La storia del ranch in cui nacque il nu metal

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Musica

La storia del ranch in cui nacque il nu metal

Per sei anni, questo angolo di paradiso tra i canyon e l'oceano della California risuonò della musica più violenta del periodo. Poi le fiamme inghiottirono tutto.
JG
illustrazioni di John Garrison
Giacomo Stefanini
traduzione di Giacomo Stefanini
Milan, IT

Le colline e i canyon scoscesi di Malibù sono un terreno adatto alla rapida propagazione di fuochi, ma quello che si scatenò il 24 novembre 2007 fu particolarmente distruttivo. L'incendio di Corral ridusse in cenere quasi 20 chilometri quadrati in appena quattro giorni, sospinto dai venti di Santa Ana a 100 km/h e alimentato da una vegetazione secca a livelli inimmaginabili. Quando i vigili del fuoco riuscirono finalmente a contenerlo, aveva raso al suolo oltre 80 strutture, tra le quali un vecchio ranch che conteneva un grand piano appartenuto a Neil Diamond.

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Pochi mesi dopo l'incendio, il frontman dei Korn Jonathan Davis visitò in lacrime le rovine della casa con i suoi due figli. "Voi non lo sapete", disse loro, "ma questo posto era davvero speciale. Ha dato inizio a un intero movimento musicale".

I Korn avevano registrato i primi due album in quella casa, un ex casolare di caccia trasformato in studio di registrazione e chiamato Indigo Ranch. La musica che inventarono fu poi chiamata nu metal, un termine che Davis trova repellente. "Mi vengono i brividi quando sento quella parola", mi dice il 47enne al telefono da casa sua a Los Angeles, prima di raggiungere la band per le prove pomeridiane. "Ma immagino che bisognerà pur chiamarlo in qualche modo".

Comunque lo vogliate chiamare, il primo album omonimo dei Korn uscito nel 1994 diede vita a un movimento a tutti gli effetti e Indigo Ranch fu il suo nido. Nel corso dei sei anni che seguirono, una sequenza di band (Limp Bizkit, Soulfly, Cold, Human Waste Project, Machine Head, Amen, Slipknot) si avventurò tra le colline di Malibu per registrare musica tra la più incazzata e controversa del decennio, circondati da sicomori e palme in uno scenario d'improbabile idillio. Anche Vanilla Ice partecipò alla festa, registrando un album nu metal intitolato Hard to Swallow all'Indigo Ranch nel 1998.

Tutti questi artisti pescavano da un ampio bacino di influenze: le brutali ma ritmiche chitarre down-tuned dei Pantera; le incalzanti e funkeggianti linee di basso di Red Hot Chili Peppers e Faith No More; il rap provocatorio di Cypress Hill e Rage Against the Machine; il groove e il nichilismo dei Nine Inch Nails. Sbattute nella stessa pentola dentro il piccolo studio dell'Indigo, trovavano un perverso senso unitario chiamato nu metal. A supervisionare il tutto c'era un producer solitario, Ross Robinson, armato di un peculiare genio per incanalare l'inquietudine giovanile in una musica potente.

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Lo studio dell'Indigo Ranch (foto: Bart Johnson)

Fondato nel 1974, Indigo Ranch era un luogo improbabile per la nascita del nu metal. Né la sua storia, né il suo setting avrebbero fatto pensare a una cosa oscura e claustrofobica come l'urlo primordiale rappresentato dal debutto dei Korn, né ai molti altri rocciosi album che seguirono. Ma per sei anni, un ranch da 250mila metri quadrati in un posto chiamato Solstice Canyon, circondato da spigolose formazioni rocciose a picco sull'immensa spianata blu dell'Oceano Pacifico, vibrò per le onde di una musica tra le più violente mai registrate. E poi andò a fuoco.

Il proprietario dell'Indigo Ranch, Richard Kaplan, non era un grande fan del metal. I progetti Indigo di cui andava più fiero, secondo sua moglie Julie, erano stati quelli di fine anni Settanta con Neil Young, Olivia Newton-John e il già citato signor Diamond, che poi vendette a Kaplan il suo grand piano. Ma Kaplan sapeva riconoscere una cosa bella quando l'ascoltava. Nel 1994, quando i membri dei Korn (a quel punto ancora una band sconosciuta proveniente dalla zona residenziale bruciata dal sole di Bakersfield, 200 km più a nord) presero un cartone di pizza surgelata, lo firmarono e lo appesero al muro per scherzo vicino ai dischi d'oro e di platino dello studio, Kaplan lo lasciò lì. "Non ridere", disse a Julie. "Faranno il disco d'oro. Sono davvero bravi".

