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Musica

L'evoluzione di Pop X

Invece di ripetere la formula che li ha portati al successo, nell'ultimo anno Pop X e i suoi hanno trovato nuove forme per comunicare la loro anarchia su disco e ai concerti.

Quando lo scorso dicembre Pop X ha ufficializzato l'uscita di Musica per noi, e da lì le date del relativo tour promozionale, facevo fatica a intravedere una possibile evoluzione per il progetto di Davide Panizza. Era passato troppo poco tempo dal precedente Lesbianitj, mentre la marea di concerti che ne aveva seguito la pubblicazione era andata bene, talmente bene da prolungarsi fino a solo qualche settimana prima dell'annuncio della ripartenza.

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Temevo che il lavoro in arrivo fosse un modo un po' sbrigativo per consolidare una posizione che, in fondo, andava bene così com'era: una testa di ponte che rifornisse il collettivo di nuovo ma collaudato materiale, un pretesto per irrobustire un'attività live in enorme ascesa. Perché sì, Pop X in studio è una figata, ma il lato davvero unico della sua identità resta proprio quello espresso durante i concerti. Parliamo di spettacoli che non hanno corrispettivi all'estero, in cui la lucidità (degli artisti sul palco e del pubblico) viene meno ancor prima di cominciare, per lasciare spazio a un'orgia di suoni e visual senza senso in cui ci si abbandona a un pogo liberatorio e autodistruttivo; una sorta di caos controllato, un rituale di balli deliranti su ritmiche ossessive e asfittiche, in cui non esistono limiti e tutto declina nel puro dadaismo (ah, la costante di scomodare storiche correnti artistiche quando si parla di Pop X).

Ma quindi chi aveva tempo, modo e voglia di cambiare rotta quando, con queste solide basi, sarebbe bastato premere un altro po' sull'acceleratore per arrivare a meta una volta per tutte?

Se non bastasse, l'ascolto a gennaio di Musica per noi aveva confuso ulteriormente le carte: autistico e avviluppato su se stesso ai limiti dell'incomprensibile, provava l'innamoramento (leggi: ossessione) di Panizza per la tarantella e la musica napoletana tout-court, tradotto in un disco caratterizzato da pattern ritmici tutti molto simili tra loro, tendenti a un nichilismo decisamente più sottile, taciturno e meno colorato di quello dei suoi predecessori.

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Eppure, nonostante tutto lasciasse presagire il peggio, quando a febbraio sono ricominciati i live ci si è accorti che l'evoluzione c'era stata, eccome, e di stagione in stagione lo show ha preso un indirizzo nuovo, verso quella che oggi può definirsi davvero una svolta: un concerto "suonato".

Concediamoci un flashback. Dicevamo dei live di Pop X come di rituali, e dello spirito che li anima. Be', quei rituali non hanno mai poggiato su una strumentazione "vera" (almeno non nella maggioranza dei casi), ma su basi preregistrare, che servivano da semplice tappeto a un'esibizione caratterizzata quasi integralmente da balletti nonsense e percussione di oggetti e strumenti improvvisati (skateboard, marmitte), in modo che fosse l'atmosfera alimentata, più che la componente strettamente tecnica, a guidare il pubblico nel delirio.

È importante capire questo per rendersi conto di come la scelta di ricorrere per la prima volta a strumenti "veri" non costituisca un semplice progetto di riarrangiamento, ma un ripensamento totale di alcuni dei tratti somatici del tour.

Gli equilibri sul palco, va detto, non sono cambiati. Nell'occhio del ciclone, perno del caos circostante, è rimasto ancora il solo Panizza, curvo sulle tastiere e sempre trasfigurato dall'autotune; tuttavia, intorno a lui i compagni sono aumentati, e cambiati; del resto, la fluidità degli altri membri del collettivo è sempre stata caratteristica intrinseca del progetto. Perso, almeno per il momento, l'apporto storico di Walter Biondani, si sono infatti aggiunti un basso (Matteo Domenichelli, già con Giorgio Poi) e delle tastiere (Ilaria Boba Ciampolini), mentre Luca Babic si è tenuto stretta la chitarra midi e Niccolò Di Gregorio si è seduto dietro al suo drumset.

