Johnson Righeira, futurista

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Johnson Righeira, futurista

La trascrizione integrale dell'intervista di Italian Folgorati con il pioniere dell'italo disco tra punk, galera e preveggenza.

Italian Folgorati è la serie di Noisey ideata da Demented Burrocacao che indaga negli angoli più nascosti della discografia nazionalpopolare italiana—gli album più strani, i personaggi più enigmatici e gli eventi più bizzarri della storia musicale del nostro Paese.

Ora Italian Folgorati è anche una serie video, e il secondo episodio contiene un incontro con Johnson Righeira, pioniere dell'italo disco e autore di tutti quei pezzi che mettiamo alle feste quando decidiamo di perdere totalmente il controllo. Qua sotto potete leggere la trascrizione integrale dell'intervista che ci ha rilasciato.

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Noisey: Ciao Johnson, tanto per cominciare confesso immediatamente di essere un grande fan dei Righeira, ho scoperto il synth pop grazie a voiMa voi siete partiti col punk, giusto?
Johnson Righeira: L'esordio dei Righeira in realtà è stato solista, perché io iniziai da solo nell'80, col mio primo 45 giri… per chi non lo sapesse, il 45 giri era un supporto fonografico di vinile grosso così. [Ride] Uscì per la Italian Records di Bologna, la stessa dei Gaznevada e dei primi Skiantos, Skiantos che tra l'altro furono la mia band in questo disco. Prima avevo fatto una fanzine punk.

Il disco si chiamava Bianca Surf.
Esatto, bravo. E poi successivamente cominciai a fare qualche serata, nel frattempo, in contemporanea, scrissi altri pezzi tra i quali amo ricordare "Clonazione Geghegé".

Che anno era?
Beh, sarà stato circa il 1980. Poi "Bianca Surf" uscì di nuovo nell'81 per la CGD, non lo sapevo ma sarebbe diventata la casa discografica del nostro futuro.

Quindi eri già in CGD molto prima dei Righeira.
Sì. Nel frattempo io e Michael ci eravamo già conosciuti, anche se lui non si faceva ancora chiamare Michael, ma…

…Italo Monitor, giusto?
Sì! Eravamo già sodali, diciamo. E verso la fine dell'81 in previsione di un capodanno che dovevamo fare al Casablanca di Firenze entrammo in una cantina con questi amici che avevano lì il loro studio, la loro sala prove; io avevo già una mezza idea di "Vamos a la Playa", che era l'evoluzione delle mie prime cose ispirate agli anni Sessanta. Volevo fare una canzone da spiaggia ma postatomica, con abbondante utilizzo di elettronica, e lì in quella cantina mi venne improvvisamente, mettendo le mani un po' a casaccio su una tastiera… eh, mi venne in testa il ritornello di "Vamos a la Playa" e devo dire che sicuramente è stato uno dei momenti più importanti della mia vita. [Ride]

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Se posso chiederlo, che tastiera era?
Doveva essere un synth monofonico Korg MS10.

Ah, minchia… roba seria.
Sì sì, faceva un suono continuo tipo ch-ua-ua-ua-ch-ua-ua-ua…

E da li è nato l'intro di "Vamos a la Playa"?
No, quello l'avevano fatto poi i produttori, i fratelli La Bionda. Ma in qualche modo era ispirato alle altre cose che c'erano nel pezzo. Hai mai sentito la versione demo?

No. Ma sbaglio o quest'anno è l'anniversario di quella versione?
Sì, è uscita in download e adesso uscirà in una compilation che si chiama Turin Dancefloor Express ed è una compilation che raccoglie brani spesso sconosciuti, cose super underground oppure cose disco-music minori, che in alcuni casi sono diventate cult, tutta la scena disco/new wave piemontese anni Settanta/Ottanta, diciamo. Roba che in vinile adesso costa un sacco di soldi.

Infatti, ritornando su questo discorso qui della new wave e del punk: il mio amico Michele D'Alessio detto Barox (che era il batterista dei Negazione) mi ha detto che tu bazzicavi molto l'ambiente punk di Torino. Ma anche la scena di Bologna ti aveva quasi adottato…
Sì. Io elessi Bologna come mia seconda patria perché mi resi conto che era l'unica scena in italiana in cui stavano davvero succedendo un sacco di cose. Fu quando venne fuori l'idea di fare un 45 giri con Giulio Tedeschi, il mitico Tedeschi dell'etichetta Toast Records, che allora non esisteva ancora; forte delle conoscenze che mi ero fatto con la fanzine punk precedente, finii a registrare questo disco insieme agli Skiantos, quindi cominciai a frequentare Bologna in modo un po' più assiduo ecco.

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Tu eri molto amico di Freak Antoni, vero?
Sì. Freak Antoni è stato un genio.

