Maria Antonietta non ha paura di deluderti
Maria Antonietta nel parcheggio di VICE Italia. 

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Musica

Maria Antonietta non ha paura di deluderti

Abbiamo parlato con la cantautrice marchigiana del male delle aspettative e di come evitarle, di come trovare la felicità e del suo nuovo album, 'Deluderti', che esce venerdì.
Giacomo Stefanini
Milan, IT
Vincenzo Ligresti
Milan, IT

Ultimamente, in un autodistruttivo gesto di ribellione contro me stesso e contro i buoni consigli di tutti i miei amici e amiche, sto invecchiando. Ma non parlo della pancetta e degli hangover e dei tatuaggi sbiaditi, che nel magico mondo di internet in cui viviamo tutti noi dipendenti di VICE sono l'unico indicatore del passare del tempo: parlo di quell'invecchiamento che ti fa diventare insofferente verso certe pose, certe finzioni, certe ipocrisie; parlo anche di quell'invecchiamento che ti fa venire voglia di parlare di cose intime, magari noiose, ma importanti; quell'invecchiamento che ti fa diventare un po' troppo sincero e incurante dell'offesa o dell'imbarazzo che potresti procurare agli altri. E voi vi starete chiedendo: perché ce lo racconti, Giacomo? Perché anche Maria Antonietta sta invecchiando.

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Il suo nuovo disco s'intitola Deluderti ed esce venerdì 30 marzo per La Tempesta, ed è un album che in maniera sfrontata e orgogliosa esibisce una certa saggezza. È talmente incentrato sulla realizzazione di sé che sembra quasi un concept album (e quando lo dico durante l'intervista che leggerete più avanti, l'artista annuisce), scritto per riaffermare un senso di indipendenza, di fiducia e, perché no, di felicità, una felicità conquistata e difesa con le unghie e con i denti contro la corrente di un mondo che, soprattutto quando sei una donna con un microfono, incoraggia l'insicurezza, la vergogna e la bidimensionalità.

L'idea che Letizia Cesarini alias Maria Antonietta si sia lasciata andare in Deluderti è molto forte: dove in passato trovavamo l'aderenza agli schemi più rigidi dell'indie folk o dell'indie rock o del punk rock, ora sentiamo esperimenti che mescolano vecchio rock'n'roll e melodia spectoriana, pop anni Ottanta, suggestioni new wave, echi britpop e alt-pop fine anni Novanta e l'aggiornamento della classica canzonetta italiana agli anni Dieci operato dalla contemporanea scena pop nazionale. Insomma, avrei anche potuto scrivere semplicemente che Maria Antonietta e la sua squadra di arrangiatori e co-produttori (composta da Giovanni Imparato aka Colombre, Tommaso Colliva e Fabio Grande) hanno fatto un po' quel cazzo che volevano, indovinando una serie di canzoni pop dal forte potenziale canticchiabile che mi hanno perseguitato per giorni (in particolare "Pesci", di cui potete vedere il video tra una risposta e l'altra).

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Letizia è venuta a trovarci in redazione un giovedì pomeriggio, e abbiamo chiacchierato in maniera pluridimensionale. Per capire cosa significa, tocca leggere qua sotto.

Noisey: Devi sapere che la prima volta che ti ho vista sarà stato il 2009 o 2010 e tu suonavi nel giardino di casa di Tiziano Sgarbi a.k.a. Bob Corn, a San Martino Spino, in mezzo alla campagna. Suonavi seduta per terra sul prato e ricordo che avevi queste scarpe col tacco alto di colore rosso intensissimo che non si addicevano per nulla all'ambiente rurale. È la stessa sfrontatezza che oggi mi sembra di ritrovare nelle tue canzoni. Com'è stato per te iniziare nel circuito underground?
Maria Antonietta: Ho cominciato a svolgere questa attività un po' per caso, perché quando ho iniziato a scrivere i brani per me era una questione piuttosto privata. Io sono sempre stata molto timida, non è che avessi velleità di esibirmi in pubblico. Quello che è successo è che io ero super appassionata di questo gruppo incredibile che si chiamava Parenthetical Girls, e nel 2007 loro vennero in Italia a promuovere il loro secondo disco, bellissimo, intitolato Safe As Houses e io andai a tutti i concerti. In una di queste date, mi sembra fosse Verona, Bob Corn aprì il concerto. Io non lo conoscevo, ma siccome ero andata lì da sola in autostop, cominciai a parlarci. E gli dissi che scrivevo canzoni anch'io però non volevo farle sentire a nessuno, e lui mi rispose: "Ma no, hai la faccia simpatica, secondo me le canzoni sono belle". [ride] E così mi invitò a casa sua la settimana dopo per registrare un demo. E questo mi diede un po' di coraggio e cominciai a crederci un po' di più, e tornai nel 2010 per registrare il mio primo vero disco, con l'aiuto del suo amico Enrico.

