Tutta la verità su MYSS KETA
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Musica

Tutta la verità su MYSS KETA

In questa intervista, la Divina ci ha permesso di sbirciare un po' dietro la maschera e raccontare la storia della sua vita in caps lock.

Myss Keta, fresca dell’uscita del suo primo album vero e proprio, si presenta all’intervista in un bar di Porta Venezia (e dove se no?) con mascherina e occhiali da sole d’ordinanza. Anche se non ci sarà uno shooting fotografico o nulla del genere. È parte del personaggio. Ma fortunatamente nel corso di questa conversazione riusciremo a andare anche un po’ in profondità e a grattare oltre quella superficie che viene celebrata nei suoi testi rigorosamente in capslock.

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Il disco, che si intitola per l’appunto UNA VITA IN CAPSLOCK e che esce per La Tempesta/Universal, la vede collaborare con un buon numero di produttori, tra i migliori italiani (Riva, Populous, Clap! Clap!, Bot, Rocco Rampino), due giovani e bravissime musiciste (Birthh e Adele Nigro) e una band storica come gli Zeus.

Di questo, di ironia, di critiche, di maschere e di molto altro abbiamo parlato con la diretta interessata.

Raccontami un po' la storia. In che anno nasce il progetto MYSS KETA?
Nel 2013, in una caldissima notte di agosto. Nasce da un testo scritto per gioco (“Milano Sushi e Coca”), e la sera stessa abbiamo composto anche la canzone. Due giorni dopo abbiamo fatto il video e l'abbiamo buttato fuori. Eravamo io, Riva, Simone Rovellini regista e Dario Pigato per tutta la parte grafica. Dopodiché ci sono stati due anni in cui siamo rimasti abbastanza fermi in pubblico, però io e Riva continuavamo a lavorarci. Intanto il team poi si è allargato a tutto Motel Forlanini, ora siamo una dozzina di persone, chi fa styling, chi set design… ci sono varie competenze diverse nella squadra. Siamo tornati poi nel 2015 con “In Gabbia”, “Burqa di Gucci” e poi “Le ragazze di Porta Venezia”, quello è stato l'inizio un po' più deciso del progetto.

A quel punto abbiamo fatto il mixtape che raccoglieva i pezzi con un concept un po' poliziottesco anni Settanta, poi l'album per Spotify che era un greatest hits, e l'anno scorso Carpaccio Ghiacciato che è stato il primo lavoro veramente coeso e pensato dall'inizio alla fine. Cinque pezzi prodotti da Populous, Unusual Magic, Carlo Luciano Porrini e Riva. All'epoca comunque stavamo già lavorando all’album, che ha avuto una gestazione di un anno e mezzo, quasi due. Era già nei nostri cervelli, diciamo. E ora finalmente è uscito.

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È con Carpaccio Ghiacciato che è arrivata La Tempesta?
La Tempesta è arrivata prima della pubblicazione su Spotify. Enrico e Davide ci hanno chiamato per aprire un loro concerto, i Tre Allegri Ragazzi Morti all'Alcatraz. Era un po' un azzardo mettere un live di MYSS su quel palco, ma da lì ci siamo avvicinati molto, loro ci hanno aiutati a diventare un po' più professionali, anche solo per esempio a arrivare su Spotify. Da lì andare con loro come etichetta è stato molto naturale. Nel 2018 poi è arrivata anche Universal e infatti l'album esce per entrambe le etichette.

Il pubblico dei Tre Allegri come ha reagito al concerto?
Sbigottimento. Soprattutto all'inizio, però verso la fine ballavano. Vedevo le prime tre o quattro file, all'Alcatraz quindi larghissime, in cui tutti avevano la classica maschera dei Tre Allegri, una cosa impressionante. Era una mossa azzardata da parte loro ma l'ho apprezzata molto, e anche il pubblico verso la terza o la quarta canzone si è sciolto. Loro poi sono persone molto intelligenti e musicisti che spaziano tra mille ascolti, hanno una visione molto ampia. Credo che il progetto li abbia sempre divertiti. E umanamente ci siamo sempre trovati benissimo. Dopo il live mi scrisse una ragazza su Facebook che diceva che all'inizio era quasi spaventata e poi invece le è piaciuto molto e si è andata a cercare tutte le canzoni. Per me già essere arrivata al cuore di una sola persona in maniera profonda è stato molto bello.

