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L'autrice con Gabry Ponte (foto Kevin Spicy)

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Musica

Sono stata al concerto dei Subsonica con Gabry Ponte

E abbiamo parlato della storia degli Eiffel 65, degli spray al peperoncino, di Sfera e di quella volta che i media si inventarono sue simpatie di destra.
Carlotta Sisti
Milan, IT

Il team di Concertini è tornato dopo un periodo di riflessione durante il quale i suoi membri, ovvero chi scrive e il misterioso fotografo Kevin Spicy, hanno valutato forme alternative di sostentamento. Ma dato che l’ultimo Festival di Sanremo mi ha ricordato che in quanto giornalista faccio parte di un’élite radical chic talmente accecata dalla brama di Moleskine e biglietti per i concerti di Bon Iver da non riconoscere in Cristicchi il nuovo San Francesco, ho deciso che questa rubrica doveva tornare a splendere. Non grazie a me, sia chiaro, ma grazie al mio ospite: Gabry Ponte, re dell’italodance, colui che ha incastonato nella storia della musica di casa nostra dei pezzi generazionali come “Geordie”, “Figli di Pitagora” e, ancora prima con gli Eiffel 65, “Blue”.

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Oggi Ponte è un artista voracissimo di musica, che si prende bene per gente come Mèsa e Venerus e che liquida la faccenda “quote tricolore” in radio proposta dalla Lega dicendo che “è facile dirlo adesso, in un momento così florido. Lo avessero tirato fuori sei-sette anni fa gli sarebbe toccato più o meno solo Il pulcino Pio”. È di questo che parliamo mentre ci avviamo a essere testimoni della prima data del tour dei Subsonica, torinesi come il mio ospite. È da lì, dalla band che nel 1997 ha portato un suono suo sulla scena, descritto benissimo su questo sito come “alt-rock all'italiana con improvvise ritmiche derivate dalle sottoculture elettroniche underground inglesi, lente sezioni narcotiche, pizzichi di dub e chitarrine in levare” che parto a chiacchierare con Gabry, finendo, però, a ragionare su cose diversissime: dall’importanza della gestione del successo, alle recenti polemiche su Sanremo, passando per la sua collaborazione con Pop X, fino a una certa shitstorm che gli si è riversata addosso ai tempi di Amici.

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Gabry Ponte e l'autrice (foto di Kevin Spicy)

Noisey: Partiamo dai Subsonica: è la prima volta che li vedi dal vivo?
Gabry Ponte: Sì, è la prima volta, nonostante tra di noi ci sia un legame geografico, essendo tutti di Torino, e “temporale”, avendo iniziato a fare musica più o meno nello stesso periodo. Li conosco artisticamente e personalmente, ma non come performer, quindi sono molto curioso.

Che pensiero hai sul loro ultimo disco, 8?
L’ho ascoltato due volte, una quando era uscito e una qualche giorno fa, per arrivare preparato stasera. Credo che sia da un lato volutamente vicino alle loro sonorità originarie, ma dall’altro anche aperto alla ricerca di cose nuove. Non sono un profondo conoscitore della loro musica, conosco per lo più i singoli, ma ho apprezzato tanto i lavori da solisti sia di Boosta che di Samuel. C’è un pezzo nel disco di Samuel, “La luna piena”, che è di una bellezza disarmate. Non so come abbia fatto a non diventare un tormentone.

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Succede che pezzi eclatanti non emergano mai: a te è capitato?
Oggi penso che succeda molto di più, perché di musica ce n’è tantissima e lo spazio, nel mondo diciamo “mainstream”, è limitato, quindi sempre di più mi accade di scoprire musica bella che rimane nel sottobosco.

Chi ha già visto lo show dei Subsonica ha parlato di un pubblico decisamente adulto, diciamo dai trenta in su: è anche il tuo, o ti seguono pure i giovanissimi?
Ci riflettevo l’anno scorso, quando dai club, popolati da giovani, sono passato a fare serate anche nelle piazze, o in location più grosse, come i palazzetti, dove le dinamiche sono diverse, come, banalmente, l’orario anticipato di inizio rispetto a una discoteca. Ecco, lì vedo che a sentirmi ci sono tre generazioni: quelli che mi ascoltavano con “Blue” (di cui quest’anno festeggiamo il ventennale) che portano i figli che mi conoscono per “Che ne sanno i Duemila”, e quelli in mezzo. Molto figo come mix, mi piace un sacco.

