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Musica

Le recensioni della settimana

Quali dischi ci hanno fatto esprimere delle opinioni questa settimana: WizKid, Coldplay, Mura Masa e altri.

Noisey è cresciuto e non usa più le faccine col vomito, ma le recensioni restano sempre scritte da persone piene di problemi che non vogliono necessariamente essere prese sul serio.

WIZKID
Sounds From The Other Side
(Starboy Entertainment/RCA)

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A meno che siate nati ad Abouja o a Ibadan, probabilmente avete sentito il nome "Wizkid" per la prima volta nel 2015, quando Drake e Skepta aggiunsero due versi a un pezzo tutto afropop intitolato "Ojuelegba". È in quel periodo che i king del pop americano si resero conto che potevano cominciare a far suonare la loro musica come qualcosa di non Occidentale—fu l'estate di "Lean On"—e che il rap americano cominciò a volare oltre l'Atlantico e il Pacifico per, in base ai casi, appropriarsi di culture altrui o integrarsi in esse traendone ottimi spunti musicali. Ora sono passati due anni l'R&B americano è così influenzato da ritmi dancehall e afrobeat che ascoltare Sounds From The Other Side probabilmente non vi farà sentire in mezzo alle strade di Lagos quanto in un qualsiasi club dell'Occidente minimamente attento a quello che funziona. A guardare i featuring sembra di stare davanti a una tracklist, boh, di Bryson Tiller: Ty Dolla $ign, Chris Brown, Trey Songz. E poi compaiono anche i due principali colpevoli-barra-visionari-barra-arraffatutto-barra-furbetti che si sono smezzati la torta del grand tour musicale, cioè Drake e i Major Lazer. Il cerchio si chiude: siamo riusciti a far diventare hit pezzi che assomigliano così tanto alla migliore musica africana che abbiamo reso quella di uno dei migliori artisti africani uguale identica alle nostre hit. L'unico lato positivo di tutto questo potrebbe essere un bel colonialismo al contrario, con tutta l'Africa che si riprende tutto quello che è suo—ma sono sicuro che continueremo a essere abbastanza prepotenti da continuare a guadagnare a schifo e portare in giro disuguaglianza e omogeneità mascherata da multiculturalismo per anni e anni a venire.
HERNANES CORTÉS (EA)

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COLDPLAY
Kaleidoscope EP
(Parlophone)

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"Ora che siamo il gruppo pop più grosso del mondo, non lasceremo un attimo di respiro a quei parassiti schifosi degli umani", sembra stia dicendo Chris Martin. "Ingegnere del suono, non puoi far suonare più plasticoso questo pianoforte? Come se fosse registrato apposta per una pubblicità. Ragazzi! Ho un'idea! Come bridge per questo pezzo usiamo la stessa melodia che abbiamo usato in tutti gli altri! Sì, quella che anche i nostri fan più sfegatati non possono più sentire senza avere un conato di vomito! E tu, Big Sean, ti va di sputare sedici barre di bolo parrocchiale rimasticato su quanto è bello vivere la vita con semplicità e quanto siamo tutti dei piccoli miracoli su questa base MIDI-funk che abbiamo fatto comporre a un computer della CIA dei tempi della Guerra Fredda? Ora voi continuate a suonare degli esercizi in tempo sincopato mentre io faccio i vocalizzi alla Bono che fanno arrabbiare tutti così tanto. Poi mettiamo un live a Tokyo con i Chainsmokers, così facciamo passare contemporaneamente il messaggio che noi odiamo le donne e loro amano noi, e chiudiamo con una bella ballatona a infiocchettare tutto con un nastro fatto di gente lampadata che piange in macchina".
DOTTOR STRANGOLAMORE (GS)

AA.VV.
Space, Energy & Light: Experimental Electronic and Acoustic Soundscapes 1961-88
(Soul Jazz)

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Per gli Avvertiti molti dei nomi in questa compilation non saranno una novità, ed è anche probabile che qualche brano già sia nella vostra collezione. Nondimeno, la Soul Jazz non sbaglia mai, per definizione, e anche questa compilation non fa eccezione. Se volete passare un'ora abbondante a sviaggiare abbandonandovi alle vibrazioni cosmiche generate da alcuni pionieri del sintetizzatore, questo è il posto giusto dove fare il biglietto. È anche il posto giusto da cui partire per approfondire le carriere di gente come Laurie Spiegel (sempre sia lodata), quel fricchettone di Iasos, Richard Pinhas, i Mother Mallard di David Borden (veri pionieri, tutt'ora in grado di lasciare a bocca aperta), e pure il nostro Baffo Banfi, che apre il disco con uno dei brani più impressionanti di tutta la raccolta. Aggiungeteci pure la grafica che richiama quella della placca lasciata sulla Luna dagli astronauti dell'Apollo 11 e insomma accattatevill'.
LINO BANKSY (FS)

