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Musica

The Field è tornato al sole

Abbiamo intervistato il producer minimal techno svedese per parlare del suo nuovo disco 'Infinite Moment', un rifugio pacifico dall'instabilità dell'oggi.
The Field Axel Willner Sonia Alvarez
The Field. Foto di Sonia Alvarez.

Axel Willner è uno dei musicisti più rispettati e celebrati negli ultimi anni all’interno del panorama della musica elettronica, anche se forse il suo nome di battesimo potrebbe non dire molto ai più.

Personaggio schivo, anche piuttosto restio alle interviste, lo svedese (residente a Berlino) è invece noto soprattutto grazie ai suoi dischi a nome The Field. Con questo alias, che è soltanto uno dei molti che ha interpretato nel corso degli anni, ha pubblicato ormai sei album. Il primo, From Here We Go Sublime, è uscito nel 2007 per l’importantissima label tedesca Kompakt (di proprietà di Wolfgang Voigt/GAS) ed è indubbiamente stato una mezza rivoluzione nell’ambito di quella che potremmo chiamare minimal techno. Un disco di grande successo, molto ben fatto, con una raffinatissima sensibilità per l’atmosfera, che riusciva a fare sposare il genere con una sorta di afflato ambient idilliaco e a incorporare l’uso di svariati sample tratti da notissime canzoni pop (spesso irriconoscibili).

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Il suo nuovo disco, Infinite Moment, appena uscito sempre per l’etichetta di Colonia, segna invece un passaggio (un ritorno, per certi versi) a sonorità più lente e pacificate, dopo lavori molto tesi e ritmici, o anche molto oscuri come nel caso dei due album precedenti.

Abbiamo avuto la rara occasione di scambiare con lui qualche chiacchiera al telefono, per parlare di questa sua nuova strada.

Noisey: Ho ascoltato il tuo nuovo album Infinite Moment e ho avuto l'impressione che si tratti di un lavoro più delicato rispetto ai due precedenti, c'è un mood un po' più leggero, un suono più dolce, e mi chiedevo il perché di questa scelta. Se c'è dietro una pianificazione o se è qualcosa che succede in corso d'opera.
Axel Willner: Sì, sono del tutto d'accordo. È molto più leggero, molto più speranzoso. Nel momento in cui mi sono messo a lavorarci volevo tornare verso sonorità che avevo un po' abbandonato, più incoraggianti, romantiche, anche allegre. Mentre gli ultimi due album tendevano di più verso il lato oscuro, come molta della musica elettronica di questi tempi, che è molto scura, post-apocalittica, distopica. Ho pensato che ce n'è già in giro talmente tanta e il mondo è così instabile in questo momento, che ho voluto provare a fare qualcosa che mostrasse un po' di luce.

Il disco ricorda anche il lavoro che hai fatto prima di The Field, in progetti come Cordouan o Lars Blek, lavori più ambient-drone. Pensi che ci fosse ancora qualcosa da dire utilizzando quel tipo di voce?
Non ho fatto musica di quel tipo per un bel po’ di tempo, e forse allora ha finito per propagarsi un po' verso il progetto The Field. Inoltre il disco è molto molto più lento di quelli precedenti, mi sembrava quindi più adatto utilizzare sonorità del genere, che fossero più adatte in un contesto abbastanza lento, dove tutto si prende il suo tempo.

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Questo senso di speranza e tranquillità che è ritornato nella tua musica riflette anche cambiamenti nella tua vita personale? Per esempio il fatto che sei diventato padre.
Sì, è tutto un insieme di cose. Per esempio la mia vita ora ha molto meno a che fare con i club, e questo ha probabilmente influenzato anche le mie scelte musicali. Il disco è più lento ma lo è anche il mio stile di vita, che è molto più casalingo e familiare di quanto non fosse in passato.