“Le ho sempre chiamate le nuove band sataniche, perlomeno è così che mi suonavano", dice Julie. "Io sono più una da R&B".

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Kaplan, che è morto nel 2014, è stato il padrone dell'Indigo per tutti i suoi 32 anni di attività, e durante gli anni di Ross Robinson è stato una presenza gradita e familiare. Con la sua parziale calvizie e baffo a manubrio, sembrava un David Crosby più giovane e gioviale. "Siamo andati subito d'accordo", ricorda Robinson. "Io, lui e Julie ci capivamo benissimo… mi vedevano come un figlio o qualcosa del genere".

Kaplan, ingegnere e avido collezionista di apparecchiature audio, comprò il ranch nel 1974 e lo convertì in uno studio, riempiendolo di centinaia di microfoni, amplificatori e pedali vintage, molti di questi restaurati o modificati con le sue stesse mani. Per quanto brutale suonasse spesso il nu metal, all'Indigo lo si registrava con materiale tra il migliore al mondo: ogni tipo di amplificatore Marshall mai prodotto, dozzine di microfoni provenienti da Abbey Road (tra cui il microfono valvolare preferito di Paul McCartney, l'AKG C12, dal valore di circa 18mila dollari), preamplificatori costruiti su misura. "La trasparenza e la chiarezza di quei cosi era incredibile", dice Chuck Johnson, ingegnere che ha passato la carriera all'Indigo, iniziando lì come ragazzo delle pulizie a 17 anni nel 1978.

Richard Kaplan (foto: Bart Johnson)

Il debutto dei Korn includeva vari strumenti custom firmati Kaplan, tra cui tre fuzz Big Muff modificati che Davis ricorda come fondamentali per il suono pesante e distorto dell'album. "Penso che Ross ce li abbia ancora", dice Davis. "Erano soltanto dei circuiti nudi. Tutto saldato insieme. Dovevi stare attento ad attaccarci la chitarra, perché non avevano la scatola a tenere insieme il tutto".

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“Richard collezionava tutto", dice Chris Brunt, che aveva aiutato a concepire lo studio e ci aveva lavorato nei suoi primi anni come ingegnere. Kaplan era anche fotografo e aveva una gigantesca collezione di macchine vintage, oltre a un tesoro di chitarre e dischi jazz. "Se aveva un dollaro in tasca, ne spendeva due", dice Bart Johnson, un vecchio amico di Kaplan che aveva lavorato all'Indigo come manutentore e sedicente "uomo dell'elettronica".

Kaplan co-fondò l'Indigo Ranch con Mike Pinder, tastierista dei Moody Blues, di cui era diventato amico quando faceva da addetto luci e fotografo per la band inglese. Ai tempi, i Moodys erano una delle band più famose del mondo, e Pinder voleva investire un po' delle sue ricchezze post-“Nights in White Satin” in uno studio—ma non in Inghilterra, dove la situazione economica era problematica e le tasse alte. Kaplan, che era originario di Burbank, lo spinse a investire a Los Angeles.

"Finivamo di registrare una traccia, tutti sudati, andavamo fuori e ci trovavamo davanti questo luogo perfetto, pieno di luce, dove è difficile essere tutti arrabbiati e punk-rock", dice il batterista dei Godsmack Larkin. "Era un equilibrio, un equilibrio perfetto".

Il luogo che scelsero era poco convenzionale, per usare un eufemismo. Il ranch si trovava nascosto alla fine di una mulattiera che risaliva per miglia il Solstice Canyon, e prima era appartenuto ai proprietari della compagnia di cappelli Stetson, che lo usavano come capanno di caccia. La casa grande, costruita nei primi del Novecento, "sembrava una baracca", dice Davis.

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“Era circondato da alberi", ricorda Shannon Larkin, oggi batterista del gruppo metal Godsmack, che all'Indigo registrò con Amen e Vanilla Ice. "Ti sembrava di essere in mezzo al bosco". La fauna locale si vedeva spesso, il che non era sempre un fatto positivo; durante le registrazioni del primo album omonimo degli Slipknot, una puzzola spruzzò proprio la finestra dell'unica doccia funzionante. "L'intera sessione di registrazione di Slipknot è stata puzzolente", ricorda il co-fondatore e percussionista Shawn “Clown” Crahan.

Prima che arrivasse Kaplan, l'unico contatto di questa casa con la fama era l'attore di film muti John Barrymore, amico della famiglia Stetson e noto alcolizzato, che la usava come ritiro per smettere di bere prima di iniziare le riprese di un film. Apparentemente, non partecipava a questi rehab con particolare entusiasmo. "Durante la costruzione dello studio, scoprimmo molte assi schiodate", Kaplan raccontò a Tape Op nel 2014, “e dietro ognuna di queste trovammo una bottiglia di qualcosa risalente a 50 anni prima".