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ALAN VEGA
IT
(Fader)

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Ascoltare la voce del grande vecchio ancora una volta fa muovere le budella: anche perché non sono storie da ufficio stampa, sto disco è davvero il suo capolavoro. Come già i dischi di Bowie e di Cohen, qui abbiamo un'altra leggenda che prima di chiudere il sipario dà il massimo, talmente tanto da spazzare via qualsiasi nuova leva. Dal 2000 Vega era li' che lavorava al suo testamento, ora che è uscito sentiamo dalla sua voce la voce dell' America, un'America calpestata dagli stessi americani, quindi in pratica è un testamento dell' America stessa. Un putiferio di rumori meccanici, di disastro sonoro senza alcun compromesso e alcuna pietà, mai così inascoltabile e duro, con il nostro che salmodia ossessivamente come un profeta disgustato storie di disastro di strada. Ascoltando sto casino possiamo immaginarlo mentre cammina di notte fra le desolate strade della sua NY, da solo , guardando tutto cio' che gli altri non vogliono vedere, lo sentiamo ragliare la sua rabbia , la rabbia di uno che sa ed è pronto a combattere la sua ultima battaglia, quella con la vita. E infatti il disco si chiude con la meravigliosa Stars, che ci scaraventa nell' iperspazio : ma mentre se ne va Vega non ha voglia di chiudere la partita, è come offeso per essere stato chiamato anzitempo rispetto alle sue aspettative di guerriero. Ma non temere Alan, la partita l'hai vinta eccome: siamo noi che ti abbiamo perso.
SENTIMENTAL COWBOY (DB)

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NADJA
Stripped
(Autoprodotto)

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Aidan Baker soffre un po' di incontinenza. Negli ultimi quindici anni non credo siano mai passati più di sei/otto mesi senza che il dronemaster canadese pubblicasse un disco, che fosse a nome suo, coi Nadja o in una delle sue innumerevoli collaborazioni. È ovvio che non tutto il materiale può essere al livello di Touched o Radiance Of Shadows, ma ad Aidan va riconosciuta la capacità di mantenere un livello qualitativo nettamente superiore alla media. Stavolta però, invece che l'ennesima serie di bordoni e droni sparati a cannone appositamente pensati per fotterci il cervello, finiamo spiazzati e ci ritroviamo davanti un album che lavora per sottrazione. Stripped è una rielaborazione di pezzoni "classici" dei Nadja, ammesso che questa definizione regga, spogliati della loro veste amplificata e presentati ignudi e genitali al vento. Stripped, appunto. In origine avrebbero essere parte di un progetto su sette lp dal programmatico nome Drone Compendium, poi qualcosa è andato storto e i brani sono finiti in download digitale su Bandcamp e da nessun'altra parte. Però è un peccato non ascoltarli: nella loro intima monotonia, in quell'atmosfera avvolgente marchio di fabbrica di Baker, anche se acustici i sei rework scaldano e cullano e fanno riflettere sulla vacuità della vita. Viene voglia di innamorarsi solo per poter dedicare "I Make From Your Eyes The Sun" a qualcuno.
DRONE DEPRESSONE (AB)

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MURA MASA
Mura Masa
(Anchor Point Records/Universal)

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Oh, Mura Masa deve avere un PR della madonna. Non solo si è beccato il solito giro di interviste e articoli e rece tutti da futuro radioso, ma quei boss dell'informazione a Vox gli hanno pure dedicato un video-documentario che racconta come ha fatto, in tre anni, a passare dall'essere tizio bianco random che produce in cameretta #7812 a superproduttore pop che collabora con A$AP Rocky e Damon Albarn. Long story short, quelli di Majestic Casual hanno cominciato a far girare le sue cose e al mondo c'è un sacco di gente che si prende bene per l'elettronica un po' vaporosa un po' sognante con le vocine pitchate e i campionamenti strani dal mondo con sotto le immagini tutte HD delle tipe in bikini in spiaggia e dei tramonti dopo la pioggia e delle ginocchia bianche graffiate con dietro lenzuola sfatte. Ma ragazzi, diciamocelo: non c'è niente, niente di nuovo in Mura Masa. Partire dal nulla e diventare strafamosi producendo a casa propria grazie al potere di alcune piattaforme e/o influencer che supportano ciò che fai permettendoti di crearti una fanbase organica che poi ti permette di essere notato da pesci più grandi nell'acquario grazie alla tua musica dalle influenze mondiali è la la norma per chi fa produzioni onnicomprensive e accomodanti come lui e ce la fa. È l'effetto che ha avuto questa cosa chiama "Internet" sulla musica, non so se ne avete sentito parlare. E poi, com'è 'sta storia che mò tutti fanno dischi che suonano come il loro curriculum? Mura Masa fa la synthwave e l'R&B e i pezzi caciaroni col basso che sculaccia e gli intermezzi acustici ambient, e li fa tutti bene eh. Però mi sembra di stare a sentire una playlist di Spotify tipo "Voglia di sole!" o "Good Vibes!", non il disco di un artista. E ok che la playlist è il nuovo album, ma anche no dai.
MURRA CINESE (EA)

