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Musica

Ecco che cosa non va nella line up del Primavera Sound 2018

I grandi nomi non mancano, ma il cartellone del festival più importante d'Europa non dovrebbe essere compilato come un catalogo.
Aphex Twin al Primavera Sound 2017. Foto di Eric Pàmies, via Facebook.

Forse mai come quest’anno, all’annuncio del cartellone del Primavera Sound, si è registrata, oltre al solito e automatico impazzimento, anche una certa delusione. Molti sono stati i commenti da parte di gente che si aspettava decisamente qualcosa in più di una line up priva tutto sommato di annunci davvero epocali.

La colpa è un po’ del Primavera stesso, e dell’hype che aveva saputo generare soprattutto grazie a un video virale molto riuscito, "Primavera Sound 2018 Lineup reactions", che però aumentava esponenzialmente le aspettative: reazioni del genere facevano pensare a nomi davvero grossi e inaspettati, roba impossibile da vedere a casa propria, reunion storiche o cose del genere.

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Invece, letto il cartellone, non si capisce a quali nomi sarebbero dovute quelle facce: tra gli headliner, a parte i Migos, non c'è nessuno che non suoni regolarmente in Italia, non ci sono grandi reunion o nomi giganti che qua non vengono (tipo Kanye o Frank Ocean), non ci sono sorprese enormi tipo una reunion degli Smiths o quantomeno i Daft Punk.

Per carità, nel mucchio di roba bella ovviamente ce n’è tanta (perfino gli Art Ensemble of Chicago! Chissà se gli regge la pompa; e gli Spiritualized con l’orchestra me li vedrei volentieri), e una giornata che vede come headliner Bjork e Nick Cave non si può certo considerare robetta, però - con l’assenza di grandi sorprese e di investimenti che soltanto un festival così mastodontico può sostenere - sembra sempre di più di assistere a un semplice catalogo: se, almeno da molti anni a questa parte, di certo non si tratta di un festival con una visione curatoriale o un’identità particolarmente definita e ricercata, almeno certi nomi potrebbero giustificare la portata dell’evento e il suo essere il festival europeo per eccellenza. Sembra invece delinearsi un festival di pura e semplice testimonianza, la rappresentazione di un mondo - diciamo più o meno precisamente quello testimoniato da Pitchfork.

La predominanza indie del cartellone sa già di amarcord e nostalgismo: piacessero o meno (a me poco), dieci anni fa certi gruppi erano davvero il suono del momento, ora siamo ampiamente sconfinati nella fase in cui certi gruppi si vanno a vedere per quello che hanno fatto in passato e sperando suonino i pezzi vecchi. Sarà che è roba che ho visto uscire in diretta, ma fa abbastanza impressione.

Dicevamo: molto indie, qualche classico, una manciata di nomi black, qualche nome di culto per non scontentare nessuno. Il rischio più grosso che si intravede in questa modalità sempre più da “centro commerciale della musica del momento”, con i vari spazi disposti uno in fila all’altro e la possibilità di passare in un pomeriggio per mille negozi, è che l’idea sia quella di dare al proprio pubblico di riferimento una tre giorni in cui vedere tutto quello che li può interessare, che sia sufficiente per “restare al passo”, essere aggiornati, vivere un’esperienza divertente e socialmente spendibile, e soprattutto non doversi più preoccupare di andare ai concerti nel resto dell’anno.

La musica, insomma, vissuta non come una passione quotidiana, giorno per giorno e di settimana in settimana abbandonando il divano, facendo magari qualche chilometro, frequentando i club della propria zona, ma come un pacchetto completo da agenzia di viaggi, qualcosa di preconfezionato e privo degli elementi di ricerca e scoperta: un’evasione di tre giorni, un carnevale, l’eccezione per la quale semel in anno licet insanire. Ed è questo aspetto usa e getta, da piccoli travet del divertimento, quello che ci sta più antipatico.

Federico, quando non è a un concerto, è su Twitter e Instagram.

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