La regia dell'Indigo Ranch (foto: Bart Johnson)

Il resto della proprietà era spettacolare. Frutteti di avocado e agrumi erano attraversati da sentieri che si avvitavano verso il fondo del canyon sul lato sud della proprietà. Una formazione rocciosa chiamata Little El Capitan (e, più tardi, “Little El Kaplan” in onore del suo nuovo proprietario), torreggiava sul lato nord del ranch. Dopo le piogge invernali, un ruscello passava dentro il terreno; un sentiero dietro la casa ne seguiva il tracciato fino a una cascata alta 25 metri. Da una panchina nel frutteto, si poteva ammirare il Pacifico. "Tantissime canzoni bellissime sono state scritte su quella panchina", dice Rob Agnello, giunto al ranch nei primi anni Novanta come assistente ingegnere.

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“Fu un'esperienza fantastica essere lì", ricorda Davis. "Un'atmosfera bellissima. Sei in mezzo al nulla. Era bellissimo. Andavamo a raccogliere gli avocado dagli alberi". Nessuno sembrava trovare incoerente il fatto di registrare musica così arrabbiata in un luogo così ameno, anzi, l'ambiente pacifico del ranch faceva da valvola di sfogo per le band quando serviva una pausa dalla loro stessa oscurità. "Finivamo di registrare una traccia, tutti sudati, andavamo fuori e ci trovavamo davanti questo luogo perfetto, pieno di luce, dove è difficile essere tutti arrabbiati e punk-rock", dice il batterista dei Godsmack Larkin. "Era un equilibrio, un equilibrio perfetto".

L'ambiente rustico non impedì a Kaplan e Pinder di trasformare la casa in uno studio di registrazione di qualità eccelsa, con un mixer Aengus/API a 30 canali installata da un eccentrico guru audio chiamato Deane Jensen. Jensen, che era proprietario di una compagnia di trasformatori a North Hollywood, divenne una presenza fissa nel ranch, costantemente impegnato a regolare l'acustica già quasi perfetta dello studio.

Pinder abbandonò dopo pochi anni, vendendo la propria parte del ranch a Kaplan e a un altro socio, Michael Hofmann, un amico d'infanzia di Kaplan che era finito per diventare il business manager dell'Indigo. Dal 1978 circa, Hofmann ha inanellato una serie di ingaggi d'oro, utilizzando l'atmosfera idilliaca del luogo e la strumentazione top-di-gamma dello studio per attirare una clientela di altissimo livello: Bob Dylan, The Go-Go’s, Van Morrison, Lenny Kravitz, Nick Cave, Motley Crue. Gli ingaggi di Hofmann erano anche molto eclettici: lì hanno registrato i propri album di debutto Oingo Boingo, Kenny G e Megadeth. Nei tardi anni Ottanta, lo studio andava prenotato con tre mesi di anticipo ed era costretto a rifiutare anche grandi nomi. "I Fleetwood Mac erano tra questi", dice Julie Kaplan, che aveva cominciato a frequentare l'uomo che sarebbe poi diventato suo marito nel 1986. Le sarebbe piaciuto aver respinto anche Sting: "È una prima donna".

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Un paio di tragedie alla fine del decennio colpirono fortemente l'Indigo e Richard Kaplan. Prima, nel 1989, Deane Jensen, oppresso da problemi di salute mentale ed economici, si tolse la vita. "Lo trovarono nel suo ufficio con una bottiglia di vino vuota e un revolver in mano", ha ricordato Bill Whitlock, il suo socio alla Jensen Transformers, in una intervista nel 2014. “Si era sparato in testa". Jensen aveva 47 anni.

Poi, soltanto due anni dopo, l'amico e socio di Kaplan Hofmann morì all'improvviso per un aneurisma. Kaplan ne fu distrutto. “Michael Hofmann era insostituibile", dice Chris Brunt. Hofmann era l'amico più stretto di Kaplan e, secondo Brunt, "la persona responsabile dell'integrità finanziaria ed estetica del ranch".

Invece di assumere un nuovo business manager, Kaplan tentò di mandare avanti lo studio da solo. Julie diede una mano con i conti. Ma senza la conoscenza tecnica di Jensen e la guida di Hofmann, nel corso dei due anni seguenti, l'Indigo Ranch perse molti dei suoi clienti e finì in uno stato di semi-abbandono.

