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Musica

Trovare l'amore per Caso

Abbiamo intervistato Caso, cantautore di Bergamo e gemma nascosta della musica italiana, per parlare di provincia, punk e paternità.

Qualche giorno fa un post condiviso dalla pagina Facebook dei Kina mi ha ricordato che sono passati 29 anni da Se ho vinto se ho perso, uno degli album più importanti della musica punk, hardcore, diciamo indipendente italiana. Noi orfani di una scena musicale dissolta prima ancora che diventassimo grandi ci chiediamo, spesso, quando e quanto possa esserci di nuovo qualcosa di simile, per dirne una, alla scena piemontese e dintorni degli anni Ottanta. Ma in realtà diventiamo adulti e di quella scena ormai non ne sapremmo che farcene.

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Andrea Casali, che quando fa musica si chiama Caso, oggi rappresenta la triangolazione di tre concetti citati nel paragrafo qua sopra: "Nord Italia", "diventare grandi" e "indipendente". Originario della grigiastra Bergamo, Caso fa musica distante da quella di gruppi come Kina o Negazione. La sua cosa è meno rissosa e politica, nonostante dal punk ci venga. Eppure c’è un filo creativo che li lega. Caso, che oggi va verso gli anta, scrive canzoni dedicate alla periferia vissuta come la si immaginava a metà degli anni Novanta, periodo storico in cui in Italia c’erano i Frontiera (per stare in tema Kina) e da fuori rimbombavano gli echi dei Fugazi. Entrambi gruppi che cantavano un mondo fuori dal "centro", proprio come fa Caso.

Quando ho ascoltato il suo nuovo album Ad ogni buca mi sono ricordato di un’artista che avevo smarrito qualche anno fa. Di lui avevo perso le tracce da quando era uscito il suo Tutti dicono guardiamo avanti, anno 2011, disco che ai tempi lo fece erroneamente scambiare per un Vasco Brondi minore. Oggi la storia sembra dare sempre più importanza alle canzoni di Andrea che, con il suo ultimo lavoro, ha scattato una malinconica, leggera, dolorosa, fotografia del diventare adulti: "Volgiamo la testa indietro nel tempo e ci rendiamo conto che si è perduto qualcosa di importante, ma cosa?", sembra chiedere nei suoi testi.

Secondo Caso il perduto si è depositato tra i gas di vecchie automobili e piscine notturne. Riccardo Sinigallia dice che si possa fare canzoni politiche scrivendo di amore e tenerezze con il coraggio di chi non si vergogna di parlarne. Caso, che oggi è anche papà, lo ha fatto per anni e lo fa ancora nel 2018. E quindi, anche se noi ormai quella scena hardcore ce la siamo persa, possiamo ancora consolarci con gli ultimi cowboy fuori tempo massimo e senza seguire le mode, come fa Caso. Insomma, per dirla ancora con i Kina, "nessuno schema".

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Noisey: La prima cosa che voglio chiederti è cosa ti ha portato a scrivere Ad ogni buca due anni dopo Cervino, che probabilmente era la tua opera migliore nei tuoi dieci anni di attività.
Caso: Cervino è sicuramente la più completa, arrangiata e anche impegnativa; per un po’ ho pensato anche potesse essere l’ultima perché con quel disco sentivo di avere terminato un percorso molto personale di crescita sia musicale che di penna. Mentre valutavo se provare nuovi suoni, nuovi strumenti e magari presentarmi al pubblico con un altro nome mi sono uscite le canzoni di Ad ogni buca in modo molto naturale e senza forzature. E allora mi sono detto che avevo queste canzoni semplici da cantare, con testi e melodie secondo me anche più ispirati di Cervino, e che il resto erano tutte cazzate.

Cosa ti è capitato di ascoltare da Cervino ad oggi? Te lo chiedo perché quando ho ascoltato "Piscina" ho pensato subito agli Hüsker Dü di "Makes No Sense At All".
"Piscina" l'ho scritta una notte dopo aver visto Bob Mould live a Milano: aveva l’entusiasmo e il sorriso di un ragazzino su quel palco e tornando in macchina mi sentivo uno scemo a stare lì a pensare troppo alle cose, a come scrivere e riscrivere le canzoni per farci stare una frase o un pensiero appuntato mesi prima. Dovevo buttare fuori più di pancia e di cuore; mi ha dato lo stimolo per farlo. Se poi vuoi per forza dei titoli te ne faccio solo uno che non c’entra molto: Traslocando di Fossati- Bertè.