GABRY PONTE

Gabry Ponte e l'autrice (foto di Kevin Spicy)

Mi capita ogni tanto di mettere i dischi nei locali, e spesso dei giovanissimi mi chiedono, per dire, Sfera e poi "Geordie": che effetto ti fa essere un riferimento così importante anche per gli adolescenti?
Ringrazio ogni giorno San YouTube! Io sono del ’73, quindi sono cresciuto senza Internet, il mio primo Mp3 l’ho visto a 27 anni, prima di quello la musica che io potevo conoscere era quella che potevo comprare nei negozi di dischi o che mio padre mi faceva ascoltare ed era per forza di cose limitata. Ma tornando ai ragazzi, mi fa letteralmente venire la pelle d’oca vederli che cantano canzoni uscite quando loro non erano nati. Per me è una cosa pazzesca, gigantesca, mi rende genuinamente felice.

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Che qualità servono, a tuo parere, per rimanere sull’onda, quando tutto cambia così tanto?
Ah, una dote incredibile, si chiama culo.

Dai.
No, allora, sicuramente una caratteristiche che ho e che credo sia vitale è la curiosità. Ho sempre voglia di ascoltare musica nuova e questo probabilmente fa sì che, anche in modo inconscio, io assimili qualcosa che non appartiene al mio background e che, invece, mi avvicina alla nuove tendenze.

Quello che hai fatto con Pop X, per esempio, è indice di grande desiderio di sperimentare.Com’è andata tra di voi?
Come ho già detto, io ascolto quintali di musica, specie la mattina quando vado in palestra e vado a correre [Gabry Ponte, apro e chiudo parentesi, è più in forma del 99% delle persone che conosco, ed è uno straight edge vero, no fumo, no alcol, che crolla solo di fronte ai dessert, nda] e metto Spotify o YouTube per scoprire artisti che mi possano piacere e che poi mi vado a sentire per bene. Mi è, così, capitato di ascoltare “Cattolica” di Pop X, che subito mi ha lasciato stranito e perplesso, ma che al contempo mi ha fatto venire voglia di riascoltarlo. E poi ancora e ancora, tanto che poco dopo mi stavo sparando tutto il suo repertorio. Sono andato in fissa per un mese e mi sono detto che volevo provare a collaborarci, per cui mi sono presentato a un loro concerto, per conoscere Davide e i suoi amici e per proporgli, oltre al remix di "Cattolica", di fare una cosa del tutto nuova insieme. Qualche giorno dopo Davide è venuto nel mio studio a Torino e mi fa “io ho quest’idea da un po’, hai una tastiera?”, gliel'ho data, ha suonato, poi mi ha chiesto un microfono e ci ha cantato su la top line mentre io registravo e poi ha preso ed è scappato. In tutto sarà rimasto 15 minuti, nei quali mi ha lasciato quella che poi è diventata “Tanja”. Che, pur essendo qualcosa fuori da ogni regola di mercato, ci piaceva da impazzire.

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Ha anche un video fighissimo, avete lavorato insieme anche a quello?
No, al video ho lavorato io dando degli spunti a Francesco Fracchioni, che lo ha realizzato. Mi sono ispirato tantissimo alle cose di questo artista russo che si chiama Little Big, uno che sta davvero spaccando, un altro matto vero. Comunque ho sempre seguito anche la parte video, mi piace e la trovo quasi parimenti importante rispetto alla musica.

Dicevi che di primo acchito Pop X è stato quasi respingente per te, ma che poi hai avuto voglia di approfondire: anche questa è una dote non di tutti.
Perché tutto ciò che è fuori dagli schemi, l’essere umano tende a respingerlo, per stare nella sua comfort zone. Pensa alla trap: molti nemmeno provano ad ascoltarla, catalogando un intero genere musicale come spazzatura, mentre, come in tutti i generi, ci sono le cose wow e le cose mediocri. Io ascolto molta trap, magari mi stufano un po’ i testi eccessivamente monotematici, ma non si può dire che “Cupido” di Sfera non sia un pezzo bellissimo. “Mmh ha ha ha” di Young Signorino è anch’esso un pezzo originale e molto efficace. Quindi, nella trap, che oggi è un movimento fortissimo, ci sono artisti molto forti che sanno distinguersi e altri che vivono di luce riflessa ma che sono destinati a sfumare.

Credi che quello di Young Signorino sia un esempio di cattiva gestione del successo?
Credo sia presto per dirlo. Se ti dovessi descrivere YS in un aggettivo ti direi "antesignano", e quindi vedremo che cosa succederà. Certo, se a quell’età ti ritrovi così tanta visibilità e attenzione, il rischio che la cosa ti esploda in mano è alto.

