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Musica

Le recensioni della settimana

Quali dischi ci hanno fatto vomitare e quali ci hanno messo il sorriso questa settimana: Fabri Fibra, Nelly Furtado, Arca e altri.

Ogni Settimana Noisey recensisce le nuove uscite, i dischi in arrivo e quelli appena arrivati. Il metro utilizzato è estremamente semplice: o ci piacciono e ci fanno sorridere, o non ci piacciono e ci fanno vomitare.

FABRI FIBRA
Fenomeno
(Universal)

Apprezzo molto il nuovo Fabri Fibra perché ha provato in tutti i modi a farci pensare che l'album sarebbe stato un'enorme vagonata di merda, facendosi fare una copertina inguardabile, tingendosi i capelli di viola, lasciando più di un minuto e mezzo in mano a Roberto Saviano, facendo uscire un singolo in cui i wordplay più forti sono "Canna-vacciolo" e "esco dallo studio con il master-chef". E invece, anche questa volta, alla fine le cose fiche sono molto molto fiche, come per esempio "Stavo Pensando A Te" con quel ritornello tutto strambo o il beattone di Shablo in "Lascia Stare", nonostante le cadute di stile MA SOPRATTUTTO GLI ULTIMI DUE PEZZI SONO UNO UN DISSING AL FRATELLO E L'ALTRO ALLA MAMMA VI PREGO FATE INCAZZARE ANCORA FIBRA, GRAZIE.
MATTIA COSTIOLI NON LA VOLEVA FARE

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NELLY FURTADO
The Ride
(Nelstar Music Inc.)

Se sono diventato fissatissimo con le musiche è anche grazie alle mie tendenze ossessivo-compulsive per cui mi piaceva un sacco catalogare le cose. Tipo: i giochi della Playstation. Prendevo delle enormi liste, che tra l'altro già avevo in quanto pubblicate dalle riviste che compravo, e le copiavo diligentemente in un quadernetto in cui scrivevo titolo, sviluppatore, casa di produzione e genere, gioco dopo gioco. Facevo lo stesso per le nazioni del mondo (bandiera, nome stato, superficie, capitale) e la musica. E tu dici, "come facevi a catalogare la musica, che è un attimo tanta?" Bè raga, mi sparavo delle sessioni hardcore di MTV in cui scrivevo i nomi delle canzoni che passavano. Ed è così che ho potuto godere delle punte di diamante delle sette note nei tardi anni Novanta, tra cui "Crying at the Discoteque" degli Alcazar, "Ritmo" di Carolina Marquez e—soprattutto—"I'm Like a Bird" di Nelly Furtado, il cui video mi dava una gioia che non avete idea. Sentirla oggi, dopo che si è tra l'altro concessa un restyling tutto alterna avendo collaborato con Blood Orange, è come se stessi bevendo un frullato di ricordi. Forse a voi non fregava un cazzo di Nelly Furtado ai tempi, o eravate troppo piccoli, forse non eravate neanche nati. Ma sappiate che allora siete nel torto voi ragazzi, perché potevate anche pensarci a nascere un attimo prima.
DARIO DEI DARI

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ARCA
Arca
(XL Recordings)

Arca fino a oggi aveva pubblicato due album, veri e propri sfoggi di bravura e di una tecnica che in pochi possono eguagliare, ma anche dischi piuttosto freddi e un po' fini a se stessi. Cambi velocissime, rapide esplosioni. Forse per questo il posto dove credo che il suo lavoro brillasse di più è nelle produzioni per FKA twigs, vera grande avant-popstar del nostro tempo, il cui suono deve moltissimo al produttore venezuelano. Con questo disco, non a caso eponimo, Arca cambia tutto, tira fuori il cuore, lo prende "con entrambe le mani" e ne fa il protagonista del disco, addirittura mettendoci la voce. Difatti se nel 1930 i cartelloni pubblicitari recitavano "Garbo talks!" per promuovere il passaggio al sonoro da parte della diva, in questo caso dovrebbero dire "Arca sings!", poiché esclusa una manciata di eccezioni qui Alejandro canta, e lo fa nella sua lingua. È un cantato quasi melodrammatico, sorretto da musiche incredibili ma piuttosto minimali, ed è probabile che lasci perplessi non pochi tra i fan della vecchia guardia. Per quanto mi riguarda funziona a meraviglia e, se non si sgonfia, è potenzialmente il disco dell'anno.
GRAZIE AR-CA

