Lana Del Rey non ha niente che non va

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Musica

Lana Del Rey non ha niente che non va

L’attitudine emo-tumblr di Lana Del Rey è un'arma a doppio taglio che l'ha esposta a feroci critiche, ma le ha anche permesso di entrare nel novero delle grandi popstar.
GC
London, GB

Nel 2012 Lana Del Rey si è presa tutto con Born to Die. È da allora che appassionati di musica e non, per motivi piuttosto ambigui, l'hanno presa come bersaglio rispetto a quanto concerne la professione di un'artista. Quell'annosa predisposizione per malinconia, tristezza e fatale disconnessione rispetto la vita hanno giocato fin da subito per la cantautrice newyorkese uno scomodo aut-aut: incuriosire il pubblico per la sua personalità—diventando beniamina di chi vuole mantenere un approccio famelico e disincantato rispetto le storie che lo circondano—e finire nel tritacarne del sentenzialismo facile, del giudizio mediatico spicciolo, fatto di gratuite ammonizioni verso uno stimolo a valori errati e fuori cornice. Il tutto, nel giro di pochissimi mesi, mentre "Blue Jeans", "Video Games" e "Summertime Sadness" spopolavano, a turno, nelle classifiche di ogni continente.

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Lana ha combattuto durante l'adolescenza una forte dipendenza da alcool. Fu mandata in un collegio privato in Connecticut dove conobbe l'insegnante Gene Campbell, che le fece scoprire l'hip-hop e le colonne sonore più gloriose della storia del cinema. In fondo la sua vena sadcore, come è stata etichettata, dipende quindi molto dalla passione per il labirintico spirito della sua crescita. Ma è in realtà un approccio molto più audace e sincero di quanto riescano a fare altri artisti di tale calibro, che diventano maschere di sé stessi.

Lana Del Rey, intervistata da Myspace. I controsensi, in questa storia, sono parecchi. A partire dalle percezioni del pubblico, perché vero nocciolo di ogni questione, quando si parla di "popolare": se provate a buttare giù una lista di artisti che abbiano giocato sulla loro incapacità di vivere l'istante e di dirsi felici a braccetto al loro successo, avrete nel giro di pochi minuti riempito tre, quattro facciate intere di un quaderno. Quell'area maledetta, quell'indole fuori fase percepita come geniale, che l'audience preferisce destinare gelosamente alle star del passato, trova motivi di discussione contorti in questa epoca. Ai nostri giorni, a conti fatti, tale processo di mitizzazione è diventato un'ossessione al contrario, una caccia alle streghe. Suona più o meno come un "è inutile atteggiarsi a diva, delusa dal mondo e dalla vita, lo hanno già fatto altri. Tu hai i soldi, canti e non hai nulla da chiedere". Eppure, potrebbe sorprendere il fatto che, in fondo, non esistono differenze così nette rispetto alla metà delle popstar del mondo, che si dividono la stessa fetta di interessi con Lana in questo momento, frutto e sacrificio della disputa.

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L'associazione più immediata che potrebbe fare chiunque, dando uno sguardo al panorama di riferimento degli ultimi anni, è una popstar ancora più in alto nelle gerarchie del music-biz: Adele. Se la cantante londinese è stata sì oggetto di scherno a suon di meme goliardici che hanno riempito internet nel corso degli ultimi mesi, dopo il grande successo di brani come "Hello" e "Rolling In the Deep", è vero anche che il suo approccio alla musica non è mai stato criticato oltremodo, specie da quanto trapela lucidamente dai testi. L'autenticità della sofferenza di Adele per il pubblico non suona come una maschera o una famelica richiesta di attenzione, ma come un vero lamento cronico causato da problemi esistenti, da qualche parte nel suo passato o presente, che la tormentano. Sono percepiti come realistici, dignitosi, perciò adatti a dei brani che possano vendere milioni di dischi. Si fa riferimento, alla fine della fiera, a quanto il pubblico medio percepisca come "autentico": il più delle volte, essendo la musica un'arte dalle infinite variabili, ciò che pesa maggiormente sul piatto è l'immagine. E in questo, Adele ha tutto per poter creare empatia e affetto da parte di chi, anche semplicemente ascoltando la sua storia, per mezzo della sua voce, la osserva.

Anche qui è possibile trovare dei controsensi notevoli, che andremo a ricercare in un'altra icona del nuovo millennio del pop. Dato che di immagine si parla, ovviamente non possiamo che prendere in causa Lady Gaga. Di recente è uscito su Netflix Gaga: Five Foot Two, un documentario che racconta del processo dietro la creazione di Joanne, il suo quinto album, soggetto a cronici ritardi a causa della sua lotta contro la fibromialgia—sindrome che genera dolori muscolari associata a ricorrenti sbalzi d'umore. La patologia, sviluppata dopo una rovinosa caduta durante il Born This Way Tour, nel 2013, si mescola alla realtà già fomentata da una personalità che ha nel sangue la vena melodrammatica, l'apparenza cinicamente sofferente eppure così ribelle e viva. Per Gaga le luci dei riflettori sono state un detonatore, un incredibile canale per amplificare un carattere forgiato sull'esistenzialismo in bilico. Lei vuole il drama dall'amore, vuole una bad romance, in maniera così sfacciatamente cronica, noncurante, eppure così efficace. E anche in questo caso, grazie alla sua etica, a ciò che il suo volto e la sua voce sono in grado di comunicare, è arrivato un successo di pubblico con numeri da capogiro.