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Gabry Ponte e l'autrice (foto di Kevin Spicy)

Anche voi Eiffel 65 siete esplosi, livello mondiale, che eravate molto giovani: com’è stato dover gestire quella situazione?
Io ero fortunato, perché avevo di fianco una persona che sapeva tenermi coi piedi per terra, ed è cruciale perché onestamente un po’ ti parte la brocca. Hai 25 anni, ti trattano da rockstar, vai in giro per il mondo, suoni con Bon Jovi e le Destiny’s Child, mentre il mese prima eravamo in uno scantinato, beh è ovvio che inizi a perdere il contatto con la realtà. Il nostro produttore, Massimo Gabutti, aveva come priorità assoluta tenerci tranquilli, lucidi, normalizzando il più possibile quello che ci stava succedendo. Poi ci sono anche persone che per come sono fatte non sanno reggere a quel tipo di pressione: penso ad Avicii, tu hai visto il documentario?

Sì, ti volevo proprio chiedere di questo.
Io l’ho visto dopo la sua morte, ed ero distrutto. In più, facendo questo lavoro, so che tutti i meccanismi di cui parla e che l’hanno triturato sono reali e in parte, nel mio piccolo, li ho vissuti anch’io. Capisco perfettamente che una persona fragile ci possa rimanere sotto, specie se, appunto, non “protetta” da chi gli sta intorno. Mi ha fatto una tenerezza enorme vedere quanto ha sofferto per una cosa che in teoria doveva essere meravigliosa.

Ti è capitato di vivere quella l’ansia da palcoscenico oppure il down che colpisce quando si sta fermi per un po’?
No, questo no, perché io sono molto regolare, suono tutte le settimane e non lo faccio solamente per il rapporto con i fan o per una questione economica ma anche: io durante i live provo. Provo cose nuove, che magari in studio funzionano, ma devo capire se lo fanno anche in pista, se la muovono o la inchiodano. Da lì nascono i dischi. “Che ne sanno i Duemila”, per dire, è stata una base strumentale che ho suonato 4 anni in discoteca e che vedevo che su quel drop faceva saltare i ragazzi come molle.

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Quindi in ogni tuo show c’è un margine di sperimentazione?
Molto alto, sì. E più o meno ogni fine settimana abbandono un progetto e ne porto avanti un altro.

Abbandoni quando capisci che è uno svuota-pista?
Più o meno, perché in realtà anche “Blue” è stato uno svuota-pista. Pensa che quando avevamo finito "Blue", abbiamo deciso di provare il pezzo in un locale in provincia di Torino, chiamando tutti i nostri amici. Ho iniziato a suonare, andava tutto bene, poi ho messo "Blue" ed è stato uno dei momenti più imbarazzanti della mia vita: spariti tutti.

In questo preciso momento, invece, intorno a cosa stai sperimentando?
Ho un bel po’ di bombe pronte per lo show del 2 marzo al Fabrique, e in una è coinvolta MYSS KETA che credo conosciate piuttosto bene.

L’anno prossimo tu e MYSS a Sanremo, che dici?
Guarda che se vanno avanti così è anche possibile. Quest’anno il Festival mi è piaciuto davvero tanto, una fotografia perfetta del panorama musicale, senza paura di rischiare, senza pregiudizi, con la voglia di essere super in linea con la contemporaneità. Il vincitore è vincitore meritato, al netto delle polemiche, e Baglioni, dopo un primo anno di warm up, ha sperimentato di brutto.

Che ricordi hai, invece, del Sanremo degli Eiffel 65?
Le gambe che tremano. E io non facevo un cazzo, eh, schiacciavo i pulsantini, mi immagino per un cantante che cosa deve essere.

[Interviene il manager di Gabry: "Non è vero, hai suonato il piano".]
Ah già, lì ero in paranoia secca. Perché non mi sento chissà che musicista, ma per regolamento dovevamo fare il pezzo in versione acustica, e un pezzo come il nostro acustico era assurdo. Ero super teso e la cosa strana è che noi in quegli anni lì venivamo dal tour in America. Avevamo inanellato una serie di cose davvero gigantesche, specie per un gruppo italiano, ma quando raccontavo a mio padre, che so, di un live nello stadio dei Dodgers, mi cagava sì e no; quando invece gli ho detto di Sanremo, a momenti si mette a piangere. Tutto quel che si dice sul fatto che è un palco a sé, insomma, è vero.