“Richard continuava a collezionare strumentazione come un matto", dice Brunt. "Il posto era pieno di roba. Arrivò al punto in cui la regia era così piena che non riuscivo più a lavorarci. Non era un bell'ambiente. Non c'erano più il calore e la personalità di prima".

In questa scena sempre più caotica fece il suo ingresso un 27enne produttore neofita proveniente da una cittadina nel deserto chiamata Barstow, di nome Ross Robinson. Nonostante avesse iniziato suonando la chitarra in gruppi thrash metal, Robinson aveva la faccia pulita, una voce rassicurante e un'aura di autorità che andava oltre la sua età. Aveva prodotto il demo dei Korn del 1993, Neidermayer's Mind, e li aveva aiutati a conquistare un contratto con la Epic Records. Ma la Epic aveva concesso a Robinson un budget di soli 14mila dollari per produrre il loro primo album, una somma insignificante a quei tempi. Indigo Ranch costava poco, e la sua strumentazione vintage era esattamente quello che Robinson stava cercando.

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“Più naturale è, migliore è la longevità di quello che registri. Non apparterrà a questo o a quest'altro periodo di tempo", spiega Robinson al telefono. "Ed essendo cresciuto a Barstow amando il motocross e in generale le attività all'aria aperta, era perfetto per me".

La strada che portava all'Indigo Ranch era molto problematica. "La prima volta che ci guidi dici 'ma dove cazzo stiamo andando?'" dice Davis. "È in mezzo al nulla". Anche dopo che la strada fu asfaltata attorno al 1979, i suoi tornanti e i suoi passaggi esposti potevano essere terrificanti, tranne che per Robinson, a cui piaceva sfrecciare su e giù per la montagna nella sua BMW 850 a tutta velocità. "È un malato di adrenalina", dice Davis, ricordando un viaggio particolarmente snervante con il produttore: "È andato a tavoletta per tutta la strada, facendo le curve a 100 all'ora. Pensavo che saremmo morti, cazzo".

Robinson portò la stessa energia nello studio, in cui richiedeva un impegno al 100 percento da ogni membro della band in ogni take. Essendo figlio di un guru dell'auto-aiuto, trattava lo studio quasi come una specie di terapia, incoraggiando le sue band a entrare emotivamente dentro ogni canzone che suonavano. "Era quasi come la recitazione secondo metodo", dice l'assistente Agnello, che ha lavorato in gran parte dei progetti di Robinson all'Indigo.

A differenza di molti produttori, Robinson non amava sedersi al mixer e dare consigli a voce dopo ogni take. Al contrario, "ero sempre nella stessa stanza della band", dice Robinson, a saltare in giro e urlare ordini e parole d'incoraggiamento. Se gli sembrava che qualcuno non stesse suonando con abbastanza impegno, era noto per rifilare spinte, colpi agli strumenti, o addirittura lanciar loro addosso qualunque oggetto si trovasse sotto mano. Robinson era particolarmente duro con i cantanti e i batteristi. "Una volta lanciò un vaso di fiori addosso a Joey [Jordison]”, ricorda Crahan degli Slipknot. "Ce l'ho ancora, il vaso".

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“La gente le racconta come stupide storie di violenza, o qualcosa del genere, per farle suonare meglio, ma la mia intenzione era più vita, più fuoco.”

Robinson insiste che il suo approccio proveniva da una spinta d'amore e dalla volontà di ottenere il meglio dai suoi musicisti. "Lo scopo era di essere belli e assolutamente in fiamme", dice. "E se mi sembrava che le fiamme si stessero spegnendo… rrrah!” Ruggisce piano, poi scoppia a ridere nervosamente, schernendosi. "La gente le racconta come stupide storie di violenza, o qualcosa del genere, per farle suonare meglio, ma la mia intenzione era più vita, più fuoco".

Dietro la guida di Robinson, le sessioni per il disco di debutto dei Korn arrivarono a livelli di oscurità piuttosto intensi. Davis, il cantante e primario autore dei testi, preferiva scrivere canzoni che gli permettessero di "urlare dell'orribile infanzia che aveva vissuto", come ha scritto il chitarrista Brian "Head" Welch nella sua autobiografia del 2007 Save Me From Myself. E i suoi musicisti lo incoraggiavano: "Ci sentivamo tutti collegati in un certo senso perché molti di noi avevano condiviso lo stesso tipo di dolore quando erano bambini", ha scritto Welch. "Il dolore di essere rifiutati, di venire presi in giro, di non capire l'amore dei nostri padri per noi. Ognuno di noi aveva problemi di quel tipo con i genitori… Fu bello sfogare la rabbia tramite la musica".