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Un'altra beniamina del pop dal sapore cronico e sofferente è Lorde, arrivata alle luci della ribalta per meriti analoghi, uniti ad una capacità di scrittura fuori dal comune che David Bowie definì qualche anno fa "il futuro della musica". Lorde, cresciuta con Rimbaud e Sylvia Plath, ha nutrito una passione smisurata per la musica fino a diventare con audacia e talento, ad appena 17 anni, una star planetaria. Nel suo esordio Pure Heroine raccontava con distacco e freddo orgoglio la parabola altalenante della vita di un'adolescente di periferia; nel suo secondo album Melodrama, invece, è passata ad un racconto in cui si misura con emozioni altrettanto crude ma ragionate, più ad ampio raggio sulla vita. Non c'è mai spazio per il vago ed il leggero, si respira a pieni polmoni tutta la necessità di dar voce ai sentimenti, di far luce—in maniera spontanea—sul proprio ego, su ciò che rappresenta ("le luci sono accese e tutti sono andati a casa, ma io chi sono?"). Al party, stavolta c'è andata, e si è ripresa sé stessa, ha detto. Ma tutto sommato non aveva mai dato modo di apparire così tanto in contrasto con la sua realtà, a differenza di quanto le altre eroine moderne possano far intravedere, di tanto in tanto. Per lei si è chiuso un primo ciclo, mentre la sua stella si fa sempre più incredibilmente matura, nella canzone pop di oggi.

Infine, aggiungiamo alle anti-eroine per eccellenza anche due quasi-star odierne, che non saranno ricche quanto quelle citate sopra ma hanno le carte in regola per diventarlo nel breve. Jillian Banks, conosciuta ai più come Banks, e Tahliah Debrett Barnett, nota come FKA Twigs.

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La prima ha dichiarato espressamente di aver sofferto di depressione, e di averla combattuta a suon di carattere—lo stesso che le ha consegnato le chiavi per una strada artistica notevole, che si conferma con gli anni sempre più di livello. La sua precisa presa di posizione, in merito, è stata rispedire al mittente le critiche femministe su divismo e isterismo. Per Banks un malessere mentale come quello di cui ha sofferto, che connette alle emozioni nel verso più sbagliato ed estremo, è uguale per ciascuno di noi. E, se per lei ha agito da rimedio per farsi le ossa, nel futuro che ha scritto, per molte altre rappresenta un problema di condizione sociale, che va assolutamente contrastata e sconfitta. "I can't be the weaker girl / 'Cause I'ma need a bad motherfucker like me", boom. La ragazza si è ripresa notevolmente bene, diremmo.

Banks parla di intimità e depressione con i nostri colleghi americani. Twigs, invece, è nata in una famiglia poco abbiente, che le concedeva tuttavia degli studi e una cura meticolosa per la sua vivace vita artistica, fatta di passione per la moda, gli eventi, il ballo, la musica. Da piccola ha sempre dovuto rimandare la felicità, dovendosi accontentare di momenti più estemporanei, dovendo fare i conti con il suo presente. E con il colore della sua pelle, che in una dimensione non ancora abbastanza matura, quando frequentava la scuola nel Gloucestershire, ha dovuto affrontare senza un piano B. Il suo è per questo un atteggiamento fuori contesto per chiunque non possa sentirsi coinvolto in un'esperienza simile, il che va oltre la sfuggente definizione di genere della sua musica e della sua immagine. Un'immagine che racconta benissimo tutto il "differente" che ha cercato e cerca di dare alla sua vita, essendo partita da una condizione che quel "differente" lo ha subito. Il riscatto, come tutti sappiamo, è stata una notevole, apprezzatissima pagina del pop-elettronico e future R&B degli ultimi cinque anni, che continua a stupire per distacco su tanti personaggi musicali del presente.

Non è colpa di Lana se tutte queste storie fanno parte di un gioco, lo stesso, che ruota attorno a ciò che ha plasmato personalità, caratteri e stili di vita diversi. Ciò che ha permesso ad ognuna di queste donne di affrontare il loro percorso con forza fuori dal comune, fino ad arrivare a livelli ambiti da chiunque, è stata la loro capacità di essere ciò che sono, al di là di ogni giudizio. Ed è per questo che, nonostante la feroce predisposizione dei fan alla critica preconfezionata e fenomenica, basata su una fotografia sfocata di ciò che vedono in superficie, la carriera di artiste di questo calibro continua a mietere vittime, dall'alto. Dovevamo aspettarcelo, dato che, in fondo, siamo nati tutti per morire, prima o poi.

Giovanni è su Twitter: @storiesonvenus. Segui Noisey su Instagram e Facebook.