FYI.

This story is over 5 years old.

Musica

Com'è fare il discografico a Milano?

È un lavoro pieno di soddisfazioni, di musica e di stalker.

Ho conosciuto Riccardo un annetto fa tramite un amico in comune. Non ricordo quando ho scoperto che faceva l'editore musicale, ma penso che abbia a che fare con il suo Instagram e una foto di un viaggio a Malta per fare da giudice a "un concorso canoro" che nella mia immaginazione ha subito preso le sembianze di un carnaio di lolite e uomini di mezz'età con le maniche di camicia e l'acufene (mi ha detto che non era così :( ). Riccardo lavora per la BMG, a Milano, che se condividi l'ufficio con dei cagacazzi ("puristi") come sono alcuni redattori di Noisey è uguale a dire che tiene in scacco Gotham per conto di Pinguino. Ecco, ho pensato che fosse il momento di fare breccia con un po' di senso di realtà su questo sito web, e capire come si lavora davvero in una grande casa discografica ed editoriale, e cosa ne pensa di panorama italiano, critica musicale e nuova scuola rap. Questo è quello che mi ha raccontato mentre cucinava la cena a cui mi ero autoinvitata.

Pubblicità

Alla domanda come hai cominciato a lavorare nel mondo della discografia, di solito rispondo che ho avuto culo; c'è anche una versione lunga di questa risposta, che passa da Cheope (l'autore), il mio curriculum che si sposta di scrivania in scrivania, e un posto di lavoro temporaneo. Il risultato comunque è che da cinque anni lavoro nella sede italiana della BMG e faccio l'A&R Manager, ovvero per lavoro trovo talenti, li cresco, li indirizzo e curo la parte editoriale e artistica dei loro pezzi.

Per quanto sia banale dirlo, ho sempre voluto lavorare nel music business—essendo oltretutto ben consapevole dei miei limiti sul lato artistico—e se proprio mi tocca fare una cosa che non sopporto e citare la mia fonte di ispirazione non posso che dire Rick Rubin, per il suo lavoro trasversale con i Black Sabbath, i Beastie Boys, ecc, fino a fondare la Def Jam.

Ecco, trasversale è una delle parole chiave del mio lavoro: durante la giornata ascolto musica di ogni tipo , anche quella che non ascolterei mai, che si situa sicuramente anni luce oltre quella che la maggior parte di voi ammetterebbe anche solo di non spegnere se passa alla radio. Sarò onesto, la maggior parte delle proposte che mi arrivano sono una merda; il mio lavoro è pieno di stalker o, come si dice in gergo, cassettari. Da uno di questi proprio l'altro giorno ci è arrivata una canzone tremenda per Zucchero—cantata malissimo, stonatissima, solo che adesso non riesco più a levarmela dalla testa. Di solito dai cassettari arrivano anche richieste assurde, tipo conoscere artisti che magari sono morti da 20 anni. La musica è anche piena di matti.

Pubblicità

Oltre alle candidature spontanee, ogni mattina ascolto le proposte degli autori del mio roster, italiani e stranieri. Il processo che seguo funziona in entrambi i sensi: se un pezzo non è stato scritto per nessuno in particolare sono io a cercare di immaginare per chi potrebbe funzionare; in altri casi un artista sta cercando nuovi brani, che noi creiamo ad hoc sulla base delle indicazioni dell'artista e delle nostre ricerche. Sì, ci sono miliardi di cose che produco che non ascolterei mai e non rientrano nei miei gusti, ma so che sono giuste e funzioneranno. È lavoro.

Ci sono però anche casi fortunati in cui gli artisti con cui lavoro sono quelli che ascolto nel tempo libero per prendermi bene o caricarmi—per esempio i 2nd Roof, che stanno benissimo nelle mie selecte di musica hip hop. Sono molto affezionato a questa "nuova scuola" di rap italiano che mescola a tendenze internazionali elementi esclusivamente italici, dalle squadre di calcio minori in avanti. Il motivo per cui non canto vittoria per il rap italiano però è che so che i cicli nella musica si avvicendano a velocità sostenuta, che per il rap tocca vette quasi schizofreniche. Oggi è così, domani chissà.

Anzi, dovendo fare un pronostico, io già da ieri (sono già grossi e voglio dare l'idea di non essere indietro) punterei sui cosiddetti gruppi indie pop: quelli grossi sono pochi—The Giornalisti, Lo Stato Sociale—e fanno grandi numeri; e le deviazioni soliste non sono da meno—a partire da Francesco Gabbani, Calcutta, Cosmo, Hugolini. Alcuni fanno quello che faceva Luca Carboni a inizio anni Novanta, solo che poi quella corrente è scemata, è tornata "underground" e finché lo è stata è stato figo dire che ci piaceva. Dato che credo di conoscere il mondo della musica italiana, aspetto che faccia di nuovo il botto per sentire qualcuno dire che "comunque a me Cosmo piaceva cinque anni fa".