Quest'anno segna ben undici anni dal tuo debutto come The Field con un album che fu un successo clamoroso. Forse anche inaspettatamente. Com'è stato affrontare un successo di quel tipo? Ha anche dei lati negativi?
Non me l'aspettavo assolutamente. Non avevo neanche mai pensato che sarebbe potuto accadere. È successo. All'inizio non ci ho neanche riflettuto più di tanto, ho seguito il flusso, ho smesso di fare altri lavori e mi sono dedicato solo alla musica, e mi sono adattato alla novità e alla situazione. Certo non mi posso lamentare, sono stato molto fortunato che questo sia accaduto, è la cosa che mi piace fare e che mi ha cambiato la vita e sono felice che sia successo. Anche se più passa il tempo più è difficile, anche per l'età, tenere insieme tutto quanto, per esempio quando cominci a farti una famiglia, come dicevamo prima.

In una vita come la tua c'è anche un elemento molto importante che è quello dei tour, è difficile riuscire a lavorare a nuova musica quando si è sempre in giro?
Sì, anche se in qualche modo ho trovato una strada che fa per me. Per esempio se sto molto in giro come The Field non faccio per niente musica come The Field in studio, ma lavoro su qualcosa di diverso, altri monicker, altri progetti, altri stili. Invece quando non devo girare mi prendo un po' di tempo e quello è il momento in cui mi concentro in studio su The Field e comincio a lavorare a un nuovo album. È un sistema che per me funziona abbastanza bene.

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E in generale è difficile per te produrre nuova musica? Ho letto in giro di una sorta di blocco dello scrittore arrivato dopo il successo, però se guardiamo alla tua discografia sei stato piuttosto prolifico.
Qualche volta si fa un po' fatica, dipende molto dal mood in cui ti trovi. The Field è un progetto speciale per me quindi voglio sempre che sia tutto perfetto, e non sempre è facile. Però quando si parla di blocco dello scrittore il problema secondo me è sempre cominciare, fare la prima traccia. Quando quella è fatta, che è la cosa più difficile, poi il resto viene molto più facilmente.

Il modo in cui faccio musica come The Field è diventato un po' un rituale in un certo senso. Ogni pezzo deve andare al suo posto, non posso lasciare niente di abbozzato o non particolarmente rifinito, né cercare di fare le cose il più in fretta possibile, perché se ci provo il risultato mi sembra una schifezza. The Field è una cosa che ha bisogno del suo tempo. A volte anche di essere messo un attimo da parte, concentrarmi su qualcos'altro e poi ritornarci, o anche ricominciare da capo.

the field axel willner sonia alvarez

The Field. Foto di Sonia Alvarez.

Quando pensi che una traccia sia finita? Sei uno di quelli che continuano a lavorarci ossessivamente e a levigare mille dettagli? E che cos'è che ti fa dire che un pezzo è finito e non lo toccherai più?
Faccio le cose in modo abbastanza diretto. O più che in passato. Come ti dicevo sono un perfezionista, ma solo finché ci sto lavorando. Se mi sta venendo qualcosa di buono cerco di restare su quella traccia finché non è finita. Ho anche imparato un po' come si fa a rilavorare i pezzi, migliorare le cose, ma cerco di evitarlo per quanto possibile perché mi piace mantenere il feeling originale, come mi sentivo in quel momento. Ci sono altri producer che lavorano diversamente: ritornano sulle tracce, sistemano una cosa, poi sistemare una cosa ti porta a sistemarne un'altra ancora… Io ci lavoro ossessivamente ma quando è finita cerco di non tornarci su più di tanto. Cerco anche una volta finito di non farmi coinvolgere troppo nella fase del mix, perché se ci ritorno troppo sopra mi sembra di rovinare tutto. Quando sento che è finita è finita.

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Sei sempre stato notoriamente poco propenso a fare interviste, è perché la musica parla per conto suo e non c'è bisogno di spiegare troppo al riguardo?
[ride] Sì, decisamente per quello. Mi piace anche l'idea di rimanere abbastanza anonimo, estraneo, senza forzare interpretazioni, lasciando che gli ascoltatori se la vivano come vogliono. Non voglio dover dire alla gente come si deve sentire quando ascolta la mia musica. Penso che debba essere un'esperienza individuale, ognuno ha la propria.

