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Musica

Gli stadi hanno incoronato Cesare Cremonini re del pop italiano

Stasera su Rai2 andrà in onda la performance di San Siro, sarà meglio che non ve la perdiate se volete vedere la miglior popstar italiana nel suo momento di grazia.
Foto via Facebook.

Stasera su Rai2 andrà in onda Una notte a San Siro, l'ultimo concerto di Cesare Cremonini a Milano. Sono contento perché finalmente lo vedrà anche mia madre, dopo un mese che non le parlo d'altro.

Non è un live qualunque, per lui e per l'Italia. In primis perché si tratta della sua prima tournée in assoluto negli stadi dopo una rincorsa partita nel 1999 e arrivata a destinazione solo ora, dopo anni passati in tono decisamente minore. Ma non lo è soprattutto perché il Cesare Nazionale non incarna certo il prototipo del cantante da stadio all'italiana.

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Qui da noi, se vai a vederti un concerto a San Siro lo fai per assistere alla performance di un artista internazionale, che si tratti di popstar affermate e credibili o di autentici dinosauri. In altre parole, lo fai se ci sono Beyoncé e JAY-Z, se ci sono i Depeche Mode. Al contrario, di italiano c'è poco a cui assistere: fra proposte non all'altezza (Pausini, Antonacci), in cui è difficile persino recitare la parte degli imbucati, e occasioni liquidate magari da una punta di snobismo (qui meglio non fare nomi, ma tranquilli: NON Ligabue), tutto è una cartina tornasole abbastanza fedele del panorama sconclusionato che rappresentano.

Sembra quasi banale, specie dopo l'ultimo asso pigliatutto di Possibili Scenari, sottolineare come invece Cremonini sia una mosca bianca rispetto a tutto ciò, unico e trasversale com'è nel mainstream italiano. Trasversale nel senso di poliglotta, in grado di parlare a tutti tramite un pop assolutamente valido, che travalica i singoli, personalissimi ascolti; trasversale nel senso, soprattutto, di immune a ogni forma di snobismo e pregiudizio, un po' per motivi di cuore (inutile nascondersi: gli si vuole bene), molto per l'assoluta integrità che negli anni, con ostinazione, è riuscito a cucirsi addosso, punto d'arrivo di una ricerca sonora e stilistica credibile e mai paracula, talvolta persino audace (la ballad "Poetica" è tutto tranne che radiofonica, eppure eccola lì in cima alle classifiche) e comunque riconosciuta anche dalla critica più scettica. E poi c'è una poetica solida e arguta: la semplice precisione con cui canta i sentimenti è una qualità che gli ha portato ammiratori da vari campi.

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Va da sé, quindi, che gli stadi rappresentino un appuntamento chiave per testare come si tradurrà su un palco tanto grande la sua integrità e per capire se si possa riempire davvero uno stadio di spettatori così diversi. Nel dubbio, io sono andato alla data di Roma dello scorso 23 giugno. Oltre a me quella sera c'erano, a giudicare dalle stories della mia filter bubble, più o meno tutti i tipi di ascoltatori possibili: il mio amico affezionato che lo segue dai tempi dei Lunapop, la ventenne che ha Cremonini come unico credo e il resto (inteso proprio come il resto della scena musicale planetaria) semplicemente lo ignora, la fangirl in prima fila in tempesta ormonale e la mia amica che se la tira tantissimo in quanto ad ascolti ma poi guai a toccarle Cesare. In mezzo, chiaramente, una serie infinita di sfumature mediane.

Che lui fosse uno showman si sapeva, ma il dubbio su come avrebbe risposto al boato di cotanti spettatori rimaneva. Niente turbamenti: un salto nel buio e via. Quando armeggia al synth per l'opener "Possibili scenari", l'impaccio iniziale è già praticamente alle spalle, mentre una presenza scenica straripante (ma mai pacchiana, grazie a Dio) non lascia spazio a timori reverenziali, ma solo alla voracità di chi vede l'Olimpico come un bambino, la mattina di Natale, il giocattolo che più desiderava. E qui, già metà del lavoro è fatto.