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Di cosa parla "Strade minori"? Chi sono i giganti della canzone?
È un testo a cui sono affezionato, semplicemente parla di chi non l’ha trovata pronta. Lo sfondo è un quartiere popolare, le stanze fredde, la notte e i bar dopo la chiusura in cui si fuma dentro. Le facce un po’ segnate dalla stanchezza che a me piacciono molto perché sono più sincere. Non è un lamento, è l’orgoglio di qualcuno a cui non è mancato niente ma che sa di non avere avuto tutto. Nessuna occasione regalata, nessuna corsia preferenziale, piccole conquiste, minori, costruite dal niente e da solo, quindi enormi. Esiste una versione in presa diretta solo chitarra e voce che mi piaceva molto e per un po’ sono stato indeciso se mettere nel disco quella take o quella arrangiata. La si trova su YouTube volendo.

C’è un tema portante dell’album? In un certo senso ci sono gli anni Novanta, vengono proprio dichiarati con l’anacronistica immagine di "Majorette". E perché si chiama Ad ogni buca?
Mi sono sempre piaciuti i dischi senza title track ma con il titolo del disco nascosto in una canzone che è semplicemente un pezzetto di frase. E poi sì, visto come erano nate le canzoni ho proprio cercato un approccio anni Novanta nell’arrangiarle, scarno ed essenziale; funzionavano molto bene già chitarra e voce. Volevo restassero canzoni “facili” per tutti, facili da ascoltare e anche da suonare. Majorette poi credo sia la chicca di questo disco di “fine novecento”, haha.

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Cosa ne pensi del recupero retromaniaco degli anni Novanta, finito quello degli anni Ottanta? Ci siamo dentro fino al collo, tra reunion di Nirvana e Spice Girls, passando per le riedizioni delle vecchie console.
“Stanno tornando le chitarre!” è uno slogan da tifosi che ci gasa e scalda la curva ma in realtà non cambia nulla a noi che le chitarre non le abbiamo mai abbandonate. Anzi, magari ci farà pure un po’ incazzare se il collega o il vicino di casa ci consiglierà di ascoltare i Dinosaur Jr. dopo che noi ci siamo cresciuti. In ogni caso credo sarà un ritorno di tendenza generalista, non rischiamo di prendere il posto dei TheGiornalisti. Speriamo passi almeno la moda di queste batterie "di gomma".

Ci sono cose che si sono perdute di quegli anni e delle quali oggi avremmo bisogno? Non so, tipo le fanzine. Te lo chiedo perché poi di un decennio si scava l'estetica, le industrie hanno bisogno di quello, ma mai le sue implicazioni sociali.
Due cose soltanto: la spensieratezza mia di un’età più giovane e il fascino analogico dell’attesa. L’aspettare fuori da un portone senza conoscere il motivo del ritardo, bramare l’ascolto di un disco fino a quando non l’hai comprato (e il non potere skippare la canzone), spaccarsi la testa tra amici per trovare risposte a domande che non puoi digitare. L’attesa accresceva il valore di un oggetto, di un incontro o di un’esperienza. E poi è stato l’ultimo periodo in cui la distinzione era nitida tra chi sapeva e chi si improvvisava. L’esperienza o la conoscenza non potevi inventartela, ora un po’ sì: guardiamo due video su YouTube e diciamo di sapere fare un mestiere, ascoltiamo due canzoni su Spotify e diciamo di conoscere una band.

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Siamo ancora in tema, dai. Quali erano le tue passioni a 18 anni?
Dieci anni sullo skateboard e altrettanti alla batteria, ho vissuto quegli anni senza cinture di sicurezza e senza pensare molto al futuro. Sono gli anni che mi hanno formato e quindi ricordi che tornano spesso. Se ripenso al me stesso di allora non mi piaccio troppo: ero un tipo scontroso, egocentrico, in generale irrispettoso; davvero quelle esperienze mi hanno aiutato a trovare equilibrio, davvero credo che ogni slogatura sia servita.