Assolutamente. E nel coraggio forse siete simili. Quello che mi ha colpito, infatti, del tuo primo periodo dei Righeira era il fatto che tu facevi una new wave strana, nel senso che non era punk né new wave classica. Era un po' più vicina all'idea dei Devo, no? Cioè, loro prendevano, che ne so, Roy Orbison e lo trasformavano in qualcosa di moderno, e tu facevi lo stesso con Peppino Di Capri. Un'operazione coraggiosa.
Io ho sempre cercato di fare le cose senza scimmiottare gli stranieri, basandomi sulla cultura italiana. Per cui io mi riferii agli anni Sessanta italiani cosi come il punk inglese si rifaceva al rock delle origini. Chiaramente poi lo stravolgevo e lo modernizzavo. Io partii dagli anni Sessanta italiani, quindi da Peppino Di Capri, Edoardo Vianello e cose del genere, perché il rock n'roll in Italia praticamente non era quasi esistito—non era stato una rivoluzione musicale violenta. E invece una vera e propria rivoluzione fu quando cominciarono a fare dischi questi personaggi: Vianello, Di Capri… anche Tony Dallara.

Insomma, il periodo degli urlatori.
Sì, quando la musica leggera italiana comincia a staccarsi dalla tradizione melodica. E quindi per me il punk italiano doveva partire da queste radici. Per cui la prima cosa che feci s'ispirava chiaramente a quello: "Bianca Surf". Sul retro c'era "Photoni", che era una specie di punk rock elettronico. Poi feci "Clonazione Geghegé", che fu pubblicata solo nel 2006 sulla raccolta Ex Punk, Ora Venduto, che include tutte le mie primissime cose. "Clonazione Geghegé" si rifaceva agli anni Sessanta ma aveva influenze molto Devo e anche influssi forse non demenziali, ma sicuramente surreali.

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Tu hai anticipato molte cose: anche Italian Graffiati di Cattaneo era figlio dalla tua intuizione.
Sì, ma questa cosa del revival anni Sessanta era comunque nell'aria.

E poi è arrivata la svolta elettronica tout court.
Già "Vamos a la Playa" era pesantemente elettronica. Se da una parte i miei riferimenti erano il punk, il funky, la disco, dall'altra c'era comunque certa musica elettronica. Un nome su tutti: i Kraftwerk, che ritengo tutto sommato i nostri genitori putativi. In Italia invece, di sicuro, i Krisma.

Ma non dimentichiamo i D.A.F., no?
Certo, per forza. "Luciano Serra Pilota", sul primo album dei Righeira, si rifà alla Neue Deutsche Welle tedesca perché noi eravamo un duo proprio come loro. Tornando ai Krisma, quando facevo la fanzine punk e li conobbi, nel '78, li andavo a trovare a casa loro, sul lago Maggiore, e Maurizio mi comprava cinquanta copie della fanzine e mi dava quelle diecimila lire che mi servivano per stampare il numero successivo. [Ride] Questo se vuoi è un dettaglio, ma i Krisma sono stati davvero molto importanti nella mia vita.

Anche loro erano dei pionieri assoluti alla costante ricerca di nuovi linguaggi.
Purtroppo non hanno ricevuto il riconoscimento che meriterebbero. Così come Freak Antoni.

Però negli ultimi tempi, almeno nel nuovo underground, continuano a ispirare e a essere considerati dei punti di riferimento assoluti. Soprattutto per il fatto che hanno creato dei raccordi fra la scena italiana e quello che succedeva nel resto del mondo. Cosa che alla fine hanno fatto anche i Righeira: se in Germania c'era "Der Mussolini", voi rispondevate con "Balla Marinetti".
Noi eravamo futuristi, anche prima dello sdoganamento del futurismo con la mostra di Palazzo Grassi a Venezia, quando veniva tenuto in secondo piano per via del legame tra Marinetti e il fascismo, che era un legame di comodo, diciamolo.

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Voi infatti siete più anarco-futuristi.
Sì, sì, io sono d'accordo con questa etichetta.

Molti hanno frainteso i vostri atteggiamenti.
Noi iniziammo ad appassionarci al futurismo dopo questa mostra che fecero a Torino che si chiamava "Ricostruzione Futurista dell'Universo", dentro alla mole Antonelliana che era ancora lontana dal diventare museo del cinema. E noi venimmo folgorati da questa cosa. E io adottai tutti gli atteggiamenti plateali tipici del futurismo. [Ride]

Tipo anche risse, cazzotti…
No, no, quello no. Diciamo risse più verbali che altro. Questo nostro legame col futurismo all'epoca non era molto popolare, soprattutto a sinistra. Per cui io, che già al liceo facevo le foto di classe con in mano il santino fotografico di Peppino Di Capri, andavo ai cortei dell'estrema sinistra però andavo anche alle feste private dei fighetti dove si ascoltava e si ballava disco music. Poi allo stesso tempo mi misi a fare una fanzine punk e feci una lista delirante alle elezioni del consiglio d'istituto, i famosi decreti delegati. E quindi capisci che era difficile, mi guardavano tutti un po' male; diciamo che stavo sul cazzo a tutti.

