dansō escort giappone
Un gruppo di colleghi dansō di André a Tokyo. Tutte le foto di Marta Fanasca.
Identità

Ero una ragazza italiana a Tokyo in cerca di un lavoro. Sono diventata escort per donne

Ero una ragazza italiana a Tokyo in cerca di un lavoretto. Sono diventata un dansō escort di nome André.

È il 2012, sono una ragazza italiana a Tokyo da circa sei mesi con una borsa di studio. Ho bisogno di un lavoretto part-time e cerco anche un modo per migliorare il mio giapponese parlato. Un giorno incappo in un volantino: l’immagine di un gruppo di ragazzi efebici e bellocci pubblicizza un’agenzia di dansō escorting. Non conosco questa parola, dansō.

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Un’agenzia di dansō escort offre a una clientela prettamente (ma non esclusivamente) femminile la possibilità di avere un appuntamento con una donna crossdresser Female-to-Male.

Durante il tempo prenotato, il dansō può comportarsi come un fidanzato innamorato, un miglior amico, un fratellone. La cliente sceglie il tipo di relazione che le piacerebbe instaurare e il dansō fa il possibile per rendere l’esperienza soddisfacente e realistica. Anzi, più che realistica, perfetta. Mi serve un attimo per metabolizzare il tutto: esiste davvero un lavoro per cui posso uscire con le donne, mi viene offerta la cena, posso fare pratica col giapponese e vengo anche pagata? A quanto pare sì. 

Ho iniziato così, contattando quell’agenzia per caso, finendo poi per far diventare il fenomeno del dansō escorting il tema della mia tesi di dottorato. Ho collaborato con l’agenzia di dansō escort a vari titoli tra il 2012 e il 2021, ricoprendo in prima persona il ruolo di escort crossdresser per donne. Osservando, parlando e intervistando gli altri dansō e le loro clienti, ho potuto scoprire una realtà estremamente sfaccettata.

Dansō letteralmente significa “abbigliamento maschile,” ma in gergo viene usata per indicare una donna crossdresser FtM. In Giappone diverse donne che si presentano nella loro vita quotidiana e/o lavorativa con un’identità maschile usano questa parola per definirsi. Non si identificano come transgender o non-binary, sono dansō. Modificano cose come il taglio dei capelli o il vestiario, e performano un’identità di genere maschile nel modo in cui parlano e si muovono.

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Nell’estremamente genderizzata società giapponese, dove anche il modo per dire “io” può cambiare tra uomini e donne, indossare un completo maschile, portare i capelli corti, non truccarsi, sono tutti marcatori di mascolinità. E una donna che lavora come dansō escort lo fa perché sa che la sua identità verrebbe raramente accettata in altri posti di lavoro. I dansō, infatti, non sono collegati direttamente al movimento LGBTQI+ giapponese, anche se alcuni di loro (ma non tutti) si identificano come lesbiche. 

In generale, in Giappone l’attivismo arcobaleno non è una via molto praticata. Per molte persone l’identità sessuale è ancora vista come una questione di gusti, non come una definizione socio-identitaria. Nonostante questo, i dansō che ho conosciuto e intervistato vivono la propria identità maschile a tempo pieno, sia mentre lavorano come escort che nella propria vita privata.

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I dansō, pur ispirandosi ai personaggi di anime e manga, non sono cosplayer ma con il crossdressing esprimono la propria identità di genere.

Quando ho iniziato ho dovuto imparare molte cose: le clienti vanno chiamate ojōsama, “signorina”, a prescindere dall’età, e appena le si incontra è obbligatorio telefonare alla compagnia per confermare l’inizio dell’appuntamento. Da lì parte il conteggio del tempo ed è fondamentale non sforare. Nel mondo del dansō escorting il tempo è denaro: un appuntamento costa tra i 25 e i 50 euro (3300 - 6600 yen) all’ora a seconda del ranking dell’escort scelto, e se la cliente vuole prolungare l’esperienza deve pagare il tempo extra.

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Su suggerimento dei miei colleghi veterani ho acquistato la mia prima nabe shirt, il tank top elasticizzato che si usa per nascondere la curva del seno, ho imparato a non offendermi per commenti a volte un po’ brutali delle clienti (“che naso grande” non è la cosa migliore da sentirsi dire, eppure in Giappone pare essere un complimento). 