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Dicevi che Enrico e Davide hanno sempre trovato il progetto divertente. Secondo te il punto di MYSS KETA è quello di essere divertente? Far divertire e basta o ci sono dietro anche altre idee?
L'idea originaria in realtà non era neanche quella, quanto quella di far divertire noi di Motel Forlanini. Quella canzone fatta quella sera era fatta per ridere tra di noi, in quel momento, in quell'estate, riprendendo alcune cazzate che dicevamo tra di noi e ci facevano ridere. È proprio il nostro senso dell'umorismo. Giochi di parole, testi che si scrivevano automaticamente, un cazzeggio tra di noi. Poi ovviamente quando le cose crescono cerchi di spingerle sempre più in là e di migliorare, e di fare meglio le cose. Quindi anche l'idea di passare da singole canzoni a un EP coeso, e poi a un album che mette in scena un percorso.

Anche con i video è andata così: siamo partiti da video fatti veramente in casa mettendoci dieci euro a testa ad avere dei budget e cercare di fare sempre qualcosa di nuovo. Motel Forlanini sono tante persone e tutte brave nel loro campo, quindi cerchiamo di fare ogni volta un passo in più. Anche per divertirci su scala maggiore.

I testi li scrivi tu o è un lavoro collettivo?
È un lavoro collettivo. Abbiamo tutti delle infinite note sul cellulare in cui durante le serate ci segniamo le cose, giochi di parole, cose che leggi in giro, cose che ti dice qualcuno, soprattutto quando usciamo tutti insieme. Poi, quando non arrivano dall’esterno, Riva produce le basi. Con Populous per esempio prima abbiamo deciso che volevamo fare una canzone che si chiamasse “Xananas”, e poi abbiamo scritto la canzone. Ha avuto una gestazione lunga. Ci eravamo beccati con lui al Blanco e tra i fumi dell'alcol avevamo deciso di fare una cosa insieme con quel titolo, ci siamo riusciti più o meno un anno dopo. Però di solito Riva parte con la base e poi capiamo a quale idea associare quella base, e lavoriamo a partire da quello.

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In questo disco c'è una bella rosa di produttori, e anche un pezzo suonato dagli Zeus, e le ospitate di Birthh e di Adele Nigro.
Sono tutte persone con cui desideravamo lavorare. Io soprattutto cercavo altre figure femminili da coinvolgere: ho una voce molto bassa e un po' cupa, e mi piaceva avere Alice e Adele un po' come due angioletti in questo disco che è un po' infernale. Adele è una vera musicista a tutto tondo, bravissima, nata per fare quello, a differenza mia, e quel sax sta benissimo; Alice l'avevo vista live a Bari l'estate scorsa e mi era piaciuta tantissimo, mi piace un sacco la sua voce che è completamente diversa dalla mia e mi piaceva l'idea del contrasto che si potesse creare. Mi piace l'idea di questi due angioletti che mi aiutano a percorrere questa strada.

Per quanto riguarda i produttori sono proprio i miei produttori italiani preferiti, molto semplicemente. Rocco è un super amico e un mentore, poi ora che è tornato a Milano mi invita a pranzo quindi sono molto contenta, anche Populous ormai è praticamente parte della famiglia, Bot lo amo dai tempi dei Crookers e sono sempre stata sua fan, incarna quella fidget house come piace a me, impastata e massimalista. E Clap! Clap! per me è stato una specie di maestro: ho imparato un sacco dalle sue playlist, proprio nel corso degli anni, musiche di tutto il mondo, vecchia musica italiana…

Gli Zeus invece sono stati una scommessa perché io sono loro fan dal primo video che hanno fatto, e li seguo da allora. Ho visto un sacco di loro concerti. Io sono una grande amante dei concerti di musica "rock" o comunque diciamo della musica suonata dal vivo, sin dai tempi del Rolling Stone. E per questo disco avevo proprio questo desiderio. Ci abbiamo provato, abbiamo fatto la richiesta, io ci speravo davvero ma non ci contavo più di tanto, e invece quando mi hanno risposto è stato assurdo. Pur essendo fan non li conoscevo affatto di persona, anche se ero stata a mille concerti anche in giro per l'Italia, quindi io e Riva siamo andati a conoscerli a un concerto a Modena. Ci siamo trovati bene e pur facendo musica molto diversa dalla nostra è stato come lavorare con dei produttori di musica elettronica, è stato molto naturale. E del risultato sono mega contenta.

