppure è un pezzo che viene ascoltato da tutti, anche da chi appartiene al sistema che attaccavo in quella canzone. È chiaro che il mio bisogno di positività deriva anche da dove e come sono cresciuto, da quello che ho visto e vedo quotidianamente: non riesco a essere uguale agli altri a livello di contenuti, ma credo sia la mia forza.

Negli ultimi anni la musica napoletana ha avuto una bella esplosione su vari livelli, dal rap al pop a cose anche più sperimentali e underground. Tu hai sentito questa esplosione?
Certo, c’è grande fermento. C’è sempre stato, solo che ora se ne sta accorgendo anche il resto dell’Italia. C’è un alone di coolness intorno alla musica napoletana che è veramente interessante, basta vedere quanti ragazzi escono da Napoli ultimamente. E poi c’è tutta la musica che a Napoli è popolarissima e fuori dalla città nessuno conosce! È una zona unica in Italia.

Ti confesso che siccome io sono lombardo da generazioni non ho capito niente del testo di “Tutte ’e parole”. Me lo spieghi?
È la storia di un amore a distanza tra un ragazzo e una ragazza vrenzola*. I due protagonisti sono gelosi e litigano un sacco a causa della lontananza, ma poi fanno pace. Visto che tutta la storia si svolge via cellulare, abbiamo preparato anche un video speciale fatto apposta per essere visto dal telefonino, tutto in verticale. Uscirà la settimana prossima.

Pubblicità

È una tematica quasi tradizionale campana.
Sì, ho voluto raccontare una storia popolare.

Visto che abbiamo parlato della tematica locale, vorrei allargare a quella globale. Sfera Ebbasta, ma non solo, è riuscito ad allargare la sfera d’influenza del rap italiano fino a oltre confine, collaborando con grandi nomi anche all’estero. Tu ci hai mai pensato?
Quello che sta facendo Sfera è un lavoro molto importante perché sta collaborando con dei pesi massimi, quindi sta facendo sicuramente del bene al rap italiano. È bello sapere che il panorama italiano si sta facendo notare anche in America o in Francia. Penso che qualsiasi artista abbia il sogno di avere un pubblico internazionale, ma per me al momento è importante riposizionarmi in Italia. Anche perché venire dal Sud è un po’ come venire da un’altra nazione [ride]. Quindi prima di provare a raggiungere l’estero voglio raggiungere l’Italia.

Al di là della tua carica pop, tu sei anche un rapper piuttosto tecnico, con uno stile più classico che si basa su rime, incastri e flow. Come vedi l’evoluzione di certo rap verso uno stile molto meno tecnico, che non si preoccupa di rime, velocità e giochi di parole?
Molto spesso mi capita di scrivere testi che mi divertono tantissimo, pieni di rime, incastri e cambi di flow, e poi mi rendo conto che devo semplificarli perché ho paura che non arrivino a tutti. Qualche anno fa, per emergere, dovevi essere bravo nel freestyle. Altrimenti non potevi definirti un rapper. Adesso invece se sei tecnicamente bravo sei noioso. Adesso il trash è quasi sullo stesso livello della bravura, cioè puoi farti notare in maniera artistica che in maniera trash. Ma è un fatto che rispecchia la società in cui viviamo, non me la voglio prendere con nessun rapper.

Cosa ne pensi invece della polemica sui “contenuti”? Credi che gli artisti dovrebbero ricominciare a fare politica?
Credo che se tutti gli artisti facessero politica la musica perderebbe la sua bellezza. Un artista è bello da ascoltare quando parla del suo vissuto, di quello che sente dentro. A volte, le due cose coincidono. Ad esempio, quando io ho fatto il pezzo sulla Terra dei Fuochi, l’ho fatto perché era un’esigenza mia, un argomento che mi toccava da vicino perché si parlava di me, del mio popolo e della mia terra. Però non è che posso dire a un rapper che è nato, non so, nel 2002, che deve parlare di problemi sociali quando poi magari alla sua generazione non frega un cazzo di quello che sta dicendo la canzone. Non si può pretendere che uno abbia gli stessi contenuti di un altro. Ognuno parla delle proprie cose. Si vede che i rapper e il pubblico di oggi vogliono una società più spensierata, più allegra, più semplice.

*Per chi avesse il mio stesso problema di essere del Nord, la vrenzola è una donna appariscente e casinara, forse il termine che le si avvicina di più potrebbe essere tamarra. Credo. Su questo link si trova una definizione colorita del termine.

Giacomo è su Instagram.

Segui Noisey su Instagram e su Facebook.