Però a parte il futurismo, i Righeira secondo me nascono anche come un rimando ai Ramones. Questo fatto dei finti fratelli…
Beh, non è proprio così, anche se i Ramones sono fra i miei gruppi del cuore. Peccato che non li possa più vedere, perché non li ho mai visti; l'unica volta che andai a un concerto dei Ramones nel '78 venni ricoverato due ore prima dell'inizio per coma etilico. [Ride]

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Capolavoro, la cosa più punk che potevi fare!
Sì. Mi svegliai alle quattro di notte in questa corsia dell'ospedale, capii in un nanosecondo quello che era successo e mi sentii una merda. Soprattutto perché mi venne a prendere mia mamma alla mattina. [Ride] E così non vidi i Ramones, e adesso ovviamente non si può più perché sono praticamente tutti, ahem, morti.

Ma tornando ai fratelli Righeira, come funzionava a livello compositivo tra di voi?
Quando iniziai a fare le serate come Johnson Righeira, dopo Bianca Surf, a un certo punto Micheal venne a farmi da aiutante. Una volta a Torino una volta venne anche un nostro amico pittore con una telescrivente… una roba delirante, era un delirio. Esistono delle foto da qualche parte. All'epoca si poteva fare tutto sommato tutto, c'era un grande senso di libertà. Ora paradossalmente hai molte più possibilità, puoi comunicare via internet con tutto il mondo, ma di contro è diventata una giungla senza capo né coda, senza fine. È difficile riuscire a mirare.

Ricordo la copertina del vostro primo album, che secondo me è un inno alla libertà: il museo che viene distrutto, che si apre a un sistema di relazioni in cui c'è tutto e non c'è niente, come un Internet dal volto umano. Che poi l'idea di bruciare i musei era di per sé squisitamente futurista no?
Non ricordo che l'idea avesse particolari implicazioni, altre copertine erano molto più centrate, tipo quella di "Vamos a la Playa". Poi facevamo sempre le cose insieme allo studio grafico Atipica, erano amici e ci mettevano sempre idee importanti.

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Il vostro logo ad esempio è bellissimo, me lo vorrei tatuare.
[Ride] Beh, è molto anni Ottanta, però quasi Convertiniano per certi versi.

Esatto, però c'è anche questa cosa neoclassica del discobolo…
Vero. C'erano anche i computer con lo schermo piatto, che adesso conosciamo bene, ma all'epoca non esistevano! Immagini del futuro che si sono rivelate poi involontariamente profetiche. Avevamo anche una canzone intitolata "3D".

Che sta in Bambini Forever, anno 1985.
È la storia di uno che non ha tempo per vedere la sua donna e allora la vede con gli occhialini nell'orologio 3D e dice "3D, 3D / È come se tu fossi qui".

E adesso è proprio così, chat video sul telefonino e via.
C'era già la consapevolezza che non sarebbe stato come se lei fosse veramente li, era proprio quella la cosa drammatica, il pathos della faccenda.

Ma ritorniamo al vostro lavoro insieme.
Con Michael le prime cose venivano dai miei lavori solisti come Johnson Righeira. Poi successivamente abbiamo fatto delle cose insieme, ha fatto delle cose lui, si lavorava insieme a delle idee con i produttori.

Quindi diciamo era un tuttofare, un jolly
Più che altro eravamo un tutt'uno, una sola entità. Per quello decidemmo di diventare fratelli, parafrasando un po' Marinetti: nauseati dal nostro rapporto di amicizia, finimmo per diventare fratelli.

Ma tu sei il compositore principale giusto?
Beh, se guardiamo ai successi, direi di sì. Tranne "No Tengo Dinero".

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Tra i grandi successi è una di quelle che preferisco. Com'è nata?
Era un'idea di Micheal, poi sviluppammo il ritornello con i La Bionda, anzi, lo fecero loro, che dio li abbia in gloria. Ma a noi "No Tengo Dinero" non piaceva tanto all'inizio, perché venne un po' spacciata come il follow up di "Vamos a la Playa", mentre noi eravamo molto eclettici. Il primo album dei Righeira, che per altro è molto bello…

Sì, posso confermarlo, lo sottoscrivo.
Non dà punti di riferimento, ogni pezzo cambia mondo.

C'è anche il pezzo lounge/spaziale "Gli parlerò di te".
Sì, una delle canzoni che amo di più di quel disco. Anche quella ha una storia dietro.

Quale storia?
È la storia di un'astronauta italiano che compie una missione. All'epoca gli astronauti italiani non esistevano. Quindi questo astronauta italiano parte senza sapere se farà ritorno, e ipotizzava un eventuale incontro con entità aliene e immaginarie. "E se mi capiranno, so già che gli parlerò di te".

Amore cosmico, insomma.
Amore che non esiste nella vita! [Ride] Sai, un'astronauta che parla della sua donna agli alieni come prima cosa! Ipotesi devo dire molto romantica, poco realistica, al limite del delirio.

Quindi hai anticipato anche il modernariato spaziale dei Daft Punk, per certi versi.
Dici?

Beh a livello d'immaginario e suoni, se ci pensi… e poi anche loro sono in due.
Anche se poi l'arrangiamento lo faceva l'arrangiatore di sua iniziativa, nel caso di "Gli Parlerò di Te" credo che noi abbiamo suggestionato molto l'immaginario. Infatti mi piace moltissimo.