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L'esplorazione del trauma dell'infanzia da parte di Davis raggiunse lo straziante picco in "Daddy", la traccia che chiude il disco. Sopra un groove profondo e minaccioso, Davis descrive l'esperienza di un abuso sessuale da parte di un amico di famiglia in tenera età (non si trattò di suo padre, precisò più avanti, nonostante il titolo). Ripete il ritornello della canzone ("Urlo / Nessuno mi sente / Mi ha fatto male / Non sono un bugiardo") fino a singhiozzare esplicitamente, cercando di riprendere fiato tra un verso e l'altro. Per gli ultimi tre minuti della canzone, Davis è incomprensibile e non fa che imprecare e piangere fuori controllo. I suoi colleghi, che stavano suonando live in studio, non sapevano come rispondere al crollo del loro cantante. "Guardavano la regia dalla finestra con uno sguardo che sembrava dire: 'Che cosa facciamo?'" ricorda Agnello. "E noi facevamo segno di continuare a suonare".

Alla fine, Davis scappò dallo studio di registrazione (si sente la porta sbattere dietro di lui alla fine della traccia) ed è scomparso in fondo al canyon per diverse ore. "Ci siamo guardati ed eravamo tutti in lacrime", dice l'ingegnere Chuck Johnson. "Fu un livello completamente diverso".

Alla fine del decennio, l'inquietante mix di rabbia e angoscia del nu metal finì per metastatizzarsi in capricci da cartone animato (vedi: Limp Bizkit, “Break Stuff”). Ma sul debutto dei Korn, con l'elastica voce di Davis che apriva la strada, era affascinante. Davis era un nuovo tipo di frontman hard rock; un emarginato secco secco che suonava la cornamusa (registrata fuori dall'Indigo per “Shoots and Ladders”, con l'eco delle pareti del canyon) e veniva tormentato senza tregua a scuola perché indossava l'eyeliner e ascoltava i Duran Duran. Come cantante, si dimostrò capace di suonare allo stesso tempo vulnerabile e psicotico, ferito e provocatorio. "Non sono al tuo livello? / Col cazzo, sono meglio di te", Davis ringhia in "Divine", mescolando insicurezza e sicurezza in quello che sarebbe potuto essere il mantra della band (e che sarebbe poi diventato un cliché del genere).

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“Sapeva come entrarti in testa e farti sentire ispirato e farti venire voglia di fare qualcosa di speciale", dice Davis. "Non era divertente. Ma è così che funziona Ross”.

Nonostante negli anni successivi Davis abbia chiamato Robinson, in maniera almeno in parte scherzosa, un "sadico", dà il merito al produttore di averlo aiutato a tirare fuori così tante emozioni nel suo stile vocale. "Sapeva come entrarti in testa e farti sentire ispirato e farti venire voglia di fare qualcosa di speciale", dice. "Non era divertente. Ma è così che funziona Ross".

Robinson non si sente di dovere scuse a nessuno per aver catturato su nastro il trauma di Davis. "La mia intenzione è sempre stata quella di creare un luogo sicuro, un luogo in cui potesse lasciarsi andare completamente", dice Robinson. "Non canti così se c'è uno stronzo nella stanza".

L'album di debutto dei Korn, pubblicato nell'ottobre del 1994, non cambiò il mondo del metal in un giorno. Le radio non passavano i loro singoli e chi si prese la briga di recensirlo non rimase colpito: l'L.A. Times scrisse che la band sembrava provenire da "un universo isolato, da incubo" in cui "dava testate e testate a porte di cui non sembrava nemmeno accorgersi". Ma gli addetti ai lavori non si lasciarono passare sotto il naso quell'opera che univa in maniera così fragorosa groove metal, grunge e hip-hop e cominciarono a chiedersi chi ci fosse dietro. Tra i primi ad accorgersene ci furono i Sepultura, storica thrash metal band brasiliana che aveva cominciato da qualche anno un percorso che li avrebbe portati a rivoluzionare il loro suono rendendolo più affine a territori groove. Fu ascoltando i Korn e i Deftones che cominciarono a usare accordature più basse, ha dichiarato il loro chitarrista Andreas Kisser.

