L'unico caso che mi viene in mente di canzone portata a Sanremo da un gruppo non sanremese e che ha effettivamente avuto successo, ed è diventata una delle colonne portanti della band, è quello di "Tutti I Miei Sbagli" dei Subsonica, che forse però sarebbe comunque diventata una hit a prescindere da Sanremo, come molte altre loro canzoni. Non ricordo effettivamente neanche come si sia classificata nella graduatoria finale del Festival di quell’anno (sono andato a controllare: undicesima, non esattamente un grande exploit)."Ci daranno dei marchettari per il nostro andare a Sanremo? Ma non è forse più marchettaro fare ciò che il tuo pubblico si aspetta da te per puro calcolo?" — (tratto dal comunicato stampa dei Marlene Kuntz).
Alberto "Bebo" Guidetti: Io credo che abbia lo stesso senso che ha andare in un programma televisivo generalista come potrebbe essere Che Tempo Che Fa di Fazio, Quelli Che Il Calcio o da Cattelan. Non sono la stessa cosa, sono anzi diversi tra di loro e molto diversi da Sanremo, ma lo sono più nella forma che nel pubblico a cui si rivolgono. Non credo sia troppo dissimile dall’essere programmati da un network radiofonico nazionale, a dirla tutta. Sanremo ha dalla sua - vedi tu se è un bene o un male - l'essere radicato nell'immaginario collettivo, perché esiste da un sacco di tempo e perché attraverso Sanremo sono passati molti momenti importanti della canzone e delle spettacolo.
Sanremo, dal mio punto di vista, non è affatto un traguardo, è un mezzo. È un mezzo che parla a moltissime persone, nel nostro caso moltissimissime che non conoscono la band: ti vedono, ti ascoltano, decidono se gli piaci oppure no, magari cambiando canale così come cambieresti canale se da Fazio c'è qualcosa che non ti piace o su Radio Deejay passa una canzone che ti annoia. È folklore, è quasi come fosse la festa paesana più prodotta e più pervasiva che abbiamo.
Questo non è un giudizio di merito, ognuno ha la propria sanissima opinione su cosa era e cosa è Sanremo, ma è comunque uno show. Se ci pensi ha più senso un festival della musica italiana che un'ospitata in chissà quale programma "tanto per darsi un tono”.
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Un modo abbastanza laico di approcciarsi alla cosa insomma, senza darle troppo peso. Uno che qualche anno fa ci ha provato ma alla fine non è riuscito a entrare in gara è Colapesce, anche lui comunque in grado nel corso della sua carriera di costruirsi un bel seguito anche senza andare troppo in televisione. È in tour in questo periodo, e le cose stanno andando molto bene, non solo per i sold out ma anche per l’effettivo gradimento di un pubblico molto affezionato e aperto a una proposta non banale. Ricorda così quell’esperienza:
Colapesce: Andare a Sanremo pensando seriamente alla gara, probabilmente, non aveva senso neanche negli anni Settanta. Figuriamoci adesso. Non ho mai pensato che andare al Festival fosse un passaggio necessario, e non è con questo spirito che ho provato ad andarci nel 2012.
A dire il vero, nessuno tra me e quelli che lavorano con me aveva mai considerato Sanremo come una tappa obbligatoria, e forse neanche una possibilità, ma è successo che venivamo da un anno pieno di soddisfazioni (l'uscita di Un Meraviglioso Declino, la vittoria della Targa Tenco e praticamente di tutti i premi dedicati agli esordienti…) e quando il mio editore dell'epoca ci ha proposto di provare ad andare l'abbiamo fatto senza pensarci troppo. Senza rete e con un ritornello che apriva dopo due minuti di canzone, non proprio lo standard festivaliero.
Era il primo Sanremo del ritorno di Fazio, sui giornali si parlava tantissimo di un Festival tutto improntato sulla qualità, e il mio nome era addirittura stato speso dal presidente della commissione di quell'anno come esempio positivo di musica che sarebbe dovuta passare su quel palco a discapito dei fuoriusciti dai Talent Show.
E infatti io non sono stato preso, e il Festival lo hanno vinto Mengoni e Antonio Maggio. Entrambi figli di X Factor. Però c'è una cosa per cui il Festival di Sanremo è ancora importante: partecipare a quel carrozzone ti permette di colonizzare i media per una settimana o più.
Avere spazi su quotidiani e tv che ancora ritengono che Al Bano sia rilevante e tutti gli altri "solo dei giovani emergenti", incrementare i passaggi radio e tutte quelle cose che servono soprattutto a chi magari non è al disco d’esordio e quindi deve fare i conti con un tipo diverso di hype. Il tutto sta sempre nel modo in cui le cose si fanno: andare lì senza aderire al modello sanremese dominante, facendo semplicemente la propria cosa, nel proprio modo, potrebbe avere un valore. Il punto vero, secondo me, è che quelle band e quegli artisti che comunque caratterizzano la musica italiana di ora, quelli che riempiono i locali e che hanno un senso anche al di là degli schermi televisivi, vengono considerati dal festival come un tassello buono giusto per riempire una casella. Un modo per dire: "Come vedete abbiamo coperto anche quel target" quando in realtà dovrebbero essere la norma”.