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Secondo me la vostra influenza sui La Bionda è più profonda di quanto si pensi. Prima di voi loro avevano avuto una svolta elettronica con "I Wanna Be Your Lover", ma poi non hanno più fatto dischi di quel tipo. Si sono rinnovati e hanno sviluppato quel discorso solo in quanto parte del vostro progetto.
In effetti "Vamos a la Playa" è stato un terremoto, per tutti.

Li avete portati anche all'estremo della ricerca sonora per un prodotto pop di quel tipo.
Indubbiamente "Vamos…" è molto diversa, per fortuna, dalla versione demo, perché per quanto bellissima non sarebbe mai stata il successo che è stata. Però anche la "Vamos a la Playa" che è uscita, che è diventata un evergreen, non è appunto un pezzo dei La Bionda. Quindi fra noi c'è stata una simbiosi fortunata.

E come avete fatto a veicolare questi messaggi subliminali sul postatomico di cui parlavamo prima in quella canzone senza ottenere una reazione di rifiuto dal pubblico?
Guarda, nessuno ha mai fatto caso al testo. Sandy Marton due o tre anni fa, trovandoci in un posto a fare la serata insieme come capita spesso anche con altri personaggi di quel periodo, mi disse: "Ma sai che ho ascoltato il testo di 'Vamos a la Playa'? Cazzo, ma è bello!" [Ride]

Ci è arrivato un po' in ritardo!
Cioè lui parla spagnolo, vive a Ibiza.

Però c'è anche la versione in italiano, che è il lato B del singolo.
Sì ma è una versione fatta dopo, quella originale è in spagnolo. Anche lì, come al solito, abbiamo fatto il contrario: prima la versione spagnola e poi l'italiana.

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Ma neanche quella è servita a far capire cosa dicevate davvero. Problema che forse troviamo anche nel passaggio seguente, l'ennesimo cambiamento di rotta di "Hey Mama", 1984.
"Hey Mama" era un pezzo troppo delirante secondo me, a parte il fatto che forse non era così forte come singolo. Tuttora la amo tantissimo. Lì tra l'altro i La Bionda ci fecero cambiare il testo originario che avevamo scritto noi, erano perplessi.

Di che parlava?
"Hey Mama" era il frutto di una visione che avevamo avuto all'epoca. Stava nascendo la cultura hip hop un po' ovunque. C'era Afrika Bambaata, la Zulu Nation… e noi, sempre nella nostra ottica quasi psichedelica delle cose, a un certo punto eravamo in giro per fare la promozione in giro per l'Europa, e cominciammo ad avere queste visioni di animalismo… no? Di ritorno alle radici, all'essenziale… e quindi vediamo 'sta cosa delle corna [Ride]. In quel periodo vedevamo corna dappertutto.

Ma veramente?
Eh sì! Entravi in una discoteca, c'era un video e c'era qualcosa con le corna. E abbiamo cominciato a comprarci i cornetti quelli napoletani, quelli col gobbo. Le corna sono diventate per noi un po' la rappresentazione della cultura hip hop… poi in realtà adesso te lo sto spiegando razionalmente, all'epoca era assolutamente tutto istintivo.

Che poi era collegato con il terrore delle corna degli italiani, sia nel senso di tradimento sia di sfortuna.
Ma sì, c'era il gioco dei doppi sensi, ma era tutto istintivo appunto. La figata della cultura hip hop è che portava l'arte in strada: i graffiti, il rap fatto con i ghetto blaster per terra, sui marciapiedi, i ragazzi che ballavano breakdance… Era rivoluzionario, una cosa di cui forse ci si è accorti veramente solo dopo. Ai tempi se ne accorgeva solo una sorta di élite. Ma è un termine brutto, diciamo una minoranza.

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Certo, l'incontro con la gioventù bianca, quella del rock, arriva soltanto nel 1986. Poi in Italia, capirai, eravamo indietro di millenni.
In Italia arrivava tutto un pochino plastificato. Insomma, noi con queste visioni di corna facemmo questo pezzo che parlava sì di corna, ma non di quelle del testo modificato della versione ufficiale. Il testo originario, che è poi quello della versione spagnola, iniziava dicendo: "Emmué Bozambo…"

Bozambo?
"Spia baluba quando balla il mambo / mentre dal cielo piovono gli zombi / sulle astronavi dei DJ Zulù".

Bellissimo! Eccezionale! Quasi alla Talking Heads di "I Zimbra".
Era la sintesi righeriana dell'emozione che ci stava dando questa cosa.

Comunque lì c'è un grandissimo lavoro di campionamenti, anzi, è quasi plunderphonia in erba.
Diciamo che in "Hey Mama" giocarono un ruolo importante i Frankie Goes to Hollywood. La produzione dei loro dischi ci ha ispirato molto, infatti è una figata ascoltare il pezzo in cuffia perché ci sono dei tagli improvvisi che asciugano tutto… robe assolutamente rivoluzionarie nella musica leggera italiana del periodo.

Innovazioni che poi avete sviluppato con "Innamoratissimo", che è un ulteriore passo in avanti.
Sì, anche se "Innamoratissimo" è forse una canzone già più di maniera.

Secondo me invece quell'atmosfera Beatles non è per niente scontata, dopo ci hanno fondato sopra il brit pop!
Diciamo che i La Bionda con noi si divertivano, potevano veramente sbizzarrirsi.