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Foto di Valentina De Zanche, via GDG Press.

Personalmente qual è il tuo percorso in fatto di gusti musicali? Sia da dove arrivi sia che cosa ascolti adesso.
Adesso sono del tutto onnivora, anche se è una cosa banale da dire. Io arrivo dal rock/indie, poi nell'epoca del nu rave mi sono appassionata anche all'elettronica, e intanto ho sempre ascoltato molto rap italiano storico, con un particolare legame con Fabri Fibra, che amo, e in generale i vari Sangue Misto eccetera. E mi piace tantissimo andare ai concerti metal. La musica elettronica l'ho scoperta in quel periodo della fidget house e da lì ho spaziato sempre di più. Continuo comunque a ascoltare anche molto indie italiano, sono fan di Giorgio Poi per esempio. Nel cantautorato mi piace che le cose siano raccontate con una certa leggerezza, anche ironia. Per esempio c'è molta più ironia che nell'hip hop dove invece devi sempre dimostrare di essere un vincente. Mi piacciono le sonorità ma i testi dopo un po' mi annoiano, preferisco per esempio appunto i Sangue Misto o il vecchio Fibra che dicevano di essere degli sfigati, o di stare in situazioni che non gli piacevano e che si sentivano fuori posto. Io mi sono sempre sentita più in sintonia con quel tipo di poetica che con quella di dover dire che sei il più figo e che sei sempre al top. Anche se magari la musica di questi mi piace tantissimo.

Fabri Fibra conosce MYSS KETA?
Spero di sì. Non lo so. MYSS KETA conosce molto bene Fabri Fibra, anzi per favore incontriamoci.

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Dietro questo album, anche con il coinvolgimento di Universal, mi sembra ci sia l'idea di un progetto su scala più nazionale, più serio, più strutturato. A me, per un po' di tempo, è parso un progetto che si poteva capire solo a Milano, anzi, ancora più chiuso: solo a Milano ma all'interno di un ambiente specifico. È corretta questa impressione di espansione? E anche secondo te esiste o esisteva invece il rischio di rimanere comprensibili soltanto a pochi?
Sì, c'era e c'è sempre. Comunque quando butti fuori qualsiasi tipo di prodotto rischia di non essere compreso. “Milano Sushi e Coca” e in generale le prime cose erano proprio incentrate sulla realtà che vivevamo noi, e su cose che divertivano noi. Poi, iniziando a girare, fare i tour e tutto il resto, ci è venuta voglia di aprirci un po' di più, di parlare in generale dell'Italia, ma non solo. A me verrebbe da dire del mondo in generale, come sguardo, anche se poi i testi sono in italiano. In questo album non ci sono riferimenti geografici, per esempio. L'unica è Parigi, non ci sono le strade di Milano. Sono testi super coerenti con quello che abbiamo sempre fatto ma con la volontà di parlare di cose più ampie, sono quasi discorsi più esistenziali, tra virgolette, che geografici. Luoghi mentali più che fisici.

Dicevamo che la cosa è nata per gioco e poi è diventata più seria. Mi chiedevo come te la vivi personalmente. Anche solo il fatto che ha preso una parte sempre più ampia della tua vita.
Io me la vivo come me la sono sempre vissuta finora. L'ho preso come veniva, è successo per caso, “Milano Sushi E Coca” è esplosa, poi ci siamo fermati, poi abbiamo ricominciato, abbiamo cominciato a suonare in giro, abbiamo visto che ci piaceva e che piaceva a sempre più gente. Io cerco di viverla come viene, e di essere ricettiva rispetto agli input che posso captare in giro, che secondo me è anche meglio rispetto all'avere un vero e proprio obiettivo. La vivo con una certa leggerezza, anche se sono super contenta di come sta andando.