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Sei una "creatura" di Bob Corn, insomma.
Proprio così! [ride] Quello che dici sulla sfrontatezza è vero, credo che sia riuscita a mantenere intatta questa attitudine, pur avendo cambiato stile e forma nel tempo. Non sono mai stata molto in pace con gli stereotipi e con la semplificazione, anzi, porto avanti una certa crociata contro la semplificazione. Penso che la vita sia molto complessa, e contraddittoria, e piena di prospettive differenti che a volte stridono. E a volte siamo noi stessi ad autocensurarsi, magari per non deludere un'aspettativa, anche nei confronti di te stessa. Quindi mi piace pormi in tutta la mia complessità anche in contesti che non lo richiedono.

Il tema delle aspettative è praticamente il concept del tuo album ed emerge in molti punti; da dove viene questa "ossessione"?
Viene da lontano, perché proprio per il mio carattere ho sempre aspettative piuttosto alte nei confronti di me stessa. Se per fare una cosa basta un impegno da 6, per me 6 non è accettabile, devo andare sempre oltre. E lo stesso vale per le mie aspettative di felicità e di realizzazione spirituale nella vita. Ovviamente fare i conti con questo approccio costa molta fatica e molta sofferenza, perché l'aspettativa nella maggior parte dei casi non corrisponde mai alla realtà, no? E a volte è anche una fortuna, perché con la delusione delle aspettative spesso si apre una porta che non avevi immaginato e che ti sorprende molto di più. Quindi è un meccanismo per nulla virtuoso, che più che altro ti inchioda alla passività, perché quando l'aspettativa è troppo alta e ti senti di non essere all'altezza, alzi le mani e fai un passo indietro.

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Conosco bene questo meccanismo.
Invece è un'illusione, una costruzione. È una cosa che è sempre esistita per tutti, eh, ma penso che oggi sia molto presente e incisiva; pensa alla ricerca costante di approvazione, di dimostrazioni di stima, di far validare la tua ricerca e quello che tu sei tramite l'approvazione degli altri. È un meccanismo assolutamente morboso, perché tu costruisci la tua ricerca sull'approvazione e sull'aspettativa dell'altro, quindi la tua ricerca muore lì, se anche raggiungi il tuo obiettivo il frutto è senza valore. Scontrarsi con la delusione non è certo un piacere, ma è più sano.

Però per te l'idea di deludere è un atto di ribellione.
Sì, è una libertà che vale la pena prendersi. Tanto per cominciare destabilizza, e tutte le cose destabilizzanti sono positive perché disturbare lo status quo vuol dire portare un cambiamento.

Pensi che questo punto di vista abbia influenzato anche la tua scelta di non pubblicare dischi per alcuni anni (l'ultimo, Sassi, è del 2014) e di rimanere decentrata, a Senigallia, invece di tuffarti nello show business, trasferirti a Roma, e fare quello che ci si aspetta da chi si dedica alla musica per lavoro?
Credo che questa sia una scelta che si fa in base al proprio temperamento. Per me, questa è la scelta migliore. Sono una persona molto contemplativa, ho bisogno di ampio respiro, e stare molto a contatto con la natura mi permette di coltivare il mio mondo interiore, avere il mio spazio e una situazione psicologica che mi aiuta a creare. Quindi sicuramente è una scelta ben precisa che mi fa stare in pace con quello che sono e con quello che faccio. Ovviamente ha i suoi contro. Ma cerco di rendere giustizia alle mie esigenze.