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Il risultato di quegli ascolti fu Roots, registrato proprio con Robinson all'Indigo Ranch nel 1995. Quell'album diede un grande contributo a legittimare l'allora nascente scena nu metal. I metallari più puristi storsero il naso di fronte all'assenza di parti di chitarra particolarmente tecniche, ma molti scettici vennero convinti del valore di quel disco per il modo in cui univa riff pesantissimi e strumentazione folk brasiliana. Proprio come l'album di debutto dei Korn, Roots era un album la cui sezione ritmica lambiva il mix come la maestosa risacca che bagna le coste di Malibù. "Ross è sempre stato irremovibile", dice Agnello. "La grancassa doveva sempre essere in primo piano". Durante il mix venne fatto un ulteriore lavoro sui bassi, come spiega l'ingegnere del suono Chuck Johnson: "Lo rendemmo più profondo. Io vengo dal jazz e non avevo mai lavorato a dischi metal. Quindi feci quello che potei fare per ingrossare il suono. Di solito quando facevo R&B lavoravo sui bassi, e quindi li spinsi più in alto nel mix."

Nel frattempo il nu metal stava diventando sempre più grosso: i Korn cominciarono a finire sulle copertine delle riviste di settore e aprirono diversi concerti di Ozzy Osbourne (che era lì con loro quando ricevettero il loro primo disco d'oro, avverando la profezia di Kaplan). Coerentemente, Robinson continuò a darsi da fare. Lavorò a dischi dei Manhole, dei Cold, degli Human Waste Project e dei Soulfly, la nuova band di Max Cavalera, ex-frontman dei Sepultura. In tutto questo riuscì anche a dedicarsi al secondo album dei Korn, Life Is Peachy, e al debutto di una rap-rock band della Florida che si faceva chiamare Limp Bizkit. Tutto questo nel corso di un paio d'anni.

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Lavorare all'Indigo Ranch significava doversi adattare a ritmi assassini, e verso la metà del 1998 iniziarono ad avvertirsi i primi segni di cedimento. Robinson si era accordato per lavorare a quattro album di fila—di Vanilla Ice, degli Amen, degli Slipknot e dei Machine Head. Gli ultimi tre gli erano stati commissionati da Roadrunner Records, un'etichetta indipendente che stava facendo il possibile per accaparrarsi una fetta dei ricavi che il nu metal stava generando. Ma le sessioni di registrazione e missaggio cominciarono a sforare gli orari prestabiliti, sovrapponendosi le une alle altre. Gli ingegneri dovevano lavorare ventiquattr'ore su ventiquattro. "Dormivo sotto la console, o nella sala di regia", ricorda Johnson. Casey Chaos, cantante degli Amen, era stato assoldato per lavorare al disco di Vanilla Ice. Finì a vivere al Ranch per sei mesi, e per la maggior parte del tempo dovette dormire in una saletta di registrazione insonorizzata in disuso. "Stavo impazzendo", racconta. "Sembrava di essere in Shining… il muro era coperto di sangue, merda e foglietti strappati". Kaplan diede un contributo, occupandosi dei microfoni e delle batteria, lavorando a tutti gli effetti come ingegnere del suono non accreditato. "Non sono un tipo che rompe le palle perché quello che fa gli viene riconosciuto", ha dichiarato nel 2014 a Tape Op. "Probabilmente avrei dovuto farlo, ma non l'ho fatto".

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“Stavo impazzendo,” racconta Casey Chaos. “Sembrava di essere in Shining… il muro era coperto di sangue, merda e foglietti strappati.”

In tutto questo, la maggior parte delle persone che lavoravano al ranch si drogavano—ad eccezione di Robinson, un fanatico della salute che si faceva solo di shot di gramigna. Anche le band che venivano lì a registrare non si trattenevano; c'erano erba e alcool ovunque, e sia Welch che Davis ammisero di essersi fatti di meth durante le registrazioni del primo album dei Korn. In quella maratona che fu il 1998 tutti "bevevano e fumavano, non è un segreto", dice il batterista degli Amen, Shannon Larkin.

Anche lo staff dell'Indigo non si tirava indietro, dice Agnello—incluso il capo, Kaplan, che sarebbe poi entrato negli alcolisti anonimi. Nonostante il team dello studio vantasse un'etica del lavoro invidiabile, i lunghi turni andarono a confondere lavoro e piacere. "Ci prendevamo una pausa e io andavo in bagno a tirare", racconta Johnson. "Alla fine riuscivamo sempre ad arrivare a fine giornata, ma non eravamo degli angioletti".

Nonostante le droghe e i mal di testa, "tutti facevano quello che dovevano fare", dice Crahan degli Slipknot. "Tutti erano lì per fare arte. Tutti ne sono usciti vivi. Abbiamo tutti fatto quello che dovevamo fare. Ma mi è sempre stata sul cazzo l'etichetta, dato che sono stati loro a metterci lì dentro e a farci fare quella roba".