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Poi avevate anche grandi collaboratori, come Steve Piccolo dei Lounge Lizards, Curt Cress degli Alphaville, batterista strepitoso; e anche Rocco Tanica di Elio e le Storie Tese quando ancora nessuno li cagava, coautore di "Innamoratissimo".
Ma anche in "Gli Parlerò di Te" suonò Mats Bjorklund, che fu il chitarrista di Donna Summer. Sai, i La Bionda avevano fatto grande successo in Germania, dove la disco andava fortissimo. Quindi c'era un giro di musicisti strepitosi e loro conoscevano tutti. Molta della gente che ha lavorato con noi era gente che aveva già lavorato con loro.

Tornando a "Luciano Serra Pilota", lì mi ricordate anche molto gli Yello, anche loro fissati col tema della velocità. 
Onestamente non li ho mai ascoltati tanto, però riconosco delle analogie. "Luciano Serra Pilota" comunque era una provocazione, ispirato al film fascista di Goffredo Alessandrini che vinse la coppa Volpi nel '38.

Quindi era ironico, no? Come anche il pezzo su Tambroni, "Tambroni twist".
Sì, ma erano temi caldi. Forse era un po' presto per ironizzare su cose del genere, però noi eravamo così.

La vostra carica eversiva non è mai stata sottolineata abbastanza, secondo me.
Sai, il grande successo ha fatto sì che tutto il resto passasse in secondo piano.

Parliamo del successo. Quando è arrivato eravate pronti?
Ma figurati.

E come lo avete vissuto?
Beh, ci ha un po' travolti. Dopo il successo non abbiamo più scritto una hit. La stessa "L'Estate Sta Finendo" era stata scritta prima di "Vamos a la Playa", nella sua prima versione.

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Che poi è uscita nel 2006, in Ex Punk Ora Venduto.
Sì, quella pubblicata nel 2006 è la prima versione di "Estate". Il titolo del disco viene da una scritta che ho trovato sotto una mia vecchia firma, su un muro lungo la strada tra casa mia e il liceo. Sotto la mia firma Johnson Righeira, qualcuno aveva aggiunto "ex punk, ora venduto". [Ride]

Ma tu hai sempre dichiarato il tuo credo punk, penso a "We Wanna Be Punk" che sta in Bambini Forever.
Quel pezzo è stato prodotto in un modo un po' troppo elegante, perché in realtà era nato come pezzo alla Ramones.

Quindi in controtendenza, vista l'epoca in cui è uscito. In qualche modo avete previsto il ritorno del punk, che poi infatti sbancò in classifica più tardi.
Sono cose che diciamo ora col senno di poi, ma ai tempi era tutto più istintivo. Adesso che sono tornato solista, che posso pensare soltanto a me stesso, sto cercando di ritrovare quella scintilla, perché l'istintività è quella che mi ha sempre fatto fare le cose migliori.

Forse quella dell'istintività è stata anche la condanna dei Righeira, perché poi vi ha portato anche a fare degli esperimenti rischiosi, come ad esempio il disco house del '92 Uno, Zero, Centomila.
Ma in quel disco lì, io non c'entro nulla.

Raccontami un po' questa ennesima svolta. Nell'88 c'era stato questo singolo, "Compañero", che stranamente non è stato molto spinto dalla casa discografica. 
Era come se da noi si aspettassero o il botto o niente. Cioè, una roba media non poteva esistere. Forse eravamo noi a essere troppo estremi, per cui se facevamo una roba che non aveva la forza di altre cose che avevamo fatto in precedenza, nessuno se la cagava.

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Non è un caso che molti musicisti noise o industrial italiani vedano nei Righeira un punto di riferimento, per la libertà d'azione che emanavate.
Beh, questo non lo so. Mi fa piacere se è così, ma quello che mi fa ancora più piacere è che le generazioni alle quali non abbiamo neanche avuto modo di rivolgerci direttamente siano libere dai preconcetti che c'erano nei nostri confronti all'epoca. Perché spesso ci trovavamo di fronte un pubblico, per fortuna, molto popolare, ma che magari non stava attento ai nostri riferimenti. Mentre chi poteva cogliere i riferimenti ci snobbava perché eravamo commerciali. Se le nuove generazioni colgono il nostro background, vuol dire che queste cose si sentivano e si sentono.

Raccontami un po' il passaggio alla house.
Quell'anno io non lavorai per niente, infatti subito dopo ci sciogliemmo per la prima volta. Io ero già in piena svolta house, avevo fatto una versione più o meno house di "Yes I Know My Way" di Pino Daniele. Ci trasferimmo in Veneto per stare lontani da Milano, che era troppo dispersiva, e come arrivai in Veneto trovai subito i primi locali in cui spingevano la house, ma la house underground quella figa. All'inizio non riuscivo a inquadrarlo, mi sembrava solo rumore, ma da un giorno all'altro la capii. Fu come un interruttore. La house è forse il genere musicale che più mi ha coinvolto, anche perché l'ho vissuta praticamente tutta. Sempre underground, sempre club, non discotecone, paradossalmente sempre lontano dal commerciale.