Pubblicità

Questo snobismo tipico dell'utente medio non è però solamente un carattere culturale del nostro paese: un po' dipende da quelle che io chiamo cordate prodotte dalle major. Per esempio c'è un filone classico-femminile-pop che dal 1994 ad oggi ha fatto staffetta dalla Pausini a Giorgia a Elisa a Emma Marrone e Alessandra Amoroso. Se da un lato mi pare ovvio che la gente dopo un po' non ne voglia più sapere, dall'altro c'è un motivo anche a queste scelte, ed è che nel panorama discografico attuale pochi possono rischiare. Quando avevi la Pausini di turno che vendeva vagonate di CD potevi permetterti di investire i soldi in piccoli progetti che poi a loro volta sarebbero scoppiati, vedi i Lunapop, ecc. Adesso è difficile rischiare, perché gli introiti sono minimi e vengono solo da live, management, e in percentuali ancora piccole dallo streaming.

All'esigenza di sapere già in partenza che il cavallo su cui investi è vincente fino ad oggi sono serviti i talent, che tra l'altro fanno la parte di promozione iniziale—che è un sacco di lavoro sulla costruzione di un artista. A parte questo, sui talent sospendo il giudizio: è vero che ci hanno aiutato in un momento molto difficile, ma è anche vero che per un mondo in cui tutto passa in fretta come quello musicale, anche loro sono sulla china discendente. E infatti Fedez è uscito dalla rete, Francesco Gabbani si è fatto tutta la gavetta.

Al di là del pandemonio intellettualoide scatenato dalla vittoria di Gabbani a Sanremo, comunque, so che sto citando artisti che chi ha una visione "critica" della musica in Italia non spingerebbe mai; cosa che mi ha sempre lasciato perplesso, perché invece con le produzioni straniere, da Kendrick Lamar a Frank Ocean, non abbiamo problemi ad ammettere che la qualità e il successo possano andare a braccetto.

Pubblicità

Con i tempi brevi del consumo e la diffusione istantanea, il punto oggi è essere più lesti degli altri a capire quando un artista può diventare grosso. Fortunatamente, dato che lavoro in un'etichetta che ha finanze solide, ho la libertà di seguire gli artisti e aiutarli a crescere fino a che non arriva il loro momento. Nei mesi e anni—un contratto editoriale dura solitamente tre anni—prima del debutto cerchiamo di costruire il mercato giusto intorno all'artista o all'autore, a seconda delle sue caratteristiche e punti di forza. L'idea è quella di creare un bisogno nel pubblico per quello che sa fare. L'esempio che in questo momento esatto (parlando del 2017 eh) è più palesemente riuscito è Francesco [Gabbani]. Lui si era presentato da noi come autore, non voleva più cantare, dopo un bel po' di tempo a convincerlo ha scritto "Amen" con Fabio Ilacqua. Abbiamo cercato di piazzarla a vari artisti, e nessuno la voleva. Ma dato che credevamo nel pezzo, l'abbiamo convinto ad andare a Sanremo giovani. E poi è successo quello che è successo.

Ogni tanto, dato che non solo vedo il mondo cambiare intorno a me come magari i colleghi più avanti con gli anni, ma faccio parte della generazione che dà YouTube e Spotify per scontati, mi chiedo se la discografia è destinata a scomparire. E mi rispondo che, se sarà in grado di cambiare, no. Ora come ora un ragazzo in camera sua può fare tutto da solo, dal demo alla masterizzazione alla pubblicazione alla distribuzione. Quello a cui serve un'etichetta, oggi, è gestire tutto questo in senso professionale: le uscite, i tour, le pubbliche relazioni. Diverso è per l'editore.

Perché poi come dicevo all'inizio questo è anche un mondo pieno di matti e devi proprio avere voglia, per non mandarli affanculo: stamattina alle nove ho alzato il telefono ed era uno che mi urlava che si era già accordato per fare le date di uno dei nostri artisti in Sicilia, che però noi non gli rispondevamo e lui non sapeva come fare. Insomma, era solo un mitomane e alla fine ci ha promesso una recensione di merda al disco e all'azienda sul web magazine siciliano per cui lavora, ci ha detto che dovevamo andare a fare in culo e ha messo giù. È pieno di gente così.

Comunque al di là di quello che posso dire sulla discografia e sul fatto che sia fondamentale, poi il mio cuore sta con la DPG perché sono indie e fanno musica fighissima.

Elena di solito scrive su VICE. Seguila su Twitter.

Segui Noisey su Twitter e Facebook.