Inoltre non ami troppo avere una figura pubblica al di fuori della musica, per esempio attraverso i social network. Per i musicisti oggi sembra sia indispensabile mettere migliaia di foto su Instagram, fare molta auto promozione…
Sì, decisamente non è il mio [ride]. Ho cominciato a entrarci un po' perché davvero sembra che il mercato lo pretenda, e inoltre voglio rimanere aggiornato perché ormai sembra essere quello anche il modo di scoprire nuove cose, musica, nuovi talenti… Però non mi fa impazzire l’atteggiamento di cui parli: non voglio dover condividere in continuazione ogni cosa con chiunque, preferisco mantenere un po’ di riservatezza riguardo la maggior parte delle cose della mia vita. Inoltre sono timido, sin da quando ero ragazzino.

Vivi a Berlino, che è una città dove vanno a stare molti musicisti. Pensi sia un buon ambiente? Sia per la tua vita che per il tuo lavoro. Ed è ancora una città stimolante? Sai quelle classiche cose che si sentono dire tipo "Berlino ormai è finita".
A me piace ancora molto. Certo ci sono pro e contro, soprattutto quando uno viene da un'altra parte ci sono sempre alcune cose che preferisce del posto da cui viene, o anche solo un elemento di nostalgia. Però la mia vita ora è qui ed è davvero quasi perfetta. Una cosa che preferisco di Berlino rispetto a Stoccolma per esempio è che Stoccolma è molto regolamentata, molto poco libera. A Berlino è tutto più libero, più aperto, ci sono molti club, possono stare aperti quanto gli pare… Non devi necessariamente partecipare, però è bello sapere che ci sono! Il Berghain è proprio dietro casa mia, poi come dicevamo io ormai faccio una vita molto tranquilla, però è bello sapere che c'è, che c'è questa possibilità, che è una città che offre certe cose. Inoltre la città è molto bella, c'è molto verde. Certo, mi manca il mare [ride].

Abbiamo detto che la tua musica è influenzata anche da quello che è il clima politico, lo spirito del tempo. E che come artista ora vuoi provare a offrire un qualche tipo di sollievo, di speranza a chi ti ascolta. Secondo alcuni l'arte dovrebbe sempre essere rivoluzionaria, e spingere alla ribellione, mentre tu in questo caso stai avvicinandoti di più a una sorta di escapismo? Penso per esempio, non so, alla musica tedesca degli anni Settanta, che aveva molto a che fare con l'idea di una fuga nello spazio, verso mondi lontani e psichedelici.
Penso sia molto bello quando gli artisti vogliono veicolare qualche tipo di messaggio, e apprezzo sia molte cose di stampo diciamo rivoluzionario, ma per esempio mi piace moltissimo anche la musica tedesca a cui fai riferimento. Si possono toccare infiniti temi all'interno della musica, ed è stimolante cercare di farlo attraverso una musica come la mia, che è priva di parole e i cui titoli non sono delle precise prese di posizione rispetto a qualcosa. Mi piace che ci sia una sorta di magia nel riuscire a comunicare qualcosa anche senza parole. E penso che poi ognuno possa fare della musica quello che vuole: se gli trasmette dei sentimenti vicini al proprio modo di intendere la vita sono contento che la percepisca in quel modo. In generale se gli trasmette delle sensazioni positive penso di aver raggiunto il mio obiettivo. In questo momento sto cercando di portare un po' di luce a chi mi ascolta, in questi tempi molto strani e instabili che stiamo vivendo.

Quindi si può dire che tu sia in qualche modo ottimista anche rispetto al futuro del mondo o sei ottimista solo nella musica?
Vorrei essere ottimista anche rispetto al mondo, spero davvero che le cose migliorino, anche se al momento è tutto davvero sconfortante. Speriamo in bene.

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