FUOCO FATUO
Backwater
(Profound Lore)

Sembra ieri che il nome dei Fuoco Fatuo spuntava su pressoché ogni locandina di ogni concerto di ogni locale del nord Italia o quasi. Invece è passato ormai un lustro, e l'indefessa gavetta del trio di Varese, di recente diventato un quartetto, ha portato meritatissimi frutti. Backwater esce nientemeno che per Profound Lore e il suo contenuto è un concentrato di male, oscurità e putrefazione che alza ancora l'asticella rispetto al già promettente debutto. Il death metal è stato spinto ancora più nelle profondità della tenebra, e oggi siamo dalle parti del funeral doom più peso; scordatevi le tastierine degli Shape Of Despair e abbracciate l'abisso di Thergothon e (ancora di più) diSEMBOWELMENT ed Evoken. Quattro brani che durano mediamente un quarto d'ora farebbero accapponare la pelle a chiunque, ma quelli messi in fila dai FF sono puro terrorismo psicosonoro, roba che se Lovecraft fosse stato qui oggi dalla finestra ci si sarebbe lanciato lui e Dagon si pronuncerebbe Backwater.
ANTITESI DELLA LUCE

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Slowdive
S/T
(Dead Oceans)

Il ritorno dei Jesus And Mary Chain mi deluse fortemente, e approcciarmi a questa ennesima reunion (cioè appunto quella degli Slowdive) non è stata cosa facile. Eppure, appena fatta partire la prima traccia, è stato tutt'altro che difficile lasciarsi inghiottire dalla solita classe dei nostri paladini dello shoegaze, con i loro pezzi ariosi e lo scivolare melodico che ti tira la pelle del cuore come un gancio del macellaio. Sembra che il tempo non si sia fermato, e qui sta il problema. È vero? Non è vero? È quello che vogliono oppure è solo quello che gli viene? Apparentemente non hanno neanche cambiato pedaliera, ma se anche è possibile udire delle micro innovazioni, sono comunque passati 22 anni e scrollarseli di dosso non è facile (e poi superare Pygmalion, che si mangia a colazione tutto e tutti, è impresa ardua). La cosa certa è che lo shoegaze, genere da tempo abbastanza trascurato, avrebbe bisogno di tornare con una bella spallata, di osare, di rigirare come un calzino le sue stesse certezze: cosa che qui non avviene. Ma vuoi mettere il piacere di nuotare in una palla di vetro, in un mondo a parte dove tutto è sogno e inattualità? Stai a vedere che problema e soluzione sono la stessa cosa…
PIGMALIONE MAIALONE

CINDY LEE
Malenkost
(Maple Death / Superior Viaduct)

Questo album non è roba per tutti. C'è il caso che alle orecchie sbagliate sembri abbozzato, fastidioso, a tratti imbarazzante—ma state sicuri, c'è gente che se ne innamorerà alla prima nota. Cindy Lee è l'alter ego solitario e misterioso di Patrick Flegel, che conosciamo per aver militato nei noise rockers canadesi Women, e questo disco altro non è che la ristampa in vinile di una cassetta già uscita qualche anno fa su una piccola etichetta di Vancouver. Con il suo suono polveroso per nastri, chitarre e batteria suonata in punta di bacchette, Malenkost riporterà alla mente Niandra Lades o, come sottolinea il comunicato stampa, i deliri per nastri, detriti e strumenti trovati che si annidano fra i solchi di Jane from Occupied Europe, o quello che rimane degli Exploding Plastic Inevitable della premiata ditta Andy Warhol-Velvet Underground. Musica che è contemporaneamente arte e pura intimità—certo, le canzoni sono più che mai personali, diaristiche, quasi estremamente accorate, ma la "persona" è quella di Cindy Lee, un personaggio inventato la cui voce passa da maschile a femminile con astuti giochi di pitch-shifting. E forse è proprio questo che riesce a rendere piacevole l'esperienza di un ascolto che altrimenti rischierebbe di crollare sotto il peso dei sentimenti nerissimi e della solitudine che traspaiono da questo album.
IL COMPLESSO UNBELIEVABLE CAZZONS