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Nei quattro anni che sono passati tra un disco e l'altro hai studiato e ti sei laureata in storia dell'arte; come sarebbe stato Deluderti se invece fosse uscito nel 2015?
Sicuramente sarebbe stato molto diverso, soprattutto perché io avevo una consapevolezza diversa. Maturare una certa visione, un minimo di consapevolezza circa quello che tu sei e che vuoi rappresentare dentro al disco, richiede tempo. Ognuno ha il suo ritmo, è un discorso molto personale. Però penso che alcune cose richiedano sempre tempo, e quando forzi la mano rispetto al tempo che il tuo corpo ti richiede, il risultato è sicuramente peggiore. Quindi non so come sarebbe stato Deluderti nel 2015, ma di certo sarebbe stato un disco più brutto di questo. Ne sono convinta, non perché creda di aver realizzato il capolavoro del secolo ma perché rispetto a questo lavoro mi sento soddisfatta ed è una sensazione… strana. [ride]

Sono soddisfatta perché sono riuscita a concentrare le mie energie su un punto, perché si è chiarita la mia visione. Ho fatto pace con quello che avevo in testa. Perché questo succedesse, avevo bisogno di passare del tempo in solitudine, in un luogo astratto rispetto alla civiltà, alle contingenze, al mondo della musica. Avevo bisogno proprio di altro, così mi sono concentrata sul prendere la laurea e poi ho fatto uno stage in un laboratorio di arteterapia, in cui tenevo un corso di collage per ragazzi con disabilità psichiche. Questa è stata un'esperienza molto particolare, molto forte e che soprattutto ha ridimensionato certe ansie e aspettative. Penso sia assolutamente vitale per chiunque confrontarsi con cose molto distanti dalla propria attività principale. È come una purificazione ciclica che ti permette di rinnovare la tua volontà, perché altrimenti il tempo passa e tu non sai più bene perché fai quella cosa, no? Diventa un'attività che svolgi per inerzia, o per guadagnare dei soldi, o per compiacere il tuo ego. Ciclicamente, ri-tarare il fuoco è vitale per il bene di quello che stai facendo – e il modo migliore per farlo è confrontarsi con cose molto distanti, modalità differenti, mettendoti in gioco in cose che magari ti spaventano.

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Durante questo periodo che ruolo ha assunto la musica nella tua vita? Cioè, mentre eri impegnata a studiare o nello stage, continuavi ad avere il pensiero fisso della musica o ti sei totalmente estraniata?
Per parecchio tempo non ci ho proprio pensato. Ascoltavo della musica così, come la ascoltano tutti. Più che altro mi sono dedicata tantissimo alla poesia, ho letto tantissimo. Sono sempre stata appassionata di poesia, ma avendo una finestra di tempo così grande e con dei ritmi così casalinghi mi sono procurata tantissimi libri e mi sono dedicata proprio alla lettura. È quello che mi ha fatto riaccendere la voglia di scrivere.

Quindi l'album è partito soprattutto dai testi?
Sì, proprio così. Mi sono ispirata soprattutto ad autrici come Emily Dickinson, Sylvia Plath, Marina Cvetaeva, Wisława Szymborska, Antonia Pozzi, Cristina Campo… insomma, mi sono confrontata con delle voci altissime, che hanno scritto cose incredibili, e quindi, sai, quando vedi una cosa molto bella ti viene voglia di farne parte, di partecipare. E quindi è stato quello che mi ha fatto venire voglia di produrre qualcosa.

Ultimamente ho notato che la musica italiana si sta rivolgendo di più al proprio passato, alla tradizione nazionale dei cantautori (o dei folgorati). Anche tu ti sei avvicinata ai Dalla e ai Battisti in fase di composizione di questo disco?
In generale ho sempre fatto un po' fatica ad apprezzare la musica italiana, perché quando ho cominciato a fare questa attività mi ci sono avvicinata da appassionata al movimento punk femminile degli anni Novanta: Bikini Kill, Babes In Toyland, L7, Hole, ecc. E poi di lì ho condotto una ricerca, diciamo, femminile, approdando ai girl group degli anni Sessanta: Shangri La's, Shirelles…