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Da un punto di vista prettamente tecnico, l'album di debutto degli Slipknot potrebbe essere l'opera definitiva di Ross Robinson. La band aveva due chitarristi, tre percussionisti, un DJ e un tastierista. Domarli tutti e inserirli in una struttura coerente fu una sfida enorme—specialmente per quanto riguarda gli strati di batteria e percussioni, che vennero tutti registrati senza metronomo in cuffia, e poi assemblati a mano su nastro. "C'erano pezzi di nastro ovunque", ricorda Agnello. "Sul pavimento. Ovunque, sulle macchine".

Slipknot venne pubblicato nel 1999 e ottenne un successo strepitoso, diventando immediatamente uno snodo cruciale per la storia del nu metal. Diventò l'album metal di debutto più venduto di sempre e con il tempo sarebbe diventato un doppio platino, il tutto raggiungendo nuovi livelli di aggressione e durezza grazie ai suoi densi strati di percussioni, chitarre e parti elettroniche. Ma fu anche l'inizio della fine del regno del nu metal all'Indigo Ranch.

Gli ultimi due progetti a cui Robinson lavorò all'Indigo, album di band post-hardcore come Glassjaw e At the Drive-In, non avevano nulla a che fare con il nu metal. Così come l'album di debutto degli Amen, pubblicato nel 1999, un'esplosione di furia hardcore in stile Black Flag che venne buttato nel calderone nu metal perché prodotto da Robinson e perché pubblicato a poca distanza da Slipknot. "Mi spezzò il cuore", dice Chaos, che dà ancora la colpa delle scarse vendite di quell'album all'etichetta che la stampa statunitense gli diede ai tempi. Nel 2000, Robinson parlava del suono fragile ed eclettico di Everything You Ever Wanted to Know About Silence dei Glassjaw come del suo tentativo di "distruggere l'Adidas rock", una frecciata apparentemente diretta ai Korn, che a inizio carriera indossavano spesso tute Adidas, e al loro singolo tratto da Life Is Peachy "A.D.I.D.A.S." Con il suo ritornello puerile "tutto il giorno sogno di scopare", la canzone divenne un involontario modello per la trasformazione del nu metal in un nuovo tipo di rock da bulletti, con una fanbase che probabilmente avrebbe pestato Davis se l'avesse incontrato per strada qualche anno prima, quando metteva l'eyeliner.

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“Era una cosa separata dal resto del mondo", Robinson dice degli album che registrò all'Indigo Ranch. "E poi c'erano le band che la prendevano come una formula, e non suonavano sincere.”

Nel 2001, mentre band come Linkin Park e Incubus innestavano elementi del nu metal nel rock da radio mainstream, Robinson si era spostato su altri studi e su altri generi. Produsse album di Cure e Tech N9ne, e lavorò con band che trovava su MySpace. Di tanto in tanto ritornava al nu metal, ma mai all'Indigo.

“Penso che le droghe fossero una cosa particolarmente importante lassù", risponde quando gli chiedo come mai smise di lavorare al ranch. "E me ne importava così poco che non me ne accorsi nemmeno [all'inizio]". Ma verso la fine, cominciò a influenzare la qualità del suo lavoro. La strumentazione una volta perfetta dello studio non veniva mantenuta; ingegneri come Johnson, un tempo i migliori del giro, erano troppo fatti e incapaci di lavorare. "Non riuscivo a finire un pre-mix e mandarlo senza che qualcuno lo incasinasse", dice Robinson. La sua voce conserva tuttora una nota di rimpianto quando ricorda la fine del suo periodo all'Indigo Ranch: "È stato piuttosto doloroso".

Il rapporto di Robinson con il genere che ha aiutato a creare resta complicato. Nel 2016, ha twittato: “Non faccio band che copiano i Korn. Quello stile è un cadavere in decomposizione del mio passato". Al telefono una recente mattina d'agosto, è più circospetto. "Per me era una cosa separata" dal nu metal, dice degli album che registrò all'Indigo Ranch. "Era separata dal resto del mondo. E poi c'erano le band che la prendevano come una formula, e non suonavano sincere". Questo si può allargare a band con cui lui aveva lavorato, per quanto si rifiuti di fare nomi, che secondo Robinson stavano "entrando, sai, in quello stile di vita alla Mötley Crüe ("Girls, Girls, Girls") quando all'inizio era qualcosa di completamente diverso". Ride nervosamente di nuovo. "Ma sì, ne sono orgoglioso".