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Con Sanremo siete passati all’italiano, com’è avvenuto quel passaggio?
Grazie al fatto che sono un tamarro. Prima del progetto con gli Eiffel facevo una serata al Naxos di Torino dove facevamo solo musica italiana ed era una serata dove la gente si divertiva un casino, e tutti cantavano tutto, dalle robe anni Sessanta a quelle di allora come Nek, i Gemelli Diversi, eccetera. C’era un’atmosfera bellissima che mi sono cullato dentro. Così, dopo il tour in America, ho iniziato a fare delle cose mie, come "Geordie", e ho visto che funzionava un sacco e che era un po’ quello che la gente voleva.

Perché, credi?
Perché abbiamo una tradizione musicale pazzesca, e vedo che i ragazzi sono legati profondamente ad essa. Se metti “Sere Nere” remixata, impazziscono. Così come con i Ricchi e Poveri.

Ma che effetto ti fa sapere che molti ragazzi possano pensare che "Geordie" è tua e non di De André?
In realtà non è nemmeno di De André, è ben più antica, è una ballata celtica che in originale è, ovviamente, in inglese. Io, certo, l’ho conosciuta con De André, perché mio padre me lo faceva sentire sempre, sono davvero cresciuto con tutti i suoi album e li amo immensamente. Comunque, per tornare alla domanda, come tutte le cover di successo, è normale associare il pezzo all’artista che te lo ha fatto conoscere, e in questo caso è un peccato non che non sappiamo che "Geordie" è di De André, ma che i giovani non conoscano De André.

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Quindi la musica delle tue radici sono i cantautori?
Sì, su tutti Fabrizio De André ed Edoardo Bennato, con cui ho fatto un disco che uscirà tra pochissimo e che è un autentico life goal, perché di Bennato sapevo tutto a memoria. Poi Renzo Arbore, Celentano. Quando ho avuto un minimo di potere decisionale, ho iniziato ad ascoltare la musica elettronica, in particolare la dance, che iniziava a passare su Radio Deejay, tipo Depeche Mode, Kraftwerk, poi Mororder e la house dei club di Chicago. Mi sono appassionato a questo mondo, e alla fine, credo, i due mondi si sono incontrati e mischiati.

Senti, prima, a registratore spento, mi parlavi di quanto ti sta a cuore la corretta gestione dei locali, a livello di rispetto delle norme di sicurezza. Qual è il tuo pensiero su quanto accaduto al concerto di Sfera Ebbasta a Corinaldo?
Io un pensiero ben chiaro ce lo avevo ben prima di quella tragedia. Avevo anche scritto diverse lettere alle autorità, per dire che per cortesia si facesse qualcosa per arrestare il fenomeno degli spray al peperoncino. Purtroppo m’è successo diverse volte di dover fermare una serata perché qualcuno aveva spruzzato, la gente si sentiva male, scattava il panico e tutti si riversavano fuori. Avevo preso una posizione netta, perché non mi sembrava normale che queste armi bianche potessero esser vendute nei supermercati senza un minimo di controllo. Purtroppo però non s’è mai riuscito a smuovere niente, perché, si sa, in Italia le cose diventano serie solo dopo le tragedie. E quello che è successo al concerto di Sfera mi ha fatto salire una rabbia folle.

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Nessuno ti ha mai risposto?
Qualche gestore di locale sì, però il problema successivo era: “e noi che cosa possiamo fare?”. Sai, se a te trovano lo spray, non credo te lo possano sequestrare, perché se poi ti accade qualcosa, ti aggrediscono, la responsabilità è loro. Quindi la faccenda è complessa. Certo una cosa su cui non si può più chiedere un occhio è la capienza di un posto, che va rispettata, e chi non lo fa deve essere sanzionato, senza pietà.

Ha avuto senso, secondo te, parlare di responsabilità di Sfera in quanto accaduto?
Sfera non ha alcuna responsabilità di nessun tipo. Hanno detto che veicola messaggi sbagliati, così come lo hanno detto di Achille Lauro a Sanremo, e io la penso, in questo, come Morgan: sti benpensanti borghesi hanno rotto il cazzo. Oggi parliamo della trap, e santifichiamo De André, che nella versione non censurata di "La canzone di Marinella", diceva cose crudissime, super esplicite. Io ascoltavo i Doors, i Rolling Stones, i Beatles che parlavano di droga, e non mi sono mai drogato. Troppo facile prendersela con l’artista nuovo di turno, capro espiatorio perfetto, perché così esposto. Io detesto queste gogne mediatiche, forse perché m’è capitato di finirci dentro.