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Ti volevo proprio dire che nel disco si sente molto l'influenza delle Ronettes
[ride] Grazie, che bel complimento! In effetti ci ho infilato un po' di trucchetti spectoriani, mimetizzati. Perché ho sempre avuto il pallino delle melodie e quindi quel mondo è proprio un punto di riferimento per me, l'apoteosi della melodia. Poi sono arrivata anche a cose tipo le Supremes, cose più anni Settanta, ma rimanendo nel filone girl group. Un altro disco che mi è piaciuto tantissimo e che ho ascoltato tanto mentre cominciavamo a produrre l'album è stato il disco di Miley Cyrus con i Flaming Lips. Quel disco è stato rivelatore, perché riesce ad avere ottime canzoni pop con l'aggiunta di una forte componente elettronica e "spaziale" e in cui si insinua un rock'n'roll un po' marcio e sghembo, e lei ha un timbro bellissimo. Insomma, ha un equilibrio molto sottile, che in certi momenti ti fa fare "uhm" [storce il naso] e in altri ti fa gridare al capolavoro. A me piace molto quando riesci a fondere cose molto distanti fra loro.

Visto che nel disco e nel track-by-track che ci hai mandato parli molto dell'idea di fare fatica per stare bene, di lottare per la felicità, mi piacerebbe che tu dessi un consiglio ai lettori da mettere in pratica per essere più felici. Se ci piace ti diamo un'intera rubrica tipo "La posta del cuore".
Penso che la cosa più utile sia anche quella più difficile, cioè cercare di acquistare un po' di fiducia in se stessi. Sembra banale, ma è la cosa più complicata che esista, perché ti trovi a confrontarti in continuazione con modelli, aspettative, standard e un senso di competizione costante, e anche se sei una persona pacifica questa cosa ti si insinua dentro e mina la tua sicurezza. Naturalmente ci sono persone che non hanno questo tipo di problemi, ma la maggior parte fatica, anche se non lo ammette. Ma è la premessa per tutto il resto, se tu non hai fiducia in te stesso e rispetto per quello che sei, è molto difficile avere una relazione non fallimentare, dedicarti a un lavoro credendoci e cercando di portare avanti la tua visione, è difficile confrontarti con gli altri; perché gli altri si porteranno sempre dietro la loro opinione, la loro visione, spesso in conflitto con la tua. Quindi finisci per censurarti, nasconderti oppure rinunciare. Lo dico perché ho sempre faticato io stessa e continuo a faticare.

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Credo che stare sul palco davanti a un pubblico numeroso aiuti…
Guarda, a me il pubblico mette in imbarazzo. Quella situazione, certo, ti lusinga, però la dinamica dell'autostima è un fatto talmente privato che quel tipo di cosa fa fatica a incidere. È un meccanismo che si deve sbloccare dentro di te. Sei tu che devi trovare i motivi giusti, i moventi giusti, l'ispirazione giusta, il confronto con le persone giuste per fare un ragionamento su te stesso. Quindi purtroppo il pubblico non è sufficiente, perlomeno per me non lo è stato.

Cito una frase che hai scritto a proposito di "Vergine": "ciò che non porta al vero porta al nulla". Qual è il tuo rapporto con la verità e la sincerità nel contesto dello spettacolo? Perché sei pur sempre una cantante, cioè una donna di spettacolo, e si sa che nello spettacolo di verità ce n'è storicamente poca…
Questa è una cosa che fa sempre soffrire, infatti anche in "Deluderti", quando dico "non assomiglio a una linea di contorno", parlo proprio della tendenza all'appiattimento verso la bidimensionalità. Già per una persona che fa un'attività non pubblica riuscire a gestire la propria complessità è… complesso, perché quando ti relazioni con gli altri ti semplifichi per forza di cose. Quando fai una cosa del genere, quindi ti inserisci in dinamiche molto pubbliche, il rischio di vedere mortificata la propria complessità è ancora più grande. Io cerco di mortificarla il meno possibile, ci provo in tutti i modi, ma temo sia inevitabile, bisogna farci i conti. Però io faccio tutto ciò che è in mio potere per cercare di farmi schiacciare il meno possibile in una cosa piatta e mantenere la tridimensionalità, anzi, la pluridimensionalità. Ma non posso avere lo stesso dialogo che sto avendo con te con tutti quelli che ascoltano le mie canzoni.