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FUTURE ISLANDS
The Far Field
(4AD)

Io sono il primo ad ammettere di aver cominciato ad ascoltare i Future Islands solo dopo che Samuel T. Herring si è messo a fare il ballo dello zio al matrimonio in diretta internazionale sul palco di Letterman, eh. Non sono un loro fan di lunga data a cui è stato rubato il suo prezioso giocattolino musicale, né mi fa paura il loro successo sproporzionato. È che ci sono un sacco di cose belle dei Future Islands che ho scoperto solo dopo aver fatto le danze con Singles, e ho paura che possano non venire cacate dal pubblico perché "WOOH FACCE SEASONS!! WOOOOH!" Ve ne dico quindi un paio. Samuel T. Herring fa anche il rapper a nome Hemlock Ernst ed è il re del microfono, collabora regolarmente con l'MC più fresco che non avete mai ascoltato cioè milo aka scallops hotel e si legge un botto di roba interessante tra cui un sacco di libri di Calvino. Poi: per fare Singles, i Future Islands l'hanno rischiata grossa spendendo i loro (pochi) $oldi per registrarlo e il fatto che gliel'abbia pubblicato 4AD è stata una benedizione, dato che sarebbero sennò andati in bancarotta, e prima di allora andavano in tour nel loro furgone scalcinato e ci dormivano pure dentro, e suonavano specificamente nelle città più piccole e inculate che riuscivano a trovare perché loro erano nati in una città piccola e inculata e quindi avrebbero voluto qualcuno andasse a suonarci. E infine vi dico che dietro a The Far Field, se leggete i testi, c'è tutta una storia megatriste di rapporto tra uomo e grandezza totalizzante della natura che pare uscita dai tempi di Friedrich ma senza il disagio e la sifilide. E poi, certo, ci sono i ritmi e le tastiere tutti ammodino—perfetti per ballare il twist e anche il ballo del mattone.
EDOARDO VINELLO

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ACTRESS
AZD
(Ninjatune)

C'è un modo per andare sul dancefloor e in un certo senso dimenticarsi cosa si sta facendo? Tipo: "Oh, ma che ci faccio qui? Non dovrei essere a casa a tagliarmi le unghie dei piedi o ad organizzare un attentato?" Ecco, il nuovo Actress ottimizza questa sensazione in cui Mercurio e Marte vi sono contro e anche ballando non vi spostate di un millimetro, in cui anche l'alta fedeltà è un mucchio di sporcizia e tutta la tensione al futuro non è tanto "al futuro", quanto alle sue scorie tossiche. Ecco perché, come in un cosmo pieno di satelliti rottamati che si disintegrano crollando nell'atmosfera abbiamo anche citazioni di retrofuturo (si accenna alla sempreverde "Blue Monday" e alle sventagliate .jpg di Windowlicker), compressori sidechain che tirano su non tanto le casse quanto il rumore bianco intorno a esse, e come se dicesse "tu gli dai la stessa storia tanto lui non ha memoria" i brani sono a volte solo dei loop di poche battute, tanto siamo tutti dei pesci rossi con la memoria a breve termine fottuta. Hai voglia a strisciare la Visa, probabilmente non c'è nulla dentro.
POLYGONO DI FINESTRA

ANARQUÍA VERTICAL
Sistema Total de Liberación
(La Vida Es Un Mus)