Quando è successo?
Quando avevo appena fatto Amici, e stavo vivendo un momento di grande visibilità. Un ragazzino che aveva un blog goliardico ha pubblicato una mia foto, scattata a una serata tempo addietro dal mio fotografo, che nell’originale mi mostrava con il braccio sinistro alzato rivolto alla gente. Lui ha preso lo scatto, lo ha girato con Photoshop e ha scritto un pezzo dicendo “Gabry Ponte a un concerto fa il saluto romano, suona un remix di 'Faccetta nera' e scatta una rissa in pista”. Tutto inventato di sana pianta: nessuna di quelle cose era mai successa. Io ho letto l’articolo, mi sono fatto una risata e ho chiuso il computer. Il giorno dopo un giornale on line ha ribattuto la notizia senza nessuna verifica, e così è partito l’effetto domino con 50 articoli che mi davano del fascista. Non sapevo più cosa fare, anche perché la gente veniva a insultarmi sui social. Una cosa violentissima.

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Ci aveva raccontato una cosa simile anche Dolcenera. E tu che hai fatto?
Nulla, sono stato zitto aspettando che passasse. Perché qualunque cosa dici è peggio, perché sembra che ti devi giustificare e via dicendo. Quindi è meglio, ho imparato da quella triste vicenda, lasciare che la cosa scemi. E infatti nessuno ne parla più.

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A questo punto, il fatto che avessimo iniziato l’intervista con la luce e che ormai fosse buio sui Navigli milanesi ci ha suggerito che fosse ora di abbandonare lo studio di registrazione di Casa Etna, dal quale avrei volentieri trafugato praticamente tutto perché era bellissimo, e dirigerci verso il Forum di Assago. Anche perché voci di corridoio ci avevano rivelato che lo show sarebbe durato due ore e mezza. E infatti. Samuel, Boosta, Ninja (clamoroso, come sempre), Max Casacci e Vicio se li sono, però, palleggiati bene, quegli oltre 120 minuti di live, pensato quasi come un fiume unico di suono, a tratti quasi claustrofobico (come quando hanno praticamente sparato una via l’altra "Discolabirinto", "Up Patriots To Arms" di Battiato e "Nuova Ossessione", o ancora quando hanno fatto un mash-up di "Punto Critico", "Liberi Tutti", "Perfezione"), cosa che ha reso i momenti soft più godibili del previsto.

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Da spettatrice, quello che mi è sempre mancato nei live dei Subsonica è un filo di ironia o giocosità in più, mentre anche stavolta li ho trovati molto legati all’impeccabilità della performance. Vi ricordate quando in una puntata di Concertini abbiamo raccontato degli MGMT che hanno mixato “Kids” con “Never Ending Story?” Ecco, forse al posto della lunga citazione di “Boys Don’t Cry” dei Cure, i Subsonica, dopo 20 anni di carriera, avrebbero potuto colpirci al cuore coverizzando, butto lì, "Sorry" di Justin Bieber, in un gesto auto dissacrante che i tanti successi e gli anni sui palchi gli avrebbero tranquillamente permesso di compiere. Quel che m’è parso, al netto di vagheggiamenti tutti miei sulla scaletta dei Subsonica, è che quello di lunedì al Forum di Milano fosse il pubblico che li segue da “Microchip Emozionale”, o addirittura dal disco omonimo precedente. Come ho detto a Gabry, la reazione dei tantissimi presenti, in ogni settore, alle vecchie hit e ai nuovi brani è stato parecchio differente, in favore dei primi.

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Prima di lasciarvi con la recensione di Gabry Ponte al live dei Subsonica, faccio una menzione d’onore alla scenografia, perché l'unica cosa che ha superato la bravura dei cinque di Torino, che suonano come dei draghi, è stato l'incredibile set: un carosello di schermi LED appesi al soffitto sempre in movimento grazie a carrucole motorizzate, mentre il palco era fatto di moduli in grado di spostarsi avanti e indietro, indipendentemente l’uno dall’altro, e in grado di cambiare così la geometria della scena. Tanta roba davvero.

Ecco il commento finale di Gabry Ponte allo show dei Subsonica: “Le hit e i pezzi dell’ultimo album si sono susseguiti tenendo sempre la tensione alta e con un’energia fortissima. La scenografia ha creato un contorno suggestivo, molto efficace. Ho visto un concerto degno di una band internazionale, che tiene alto il nome della musica italiana”.

Carlotta è giornalista freelance e DJ. Seguila su Instagram.

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