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Quindi la house vera.
Compravo dischi a palla, li facevo sentire a tutti. Cercai anche di fare qualche produzione house ma ebbi scarso successo, perché mi ero un po' improvvisato. Feci due mix con il nome University of Love, il secondo dei quali s'intitolava Vostok 3—parliamo del '92, il muro di Berlino era caduto, era caduta la Russia, e io feci questa copertina con Yuri Gagarin in tuta CCCP, con i campioni delle voci dei cosmonauti che parlano in russo all'inizio del pezzo. È una canzone di una malinconia, di una nostalgia… come dire: si stava meglio quando si stava peggio! [Ride]

Ma poi, come è cambiata la Russia, anche voi cambiato vita. C'è stato quel fattaccio famoso, l'arresto del '93… in qualche modo è collegato alla house, no?
Io stavo a Padova e frequentavo tutta una serie di personaggi poco raccomandabili, probabilmente non ero molto attento. Io ero convinto del fatto che, anche se avevo intorno delle persone che facevano determinate cose, non facendole sarei stato al riparo da qualsiasi tipo di problema. Chiamiamo le cose con il loro nome: io non spacciavo, e credevo che bastasse. E invece, essendo troppo vicino a certe persone e a certe situazioni, trovarono il sistema per incastrarmi. Fu un periodo sicuramente, per certi versi, formativo, anche se ne avrei fatto volentieri a meno.

Beh come Vasco no?
Eh sì, ma io mi sono fatto cinque mesi eh! [Ride]

Cinque mesi sono una bella sveglia…
Fai in tempo ad abituarti a quella vita. Cioè, entri in una dimensione che non avresti mai pensato di conoscere perché obiettivamente sai in cuor tuo di non aver fatto nulla per meritare una cosa del genere. E invece improvvisamente ti trovi lì con la vita distrutta. Penso a chi viene condannato ingiustamente con sentenze di anni, una tragedia. Io sono rimasto dentro in attesa di giudizio, ma poi al processo mi hanno assolto. Un'esperienza drammatica.

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Ma ti è servita a livello creativo?
All'inizio pensavo di sì, infatti ho scritto delle cose sull'onda emotiva di quel periodo, ma sono rimaste inedite. Forse è meglio mantenere un certo distacco. Magari adesso potrei tirarle fuori…

Ma tornando a Compañero, forse non è andato perché con quel titolo si notava un certo collegamento politico.
Ti confesso che era vagamente ispirato a Che Guevara.

Ah ecco! Tu ti sei anche presentato con la lista comunista a Torino, no?
Non è che mi sia proprio presentato.

Raccontami un po' questa storia.
Marco Rizzo è un amico, e si era candidato a Torino in un momento in cui le sinistre che di solito appoggio non mi soddisfacevano. E quindi mi ha preso così, ma è stato per divertimento.

Ho visto il tuo video con la maglietta della DDR, eccezionale.
Sì, ho cercato di essere filologico. [Ride] Sinceramente non pensavo che questa cosa avrebbe avuto così tanta risonanza sul web: addirittura mi hanno spacciato per candidato quando non era assolutamente vero! Ho fatto due cortei con loro, in cui sentivo la base che lanciava degli slogan che non sentivo più dai tempi del liceo. Non è che io sia vicino a quel tipo di programma, sono vicino a quell'ala moralmente, per simpatia, perché vengo da una tradizione familiare di quello stampo quando probabilmente certe idee avevano una loro ragione di essere o quantomeno una speranza di realizzazione… adesso servirebbe un'idea 2.0 o 3.0 di socialismo. Perché nei paesi in cui questa cosa è andata al potere ha fatto una misera fine, come han fatto tutte le altre ideologie un po' più estreme. Tutto sommato, paradossalmente, questo mondo che fa cagare mi sembra il meno peggiore in cui vivere. Quanto meno si può cercare di dire qualcosa, ecco.

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Ai cortei dovrebbero cantare "No Tengo Dinero"! Io l'ho sempre vista come un inno del sottoproletariato urbano. Chi era questo "neopsichico besado de una dea"?
C'è uno scollamento tra le strofe e il ritornello. Il ritornello era un'idea dei La Bionda che noi non appoggiavamo tantissimo. Mentre le strofe sono state tradotte dall'italiano, anche se non benissimo, c'è qualche strafalcione—perché a un certo punto eravamo in studio e abbiamo dovuto tradurla con una ragazza messicana, che però parlava solo tedesco! Insomma, c'è stata qualche incomprensione. In realtà le strofe parlavano di una visione simile a quella di "Vamos a la Playa", però tradotta un po' alla Sant'Elia: architettura, vita alla Penthouse and Pavement degli Heaven 17, manageriale.

Gli Heaven 17 erano abbastanza politicizzati, i loro messaggi erano proto-accelerazionisti.
Scrissero quel pezzo, su Reagan credo, "(We Don't Need This) Fascist Groove Thang".