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Un anno fa probabilmente non avrei creduto che sarebbe uscito un album con Tempesta e Universal, le cose succedono e sono conquiste progressive, che arrivano dopo un discreto lavoro, e ne sono orgogliosa. Non so bene cosa succederà in seguito, per ora me la godo, è bello. Cerco di metterci allo stesso tempo sia leggerezza che serietà nel progettare e fare le cose. È nato in modo talmente naturale che ho cercato di non farmi sopraffare dalla cosa. Poi nasce e si sviluppa tutto in un contesto di amici, e questo ci dà una grande leggerezza.


L'articolo è quasi finito, quando sei arrivato in fondo torna su e guarda The People Vs Keta:


E come vivi le critiche? Perché un progetto provocatorio si espone a certi attacchi.
Direi che mi hanno forgiata al tempo di “Milano Sushi E Coca”. All'inizio ci si resta abbastanza male, sorprese, è un po' un colpo. Però poi ti fai una corazza. E arrivi a un punto in cui ti preoccupi se non leggi abbastanza commenti negativi. A questo progetto gli hater sono connaturati, e hanno avuto anche un gran ruolo nel diffonderlo.Pensa a Young Signorino in questo momento, che sta diventando super famoso principalmente per la gente che lo condivide con indignazione. A me peraltro lui piace, lo trovo molto nichilista. Ed è un progetto veramente di ispirazione internazionale, ci suono insieme a Padova e non vedo l'ora.

Le critiche che mi fanno incazzare sono quelle basate sull'aspetto fisico, o mio o di altre persone coinvolte. Se qualcuno critica la musica o i testi io ci posso parlare tranquillamente, è solo dalle interazioni e dallo scambio che ottieni qualcosa, che c'è un arricchimento, anche socialmente e culturalmente. Ti arricchisce di più parlare con qualcuno che non la pensa come te. Invece le critiche che vorrei veramente non leggere più sono quelle sull'aspetto fisico, che palle, siamo ancora a quel punto lì?

MYSS KETA nasce come un progetto estremamente ironico, anche se come dicevamo prima da certe cose comunque ti stai un po' allontanando verso un tipo di crescita diversa, la domanda è se alla lunga l'ironia è una cosa che può rischiare di rompere le palle.
È un problema. Io credo di base che l'ironia sia un modo di guardare la realtà, magari perché così com'è ti spaventa. È una lente deformante che applichi. Poi la nostra non è tanto cercata quanto è davvero il nostro senso dell'umorismo condiviso, e il nostro modo di guardare il mondo. Poi tutte le cose alla lunga rischiano di annoiare, e tutti siamo un po' un cliché di noi stessi, a tratti.

Una cosa che mi piace tantissimo nell'uso della maschera è che come nel teatro greco chi indossa una certa maschera, chiunque sia, diventa quel personaggio. E ai concerti comincio a vedere ragazze con gli occhiali da sole e la mascherina, è una cosa inaspettata ma che secondo me coglie tantissimo il punto. A Roma c'era una ragazza “in maschera” che mi assomigliava anche un po' fisicamente, e dopo il concerto era circondata da gente che le chiedeva di fare foto. Mi piace pensare che tutti possano essere MYSS KETA, che voglia dire qualcosa, di certo qualcosa che va al di là di me.

Dove vedi il progetto a lungo termine? Pensi che tra dieci anni potrebbe esistere ancora MYSS KETA?
Io guardo solo al presente, e penso a breve termine. Al momento vedo l'album e il tour estivo, poi non guardo oltre. Ci sono alcune cose specifiche che vorrei fare, tipo un certo tipo di EP, magari uno di cover, una certa cosa nel live, ma non ci penso troppo. Poi è un progetto talmente libero che si può fare quello che si vuole, non bisogna rendere conto a nessuno, soprattutto a un pubblico. I fan hanno accolto bene anche questo album che è molto diverso dalle cose precedenti. Ne sono molto contenta, c'è spazio per qualsiasi evoluzione, anche la più inaspettata. È una libertà che mi vorrei tenere. E soprattutto di qui a dieci anni spero che sia finita la mia villa in Colombia.

Perché è un progetto faraonico.
Faraonico. Ricreeremo una piramide, con poltrone Cleopatra… Ne stiamo parlando in questi giorni con Donatella per capire bene l'arredamento.

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