Eri batterista? Che fine hanno fatto le batteria nella tua musica da solista? L’osservazione vale meno se si parla di Ad ogni buca ma ho l’impressione che sia uno strumento secondario per te.
Dici? Quando decido di arrangiare un pezzo è il primo strumento a cui penso. Anche in studio è lo strumento che più mi interessa: il suono di rullante e piatti cambiano un disco. Forse lascio al mio batterista poco spazio compositivo, quello sì, perché arrivo con le idee già definite e suono la chitarra in modo molto ritmico che lascia poco da riempire o ricamare. A volte soffro un po’ non suonarla più, mi manca, ma ora non riuscirei davvero a concedere altro spazio alla musica, probabilmente sarebbe anche poco sano.

Nelle tue canzoni è pieno di automobili, pezzi storici come vecchie Fiat. Nelle tue storie è come se la macchina fosse una madeleine che rievoca ricordi. Ma non solo, quelle macchine sembrano quasi cavalli per cavalieri dell’adolescenza.
Sono molto orgoglioso di questo. La bicicletta era ormai una costante nei miei dischi, nelle canzoni o in copertina; finalmente un po’ di volanti e tubi di scappamento, qualcosa di malsano, di scorretto. Sono macchine vecchie, scassate e che perdono olio ma di quelle che non si fermano mai; me ne ricordo una di mia madre che aveva le guarnizioni così consumate che in inverno dovevamo togliere il ghiaccio anche all’interno.

Sei felice di far crescere tuo figlio oggi? Intendo proprio oggi inteso come tempo storico, Italia-Europa-Mondo 2018 e governo gialloverde.
I nostri nonni facevano figli durante la guerra: sono contento di crescere mio figlio. I governi passano, cambiano in fretta, nessuno di questi probabilmente salverà l’Europa. Per quanto continuiamo a non volerci credere il Mondo (umano) è nella sua fase conclusiva, non saremo noi e nemmeno i nostri figli a cambiare il gioco ma non vedo motivo valido per non giocare. Ci ho pensato a questa cosa, pure troppo visto che ho aspettato i 37 per diventare padre. La conclusione mia è che non può un determinato periodo storico precludere a me l’esperienza della paternità e a mio figlio quella della vita.

Ci pensi mai che tuo figlio ti scoprirà anche ascoltando le tue canzoni? Io al posto sarei preso bene, ma anche molto spaventato.
Non ci avevo ancora pensato. Così a freddo direi che non mi spaventa: le mie canzoni sono sincere, se riuscirò ad essere altrettanto sincero con lui secondo me le accetterà. Fino ad ora ho pensato solo al fatto che crescerà in una casa piena di libri, dischi e strumenti e la cosa mi piace molto. In casa avrà molti più stimoli di quelli che ho avuto io quando ero bambino. Penso che tra qualche anno saranno dei giochi meravigliosi.

Dieci anni fa c’era questa forma di canzone politica che parlava del nulla cosmico della provincia. Oggi questo tema è sparito, si è tornato a parlare di città e Le luci della centrale elettrica chiudono baracca e burattini. Credo che nel tuo scrivere ci sia comunque qualcosa di politico, perché parli di un piccolo mondo romantico e in via d’estinzione. Penso che la tua scrittura sia un modo per salvaguardarlo.
Ti ringrazio e ci credo anch’io, c’è politica in tutto quello che facciamo. Però parlando di canzoni devo dire che a me da sempre affascinano le canzoni sfrontatamente politiche, quelle senza veli e schiette, quelle che dividono. Pochi le sanno scrivere davvero, spesso si cade nella retorica o si cavalcano gli slogan, e quelle le detesto. Quando l’esperimento riesce però mi emoziona. Mi emoziona riconoscermi parte di un movimento, condividere un credo o anche solo un’idea e poterla cantare. Anche io ogni tanto ci ho provato, di alcune sono soddisfatto, penso alla vecchissima "Prova di durezza Brinell" e a "Poco memorabile". Entrambe restano alcune delle mie - mie canzoni preferite. Diego è su Instagram. Segui Noisey su Instagram e su Facebook.