Ma quindi c'è un collegamento.
Le strofe dicono: "I moderni lussuriosi vivono qui / nell'attico più alto della città / si nutrono d'immagini e di relè…"

"…E io non voglio vivere più qui".
Eh, ma quello è stato messo dopo per giustificare il passaggio a "No tengo dinero", perché pigliava un po' male! [Ride]

In effetti forse era troppo didascalico, però a livello popolare si apre a molte suggestioni.
Più che altro era poco elegante nel contesto della canzone che noi avevamo in mente.

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Tornando ai vostri cambiamenti di rotta, poi Michael è passato ai Gloria Mundi e ha fatto un percorso, diciamo, spirituale.
Qualcosa del genere.

Ma anche in quel caso fu un flop, nonostante a me piacciano molto. Dietro c'era anche Giusto Pio, c'era l'autore di Mango…
Penso ci siano stati dei problemi con le case discografiche, lì c'era anche gente che collaborò a Uno, Zero, Centomila.

E tu invece sei diventato il padrino della lounge, quella degli anni 90, con i Montefiori Cocktail. Parlo di "Papalla".
Prima avevo fatto una roba mai uscita che si chiamava "Ripigliati", un pezzo house. Comunque "Papalla" era un pezzo secondo me bellissimo, che non ha avuto lo spazio che meritava.

La critica però mi pare che ti abbia premiato no?
Sì, ma c'erano anche molte critiche negative, credo dovute soltanto al fatto che ci fossi di mezzo io. I soliti buontemponi degli anni precedenti.

E poi arriva il ritorno dei Righeira, con Mondovisione
Sì, nel 2006, senza esito. Anche quello è un album in cui tutto sommato io ci sono pochissimo.

Ah si? E chi sono gli autori principali?
Più che altro Michael. Secondo me era tornato a pensare alla sua idea dei Righeira. Anch'io nell'ultimo anno ho ripensato a un'idea Righeira, sicuramente molto fedele all'originale. Per me è importante giocare con i generi e usare una forte ironia che invece, secondo me, in Michael si era un po' persa. Una certa cialtroneria, diciamo. Che è un po' la definizione più adatta di me stesso: un cialtrone.

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Tipo un giullare!
No, no, proprio un cialtrone!

Un punk alla Lydon.
Io ho sempre amato molto Andy Warhol per la leggerezza almeno apparente con la quale lui ha affrontato la vita e l'arte… È una cosa che sento molto mia, una certa leggerezza, quella che ti permette di fare quello che vuoi, di cambiare idea, magari fare una cosa che il giorno prima non avresti mai fatto. Cambiare idea è una delle cose più belle che possano capitare nella vita.

Rinnovarsi, insomma.
Certo. Non si tratta di fare un discorso di comodo perché alla base di un cambiamento in generale ci deve essere una motivazione, non può essere gratuito e fine a se stesso. Ma quando succede, è una boccata d'aria fresca.

Poi avete anche collaborato con i Subsonica—salvando il pezzo, perché io onestamente preferisco voi a loro.
Loro sono grandi amici, infatti quest'anno ho fatto un po' di serate a Milano e a Torino con loro, insieme ai 99 Posse che non avevo mai conosciuto e con cui ci siamo trovati molto in sintonia.

A questo punto devo tirare fuori una cosa che ti volevo far firmare, un 45 giri di "No Tengo Dinero" regalatomi da una mia carissima amica, trovato in un mercatino. Sul lato B c'è "No Tengo Dinero (Scratch)", che è molto interessante perché ci sono tutta una serie di esempi di scratch. Com'è nata questa cosa?
Cosi come il retro di "Vamos a la Playa" era "Playa Dub", perché all'epoca era uscito fuori Malcolm McLaren con "Buffalo Gals", Duck Rock… anche se poi lo scratch di "No Tengo Dinero" è stato fatto con i nastri.

Ma dai! Ecco perché sembra così fuori fase e ha quel sapore strano… Chi l'ha fatto?
L'abbiamo fatto in studio, non mi ricordo di preciso.

Ma non sei stato tu a manovrare i reel to reel.
Io? Nel dubbio non tocco nulla! [Ride]

Ma quanti personaggi nel giro hip hop vi seguono in Italia? Forse alla fine voi siete stati fra quelli che hanno sdoganato anche quel genere.
Boh! Sai, noi siamo sempre stati curiosi delle cose che succedevano, quindi abbiamo sempre cercato di metterne un po' nelle nostre cose, soprattutto nei primi anni, quindi è stato tutto abbastanza naturale. Mischiavamo tutto e veniva fuori un'altra cosa.

L'ultima cosa che hai fatto è una collaborazione con Nevruz. Raccontami un po' come funziona.
Mah, con Nevruz c'è stato un incontro anche in questo caso esplosivo, perché ci siamo conosciuti sul set di un film che poi non è mai uscito, si chiamava "Sexy Shop".