Quando poi alla seconda "Kashmir-Kashmir" il tiro si alza e lui, avvolto in una giacca di brillantini, inizia a ballare, davanti passano i riferimenti di una vita.

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Freddie Mercury, di cui Cremonini sfoggia anche un tatuaggio a dir poco discutibile, nel senso di una presenza eccentrica perno di uno show colossale, della ricerca ossessiva della spettacolarizzazione glam, con effetti video, laser e coriandoli vari. Ma c'è forse un altro modo per entrare in uno stadio, oggi? Lucio Dalla è l'altro polo, l'altra faccia della sintesi fra cantautorato e pop per vent'anni ambita e finalmente trovata: nazionalpopolare, al pianoforte, groppo in gola e malinconia ("che commozione, che tenerezza", avrebbe detto Dalla), "Le sei e ventisei" e una puttana che magari è la stessa di "Disperato erotico stomp", "PadreMadre" e il ricordo vero dell'infanzia, "Nessuno vuole essere Robin" e forse il momento più bello del concerto.

In due ore di show, Cremonini dà una prova di repertorio enorme, tale da potersi permettere di inserire in scaletta solo cinque canzoni dell'ultimo, applauditissimo, ascoltatissimo, vendutissimo, Possibili Scenari, pur garantendosi lo stesso un ritorno di pubblico assordante. Si procede a ritroso, quindi, verso un passato che riesumato appare ancora più luminoso, che fa pensare che sì, "Marmellata #25" e "PadreMadre" sono proprio belle canzoni e forse le avevamo tutti un po' sottovalutate all'epoca, mentre "Logico #1" è un piccolo miracolo per cui la base EDM non deflagra in una cafonata.

Restano fuori persino classiconi come "Maggese" e "Io e Anna", sostituiti a mo' di rivincita da brani più "difficili", meno noti, come "Dev'essere così" e "Il pagliaccio", rivisitato in una chiave indie-rock un po' bizzarra, mentre sul finale torna anche il periodo Lunapop, con "50 Special" e il rituale conclusivo di "Un giorno migliore".

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Così, mentre tutti, ma proprio tutti, cantano a squarciagola le hit ingenue dell'esordio e lui si dimena con vestiti sempre più stravaganti, ci si accorge che Cremonini sul palco può fare quello che vuole. Può farlo perché ha un innegabile talento compositivo, un'integrità prima costruita e poi alimentata e difesa anche quando le cose non andavano bene, perché è l'unica popstar, ora che anche Jovanotti, che comunque con la critica ha da sempre un rapporto più controverso, ha rinunciato a questo nobile intento, veramente solida, credibile e matura che abbiamo.

Può farti cantare i Lunapop, ma non è un guilty pleasure e non lo sarà mai: è un artista che ha una visione della musica chiara, che per rifuggire l'immagine del cantante da ragazzine ha pagato dieci anni di pregiudizi e alla fine è rinato negli stadi, sotto il segno della coerenza col passato e di un pop intelligente e attuale senza copia-incolla, che si diverte e sa divertire, che con eleganza ha trovato la formula per rimanere integro e convincere tutti, guardandosi dietro e poi lontano, da Lucio Dalla all'Inghilterra.

Così, quando ti volti e vedi l'Olimpico pieno (e San Siro, e il Dall'Ara di Bologna), realizzi che Cremonini è veramente l'unico volto del pop italiano in grado di competere su più livelli, il solo in grado di riempire uno stadio di fan tanto diversi, e questo tour è l'ovvia conseguenza di tutto ciò, la consacrazione che mancava. Non si ricicla mai, non ammicca, non cade in tentazione; ci insegna piuttosto che un pop da stadio può avere senso anche qui.

Patrizio è in giro per i colli bolognesi. Seguilo su Instagram.

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