Senza il suo miglior cliente, l'Indigo Ranch soffriva. I primi anni 2000 furono duri per gli studi vecchia scuola, analogici, e per l'industria musicale in generale. “Penso che questa cosa di iTunes ci abbia fatto fallire", dice la vedova di Kaplan, Julie. "Tutti scaricavano, quindi lui non riceveva gli assegni per le royalties".

Richard Kaplan morì di leucemia nel novembre del 2014 a 68 anni. Otto anni prima, aveva venduto l'Indigo Ranch per 2 milioni e 850 mila dollari a una coppia di "figli di papà", per usare le parole di Julie. "Il ranch stava davvero diventando un vero peso", dice il designer dello studio e ingegnere Chris Brunt, che rimase in contatto con il suo ex-capo fino al momento della sua morte.

Meno di un anno dopo che Kaplan aveva consegnato le chiavi dell'Indigo Ranch ai nuovi proprietari, l'incendio di Corral passò lungo tutta la cima del Solstice Canyon, radendo al suolo tutto quello che incontrava. A quel punto, tutta la strumentazione di Kaplan era stata spostata, tranne che il grand piano di Neil Diamond, che i nuovi proprietari avevano acquistato.

“Il terreno fu purificato", Rob Agnello dice del fuoco che si portò via l'Indigo Ranch Studios per sempre. Fa notare che il Solstice Canyon fu chiamato così in onore delle cerimonie musicali per i solstizi d'estate e d'inverno che celebravano gli indiani Chumash locali, secoli prima che gli Stetson o Kaplan e Pinder comparissero sulle scene. "Quindi ho sempre pensato che la musica, lassù, uscisse direttamente dalla terra". L'era dell'Indigo Ranch, secondo Agnello, "era solo un momento che doveva arrivare".

Julie Kaplan ricorda il giorno esatto in cui suo marito smise di bere e drogarsi: primo aprile 1999, non molto tempo dopo le terribili sessioni con Amen, Slipknot e Machine Head. La sezione di Malibù degli alcolisti anonimi, per la quale Richard Kaplan più avanti fece da tesoriere, commemorò l'anniversario poco tempo fa. "Avrebbe festeggiato 19 anni da pulito e sobrio", Julie dice orgogliosa.

Nel corso degli ultimi 15 anni della sua vita, Kaplan divenne una figura molto amata nella comunità AA di Malibù e aiutò molti altri alcolizzati a restare sulla strada della sobrietà. “Divenne molto importante per molte persone", dice Chris Brunt. Al suo funerale, "il novanta percento delle persone non avevano nulla a che fare con l'industria musicale. Erano persone che lui aveva aiutato".

"Gli piaceva un po' far festa, ma a chi non piaceva?" Davis dice. "Eravamo nel rock ’n’ roll.”

Molti dei musicisti e ingegneri che erano passati per l'Indigo Ranch finirono per ripulirsi a loro volta. Chuck Johnson lasciò il ranch più o meno quando lo lasciò Robinson e si diede alla sobrietà nel 2004. Dopo un periodo in rehab e dopo essere entrato negli AA, Larkin si mise a posto a inizio 2016. "Siamo passati tutti per della merda", dice Davis dei Korn, la cui intera band oggi è pulita. "Io sono stato il primo a ripulirmi. Il mese prossimo faccio vent'anni". (Dopo che Davis è stato intervistato per questo articolo, la sua seconda ex-moglie Deven Davis è morta il 17 agosto per cause non specificate. Il 23 agosto Jonathan ha rilasciato un comunicato sulla sua morte in cui ha scritto: "Aveva una malattia mentale molto seria e la sua dipendenza ne era un effetto collaterale").

Uno degli ultimi atti di Kaplan, prima di morire, fu di lasciare in eredità il nome Indigo Ranch ai Beach House Treatment Centers, un gruppo di stabilimenti per la vita sobria a Malibù. Il nuovo Indigo Ranch, situato a 15 km a Sud, lungo la costa, da quello vecchio, è una casa stile Tudor che si erge su un terreno di 28mila metri quadri con piscina e campi da tennis, e uno studio di registrazione accessibile soltanto ai residenti. "Crediamo di poter creare una connessione coi clienti attraverso la musica", dice il co-fondatore Charlie Bentz, che era diventato amico di Kaplan tramite gli AA.

Davis, che aveva perso i contatti con Kaplan nel corso degli anni, è contento di sentire la storia del suo lascito. "Bello. Mi fa piacere che si sia ripulito. È una buona cosa. Gli piaceva far festa un po', ma a chi non piaceva? Eravamo nel rock'n'roll".

Andy Hermann è un giornalista ed editor residente a Los Angeles. Seguilo su Twitter.

La versione originale di questo articolo è stata pubblicata da Noisey US.

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