Anche io ho dovuto imparare in fretta come fare a ogni occasione dei complimenti: non importa chi si ha davanti, bisogna sempre trovare qualche dettaglio carino. Il taglio di capelli, il vestito, un accessorio. Altrimenti basta fingere: non importa che un complimento sia sincero, basta che sembri tale. Devi sorridere, guardare negli occhi la donna che hai davanti e farle credere che in quel momento non vorresti essere da nessun’altra parte se non con lei. Essere gentili e romantici è fondamentale: la maggior parte delle clienti frequenta un’agenzia di dansō escort perché non è soddisfatta dalle relazioni con gli uomini e ritiene che i dansō, con il loro mix di qualità, siano partner perfetti. 

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Il mio nome da dansō? André. Il mio personaggio? Un ragazzo italiano simpatico e incline alla chiacchiera, leggermente flirty. Mi sento molto cool come André, il completo maschile mi sta bene e scopro una certa sfacciataggine con le donne che non pensavo di avere. La mia specialità? Gli appuntamenti da ‘amico.’ Va bene dire bugie, ma lanciarmi in false dichiarazioni d’amore mi mette a disagio.

I colleghi sono simpatici, diventiamo amici in breve tempo. Loro, che sono diversi in questa società così conformista, non fanno fatica ad accettare ‘lo straniero’. Divento parte del gruppo e all’inizio sembra tutto molto divertente: i caffè nei locali di moda, le cene, ma poi arrivano anche le questioni da gestire.

Molte clienti cercano qualcuno con cui sfogarsi, e quando passi tre ore ad ascoltare una persona lamentarsi di sessismo e mobbing alla fine ti senti emozionalmente esausto. Peggio ancora quando i problemi hanno a che fare con la situazione economica: è difficile ascoltare una persona che si lamenta di non avere i soldi per fare la spesa quando sai che ha appena speso i suoi ultimi 50 euro per passare un’ora con te.

Le clienti che cercano solo amicizia spesso ti prenotano perché sono molto sole. Non è strano che ti dicano, “Volevo provare questo ristorante ma non ho nessuno con cui andarci.” Giorno dopo giorno inizi a sentirti triste per loro. Molte non hanno mai avuto una relazione non a pagamento, altre sono sfuggite da relazioni abusive e non hanno più voglia di farsi maltrattare dagli uomini. 

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In una società come quella Giapponese, dove la donna è spesso ancora vista come moglie e madre e gli uomini si aspettano che si occupi di tutte le faccende domestiche, dove un uomo trascorre di norma più tempo con il capo e i colleghi che con la famiglia ed è culturalmente scoraggiato dall’esprimere le proprie emozioni, dove ancora moltissime coppie si sposano per dovere sociale e non per amore, i dansō e il loro romanticismo da Harmony (“i tuoi occhi brillano come stelle”) rappresentano una boccata d’aria fresca.

Il fenomeno del dansō escorting, come molti altri servizi simili disponibili in Giappone (ad esempio i famosi partner in affitto), è intrinsecamente legato all’isolamento sociale, sempre più pervasivo nel Paese. In Giappone, definito nel 2010 in un documentario della NHK come muen shakai, una società senza relazioni, con il numero dei matrimoni e delle nascite costantemente in calo da almeno due decenni, non è difficile sentirsi soli.

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La scelta di non recitare il ruolo del perfetto fidanzato alla lunga è risultata la migliore per me e per il mio benessere psicologico. Senza dubbio però i dansō escort che guadagnano di più sono quelli che offrono le cosiddette gijiren’ai, le relazioni sentimentali “finte.”

Le loro clienti sono le uniche che provano a chiedere o offrire prestazioni sessuali, e tenerle a bada non è sempre facile. Una frase stereotipata, usata spesso dai miei colleghi dansō, suona più o meno così: “Io con te lo farei perché mi piaci tantissimo, ma sarebbe contro le regole e non posso permettermi di perdere questo lavoro. Ma tu sei più importante di tutto per me. E magari un giorno…”

Sono passati dieci anni dalla prima volta che ho incontrato il mondo dei dansō escort. Alcuni di loro sono diventati miei cari amici e hanno anche accettato di prendere parte al mio progetto fotografico. Ogni volta che vado in Giappone ascolto volentieri le loro storie, talvolta trasformandole in articoli accademici, altre volte tenendole per me. 

Tutte le volte gli chiedo fino a quando continueranno a fare questo lavoro e le loro risposte sono sempre vaghe: “Finché sarò abbastanza bello” o “Finché qualcuna vorrà pagarmi.” Di contro le clienti, soprattutto quelle innamorate, dicono che continueranno a uscire con il loro dansō per sempre.

Quando il dansō escorting è l’unico modo per esprimere la tua vera identità, l’unico mondo dove ti senti accettato o l’unico modo per stabilire dei rapporti umani, è facile che da lavoro o passatempo si trasformi in una via da cui né dansō né clienti vogliono o riescono a liberarsi.