"Sexy Shop"???
Sì, era un film underground, una commedia generazionale che aveva come luogo di riferimento questo sexy shop intorno al quale s'intrecciavano svariate storie. C'erano diversi cameo di personaggi degli anni Ottanta e non solo: i Krisma, Gazebo, Garbo, Skardi dei Pitura Freska, Nevruz che appunto con gli Ottanta non c'entra nulla, ma insomma c'erano vari personaggi. Ci siamo trovati un giorno per le riprese e abbiamo messo a ferro e fuoco l'alberghetto in cui stavamo, il proprietario di notte s'è alzato in mutande per venire a dirci di piantarla. [Ride]

Poi, un anno e mezzo fa, Nevruz è venuto a trovarmi qua a Torino e, dopo una serata di gozzoviglie, ci siamo svegliati il giorno dopo ovviamente piuttosto tardi. Lui era nella camera di fronte alla mia e strimpellava la chitarra, sempre sullo stesso giro perché stava lavorando su un pezzo, così mi sono alzato e sono entrato in camera sua (spero in accappatoio), sembrava che andassi a dirgli che aveva rotto i coglioni e di lasciarmi dormire, invece mi sono messo a cantare il ritornello. Il pezzo è venuto fuori così, in modo assolutamente spontaneo. Non avrei mai immaginato che da lì a poco più di un anno il pezzo sarebbe uscito, pieno di speranze, sul mercato, con un arrangiamento assolutamente diverso da quello con cui era nato.

Una vera passione per i ritornelli insomma, per gli earworm.
Sì, io adoro i ritornelli, io sono un "ritornellatore". Era da molti anni, da Mondovisione, che non uscivo fuori con qualcosa di nuovo, e ho trovato delle dinamiche molto diverse da quelle di una volta, ci sono delle piattaforme diverse, non esiste praticamente più il supporto, non esistono più quasi le classifiche né le case discografiche.

Calcola che prendi il disco d'oro sulla base delle visualizzazioni su YouTube, una cosa impensabile.
Puoi anche stare su YouTube, ma se la gente non sa cosa cercare, non ti trova. Se le radio non ti trasmettono, la gente non sente il pezzo. Questo pezzo per esempio, quelle volte che lo abbiamo presentato, quando finisce la gente continua a cantarne il ritornello.

Il grande ritornellatore!
È divertente essere di nuovo in pista.

Parlando appunto di video, visualizzazioni e cose così, cosa mi dici della grande importanza del look e dei video dei Righeira?
Beh intanto di video ce n'è soltanto uno, è quello di "No Tengo Dinero". Che è, direi, abbastanza fedele all'immaginario righeiriano. Lo fece il compianto Pierluigi De Mas, personaggio storico di grande cultura e grande intelligenza. Quando ci incontrammo per discutere del video gli parlammo di sant'Elia, architettura futurista e tutta una serie di cose, e lui fece addirittura delle scene del video a cartone animato con le architetture di Sant' Elia. Quando trovi uno così, con cui ti capisci al volo e vedi che gli fa piacere, è molto facile lavorare e sei già quasi sicuro al 100 percento che verrà fuori qualcosa di buono.

Poi per quello che riguarda "Vamos a la Playa" c'è una cosa su YouTube che viene ritenuta universalmente il videoclip, ma in realtà è una partecipazione a una trasmissione televisiva olandese. Sembra vagamente un video in effetti. All'epoca non era cosi automatico farne uno, i costi erano alti. Con il senno di poi un video per "Vamos…" sarebbe stato un buon investimento, visti i milioni di copie che ha venduto, ma prima era difficile da immaginare, perché eravamo degli outsider.

Proprio per questo noi eravamo il video di noi stessi, cioè la nostra immagine doveva rispecchiare quello che volevamo dire con la musica. Io ho sempre amato i gruppi che avevano un look ben definito: Devo, Kraftwerk, B52's… era una cosa tipica della new wave, una sorta di "pulizia dell'immagine", un'attenzione al look che a me è sempre piaciuta, prova ne sono i completini che metto.

Questa invece è una domanda che vuole farti un mio amico: quali sono i gruppi synth pop che ti piacciono di più di sempre?
I Devo non li potrei considerare synth pop, anche se in parte lo sono, perché sono molto rock e poi sono americani mentre bene o male noi ci siamo sempre più riferiti, almeno riguardo le nostre origini, al mondo inglese. Quindi ti dico un pezzo synth pop che ho sempre amato tantissimo, è "I Just Can't Get Enough" dei Depeche Mode, che è vicina alla mia idea di canzone perfetta. Poi, ripeto, Krisma tutta la vita. Mi è capitato in tempi recenti di riascoltare delle loro cose che a diciott'anni facevo fatica ad inquadrare, e invece ora rimango strabiliato dalla loro incredibile attualità. Poi i Kraftwerk: li ho visti recentemente in 3D e volevo far parte di quel mondo, entrare lì dentro… anche loro retrofuturisti: un video in 3D di un disco volante che atterra all'arena di Verona dietro di loro… in bianco e nero! Poi per concludere direi i Suicide, grandissima band; i Soft Cell… ma mi piaceva tutto il movimento, il primo singolo degli Spandau Ballet, "To Cut a Long Story Short", per esempio, è un pezzo synthpop straordinario. C'era una scena molto interessante.

Ma nel caso i Righeira tornassero sulle scene, oggi sarebbero ancora retrofuturisti o più che altro agit-prop?
Non lo so. È difficile immaginare il futuro oggi, perché molte delle cose che immaginavamo noi si sono realizzate. Forse, siccome la contaminazione è stata sempre alla base dello stile Righeira, direi un po' tutte e due.

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