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Una nuova formazione con new entry e conferme, quindi, che giova alla resa dei pezzi di Musica per noi portandoli dalla voluta ripetitività delle versioni studio verso una palette di suoni ricchissima, con sintetizzatori liquidi, autotune deviante e un coagulo ritmico drittissimo. Basta poco per rendersene conto: "Teke Taki" ha scoperto una dimensione quasi dreamy, ovviamente sconnessa e drogata, ma sempre suggestiva; "Regina" è diventata una tarantella sincopata e psichedelica, martellante; "Litfiga" ha portato (quello che Panizza ricorda de) la musica tradizionale napoletana su un improbabile dimensione dance.

E forse sì, con queste vesti il concerto ha assunto una forma più canonica e ordinaria, ma c'è da dire che lo spirito autodistruttivo e nonsense di sempre non è venuto meno, vuoi perché dal vivo spesso i BPM dei nuovi pezzi sfociano nell'hardcore, vuoi perché altre volte il tutto si fa puro lento violento. Ma non è, ovviamente, solo una questione di battiti per minuto. Sul palco, loro mantengono il solito atteggiamento folle e allucinato, mentre anche il pubblico è ancora parte integrante del delirio e non solo per abitudine, ma proprio perché quella tendenza sregolata che fa dei live di Pop X un'esperienza unica è rimasta intatta e radicata, aperta a convivere con le nuove (e più sottili) scoperte.

Oltretutto, non si sono tagliati i ponti con i classici, anzi: la seconda parte dello show è un corposo ritorno alle origini, con le varie "Frocidellanike" e "Io centro con i missili" rigorosamente "non suonate" come sempre, trapiantate quasi integralmente dal passato, a stabilire un equilibrio fra vecchio e nuovo, una convivenza in cui la prima parte del concerto (intensa, ma oggettivamente meno delirante della seconda) serve quasi da riscaldamento al consueto, selvaggio rituale, ora ancor più enfatizzato da questa dinamica di avvicinamento.

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L'impresa è allora quella di aver ripensato il live senza snaturarlo, una situazione in cui il valore aggiunto è costituito proprio dei brani più recenti, sia per come riescono a differenziarsi dalle relative versioni studio, sia per l'evoluzione che la loro esecuzione strumentale costituisce nell'ecosistema dell'intero spettacolo, e sia per l'integrazione del tutto inedita che vivono coi classici. E allora, a luci spente, ci resta un'esperienza sempre a distanza di sicurezza da un'eventuale normalizzazione, ma piuttosto arricchita di nuove sfumature e prospettive che, al tempo stesso, ci spingono a riflettere su cosa significhi, per il collettivo trentino, il processo di evoluzione.

In questo senso, più volte Panizza ha rimarcato quanto il suo approccio artistico sia anarchico, lontano dalle regole e dalle tempistiche dei colleghi. Proprio da lì deriva l'unicità di Pop X, in grado di sorprendere continuamente con scelte che non cercano un miglioramento obbligato, ma semmai la diversità, la distruzione formale di regole sempre ulteriori e il conseguente spiazzamento dell'ascoltatore. Così è stato, analizzando l'ultima stagione, quando il percorso di Musica per noi è passato per la musica napoletana, quando Panizza si è dedicato alle composizioni per organo, ai concerti "suonati" e all'eurodance di Gabry Ponte. Per lui, evoluzione non significa necessariamente crescita, ma ricerca di una via alternativa, espansione; come un blob che chiama a sé sempre altro, nutrendosi di ciò che incontra senza perdere di vista il suo nucleo centrale, che in questo caso è anarchia e nonsense al servizio di live estremi. Significa muoversi liberamente, guardarsi intorno in cerca di una via di fuga sempre nuova che possa tener accesa la sregolata incollocabilità del progetto, a conti fatti sua più grande ragione di vita.

Per il 2018, l'oracolo ha detto musica napoletana e strumenti dal vivo; per il prossimo anno, si vedrà. Che fatica essere Davide Panizza, però.

Patrizio è su Instagram.

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