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DANIEL SCHMIDT AND THE BERKELEY GAMELAN
In My Arms, Many Flowers
(Recital)

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La cosa più brutta di questo disco è che è stato stampato in poche copie e le prime due tirature sono già andate esaurite, ma dovrebbe arrivarne una terza. Una cosa bella di questo disco è che non è stato cagato molto dalla critica, ma il suo "successo" (si parla di un migliaio di copie vendute, non è roba da grandi numeri, ma per pochi pazzi di certe cose) è frutto del passaparola tra gli appassionati, che lo hanno magnificato tra gruppi Facebook e music blog - e se lo stanno pure strappando di mano su Discogs, mentre c'è chi prova a venderlo a 150 euro. La cosa più bella di questo disco è la musica: gamelan particolarmente placido e rilassante, registrato in studio o dal vivo tra il '78 e l'82 dal Berkeley Gamelan Ensemble guidato da Daniel Schmidt. Una cosa particolare di questo disco è che, come da top comment su YouTube, se lo si fa partire una seconda volta a sei minuti dall'inizio, il risultato è molto, molto bello.
MACRO CAIPSY (FS)

HERESIARCH
Death Ordinance
(Dark Descent)

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Negli ultimi tempi è come se il death metal si fosse ammosciato. Una decina d'anni fa ci fu un insospettabile ritorno di fiamma per suoni svunci e putrefatti, a cavallo tra gli anni zero e dieci Diocletian, Antediluvian, Teitanblood, Cruciamentum e compagnia briscola sembravano nati per avere successo, per quanto successo si possa avere con dischi che si chiamano Black Putrescence Of Evil e Through The Cervix Of Hawaah ( attraverso la cervice di Eva). Non si sa bene cosa sia capitato, ma quasi tutti questi, dopo qualche ep e ad andar bene un debutto, si sono impantanati, hanno avuto o stanno ancora avendo tempi di gestazione lunghissimi. Non fanno eccezione gli Heresiarch, che danno alle stampe un album a quasi dieci anni di distanza dall'inizio dei lavori. Poi c'è da dire che i Neozelandesi qui non è che hanno stampato un album, ma hanno citofonato a casa del buongusto, il quale ha ingenuamente aperto la porta ed è stato preso a badilate in fazza. Una roba come Death Ordinance è difficile trovarla, qualsiasi cosa provi ad avvicinarglisi viene fatta a pezzi. L'immaginario belligerante dei Bolt Thrower si aggiunge ad una voglia di far male che davvero Cthulhu spostati che non sei nessuno. Anni di attesa ripagati di ogni singolo giorno, la cosa più cattiva del 2017 a mani basse e senza discussione.
ANTI-TANK (AB)

MIKE COOPER
Raft
(Room40)

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L'estate è proprio la stagione di Mike Cooper: il suo abbigliamento hawaiano ci porta con la mente a essere perennemente stravaccati su una soleggiata spiaggia di un'isola sperduta nell'oceano, anche se fuori fa trenta gradi sotto zero e c'è una tempesta di neve. Ecco perché anche in questa prova il nostro spinge sull'acceleratore della sua fida steel guitar evocando mondi marini, spedizioni in alto mare, rarefazioni e rifrazioni su acque incontaminate. O meglio, contaminate da loops, rumori più o meno eterei, campionamenti esotici, field recordings volanti, evocando cicale e windchimes naturali tali che si può dire a tutti gli effetti che il suo folk è antiapocalittico. Schizzato da seme concreto, certo, ma con una leggerezza che ricorda addirittura la suite iniziale di Lindbergh dei Pooh (anche lì spazi sterminati e abbandono alla signora Madre Natura) per un ascolto fresco e soleggiato. Insomma, avete qualsiasi tipo di problema? Ascoltate Raft e vi passerà, alla fine è tutto ok siete vivi e potete ancora salpare i sette mari alla ricerca di noci di cocco da bere. Non portatevi il costume però.
IL PROFETA DEL SOLE (DB)

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