Prima parlavi della tua passione per la scena riot grrrl, inoltre so che sei un'appassionata di gender studies, quindi devo farti questa domanda: come vedi la rappresentanza femminile all'interno della scena indie italiana, o itpop che dir si voglia? La mia sensazione, come ho avuto modo di scrivere, è che le donne in questa scena compaiano soltanto nei video – scorrendo la playlistIndie Italia di Spotify, le uniche voci femminili che si sentono sono la tua e quelle di Verano, CRLN e Coma Cose. Per un ambiente musicale che si pone come l'altro polo della musica italiana, in contrapposizione alla durezza e al machismo del rap, mi sembra un po' poco.
I numeri non mentono, è un dato di fatto. Sicuramente c'entra anche il pubblico: quando uscì il mio primo disco nel 2012, io utilizzavo nei testi delle parole un po' crude, e questo scatenò una reazione che per me, all'epoca abituata ad ascoltare le Bikini Kill che hanno dei testi non esattamente pacifici, fu assolutamente esagerata, si scatenò il finimondo per un paio di parolacce. Quindi effettivamente c'è… non dico ostilità, ma sicuramente disabitudine al fatto che le donne si esprimano in modi non esattamente edulcorati o posati. Al tempo stesso credo che molto di questo sia dovuto anche alle donne stesse: c'è tutta una tradizione, un senso di abitudine, che ha plasmato le aspettative che le donne hanno di se stesse, non mettendosi in condizione di fare questa attività. Ma non siamo in un regime per il quale la donna debba stare in casa e non si possa dedicare a un'attività come la musica: se vuoi, puoi farlo. Non ci sono veti, non ci sono restrizioni. Molto spesso secondo me ci si autoimpone un vincolo, un limite, una censura, e alla fine diventi vittima di te stessa. Non lo so, forse è un discorso ingenuo, però penso che la responsabilità sia, certo, di un sistema, ma anche tua.

C'è da dire che quando una ragazza imbraccia una chitarra, o un microfono, o qualunque altro strumento, ho l'impressione che il giudizio sia molto più severo.
Quello senza dubbio. Anche perché sei molto più attaccabile per tutta una serie di aspetti che non sono assolutamente inerenti a quello che stai facendo. Sicuramente non sto dicendo che sia facile, però è un peccato limitarsi per paura di ricevere dei feedback di un certo tipo. Penso a tante donne che nelle loro vite hanno fatto cose ben più coraggiose o importanti, come ad esempio il movimento per il suffragio; penso a tutte quelle donne che sono state messe in carcere, che facevano lo sciopero della fame e venivano nutrite a forza con una canna in gola. Quella è una cosa che mi fa dire: "Non so se sarei pronta a un'azione così forte". Ma suonare? Questo secondo me lo si può fare. Con fatica, cercando di separare le critiche mosse per misoginia da quelle legittime, ignorando i commenti sulla tua vita sessuale e sul tuo aspetto, gli standard che ti vengono imposti. Si può fare. Io mi sento semplicemente una persona che cerca di fare una cosa, e porto avanti la mia ricerca liberamente, cercando di elevarmi al di sopra degli attacchi. Bisogna essere un po' salde e avere coraggio, perché senza coraggio in fondo è come assecondare il pregiudizio, e io non voglio assecondare un bel niente. Se poi hai la fortuna, come me, di avere vicino persone che ti stimano e che ti amano, sei inattaccabile.

Maria Antonietta sarà in tour per promuovere il suo nuovo album Deluderti, queste le date:
ven 20/04 @ TPO, Bologna
sab 28/04 @ Hiroshima Mon Amour, Torino
ven 4/05 @ New Age Club, Roncade (TV)
ven 11/05 @ Monk, Roma
sab 12/05 @ Teatro Sperimentale, Pesaro
sab 26/05 @ MIAMI (Circolo Magnolia), Milano

Giacomo è su Instagram, ma non lo usa abbastanza. Vincenzo, invece, su Instagram è un drago.

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