Lo so che fa un po' ridere inneggiare al rovesciamento dell'ordine costituito dalle pagine di un sito mantenuto dalla pubblicità e facente parte di un grosso conglomerato internazionale, ma lasciate che pensi io a come guardarmi allo specchio o a come dormire la notte. Mentre escogito la mia fuga, vi consiglio l'ascolto di Sistema Total de Liberación degli Anarquía Vertical, band catalana al debutto per l'etichetta pigliatutto della scena, La Vida Es Un Mus. Questo mini-LP (che per essere mini ha pur sempre 12 canzoni, solo che durano quasi tutte meno di un minuto), come da tradizione LVEUM dotato di bellissima copertina e lussuoso inserto illustrato, è una mazzata incredibile di anarcopunk ultranichilista di scuola italiana/spagnola con un irresistibile batteria unò-duè e un chitarrista che passa con la stessa agilità da sprezzanti riff germsiani a sfuriate nonsense giapponesi ai più classici lick rock'n'roll; ma la sua vera forza sta nei testi. Si tratta infatti di proclami devastanti di nichilismo anarcoindividualista anti-società, il cui esempio più potente secondo chi scrive è "Igualitarismo", in cui questi punk rivendicano la loro condizione di paria e di nemici dell'ordine, contro l'integrazione: "L'egalitarismo è una merda, una bugia / Mediocri? No grazie, no all'uguaglianza / Ogni cosa ha la sua funzione / Non essere democratico, non credere nel loro Dio". In un clima di normalizzazione di ogni forma di dissenso, questo ritorno all'ostilità punk è una boccata d'aria fresca, e lo dico consapevole delle mie contraddizioni. Il disco si conclude con due frammenti di pulsante e sinistra elettronica dal sapore carpenteriano e condita da discorsi politici in spagnolo la cui fonte non sono ancora riuscito a identificare—ma l'atmosfera di paranoia e odio che riescono a creare, quella la capisco benissimo.
EL RATÓN DE LA BAJA

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MASTODON
Emperor Of Sand
(Reprise)

Al terzo album di questo nuovo percorso, i Mastodon entrano definitivamente e a buon diritto nella ristrettissima cerchia di artisti che partiti dalle cose più zozze, e nel loro caso complicate, finiscono a fare musica socialmente accettabile senza perdere credibilità lungo la strada. Metallari nostalgici datevi pace: il quartetto di Atlanta da almeno dieci anni non deve dimostrare più nulla e ora pensa a divertirsi. Con la classe che si ritrovano, è lecito pensare che la scrittura di Emperor Of Sand a Sanders e compagni abbia richiesto tra i venti e i quaranta minuti, ma la cosa più incredibile è quanto un disco facilone e immediato e dritto e ruffiano in mano a questi qua diventi semplicemente bello. "Show Yourself" è un singolone da classifica che farà storcere il naso a tutti i puristi rompicoglioni, ma in un palazzetto sarà devastante, "Jaguar God" è il solito spunto prog di chiusura che però può piacere anche a chi non pasteggia a centrifugati di virtuosismo, e "Roots Remain", fedele al suo nome, è un miscuglio di cose più e meno dure e cattive. Meno sfacciatamente stoner-cazzone dei due precedenti, più liscio e levigato, non si riesce a smettere di ascoltarlo. Rispetto a tredici anni fa, poi, non c'è nemmeno il rischio di uscirne con il mal di testa, con buona pace di Herman Melville.
LEVI @ ANO

STEFANO GHITTONI & DJ ROCCA
Atemporal Space Tests
(Schema)

Atemporal è probabilmente la parola chiave per interpretare questo disco. È il disco di due musicisti e amici (e sicuramente di due persone che vivono per la musica) che sono in giro da qualche decennio e che qui frullano un po' tutto quello che hanno incontrato negli anni e di cui si sono innamorati. Ci sono il dub e la musica cosmica ma anche il trip hop, la library e il funk, l'Africa e altri pianeti. Almeno quarant'anni (dai Sessanta ai Novanta) di "bella musica" - difficile trovare definizioni migliori - sono messi nel pentolone per la gioia di altri digger come loro. Da un momento all'altro ci si può trovare a passare da atmosfere alla Umiliani agli anni '90 di certe ritmiche spezzate. È anche un disco elegante, se vogliamo: non strafà, non parte mai davvero troppo per la tangente. Insomma, più che un disco da sabato sera, un buon disco per una domenica pomeriggio di primavera. Garantisce Scema, etichetta di riferimento per tutto quello che riguarda le ristampe del mondo library.
RETROMAZZA

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