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Musica

"Supa Dupa Fly" di Missy Elliott era vent'anni avanti

Missy Elliott era artista, produttrice, donna d'affari, visionaria: Supa Dupa Fly, il suo album d'esordio, raccontava perfettamente la libertà artistica del suo tempo.

Un costume fatto con un'enorme sacco della spazzatura. Una sorta di palla nera e lucida dalla superficie pulsante, distorta dal fisheye della lente della telecamera che la filma. Melissa Elliott sceglie di presentarsi così al mondo nel suo primo video di sempre, "The Rain (Supa Dupa Fly)". È uno stile piuttosto forte per un esordio—creatura della visione avanguardista di Hype Williams, il regista del clip. Ma è Missy a indossare il costume e dargli vita, ad abitarlo con il suo grosso corpo nero, a ribaltare gli standard di un'industria che nessuno pensava potesse accogliere una donna come lei. Missy Elliott è un'anomalia, e sa di esserlo. Ma l'estate del 1997 sarà sua.

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Il video di "The Rain (Supa Dupa Fly)". Avevo solo sei anni quando ascoltai "The Rain" per la prima volta, quindi non ricordo bene la mia reazione. Spesso mi diverto a pensare a come i giovani di fine anni Novanta avessero potuto reagire alle percussioni rade del suo contagioso proto-funk. Se ne innamorarono al primo ascolto? Lo odiarono? Avevano idea di come ballarlo? Per capire l'impatto che Supa Dupa Fly ebbe su quell'estate dobbiamo catapultarci in un mondo in cui i DJ e i presentatori non avevano idea di come mixare o presentare i suoi pezzi, prodotti da Timbaland. Non c'era niente di simile, all'epoca. Erano freddi, ruvidi, furiosi nel ritmo. Erano nati dall'incontro di un gruppo di ragazzi pieni di talento e in cerca di riconoscimento, ambasciatori di un suono creato nello stesso studio di Virginia Beach in cui erano nati anche album come One in a Million di Aaliyah e Ginuwine…The Bachelor di Ginuwine. Le scelte inusuali di Missy non si limitavano solo al suo primo video: sull'album, la sua voce appare per la prima volta solo alla fine del secondo verso del secondo pezzo, "Hit Em wit Da Hee," e compare con una parte cantata. Come a voler dichiarare la sua identità di rapper che fa R&B, di cantante che rappa ed è perfettamente a suo agio in entrambi i ruoli. Prima di allora, Missy aveva fatto parlare di sé solo come membro membro delle Sista, un gruppo R&B di tutte ragazze, per i suoi "he he how" su "The Things That You Do" di Gina Thompson, o per i testi che aveva scritto per altri artisti. Era arrivato il momento di prendersi le luci dei riflettori. Per farlo, Missy scelse di lasciare che le prime due voci a comparire sull'album fossero quelle di Busta Rhymes e Lil Kim, due artisti già riconosciuti e definibili tramite il loro stile: come a dire, "Se c'è un'ondata in cui dovete identificarmi, che sia in questa." "Hit Em wit Da Hee" è un buon pezzo per definire il suono dell'intero album: un pizzico di amore duro, un po' d'erba e una buona percentuale trip egoistico; sotto, una leggera linea di basso e dei riff di chitarra schioccanti. La parte migliore è il ritornello, costruito in modo tale da mettere la voce di Missy al centro e amplificarla grazie a una serie di piccole, taglienti frasette messe in secondo piano.

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Una foto promozionale di Missy Elliott scattata negli anni Novanta.

Un altro pezzo fondamentale del disco è "Sock It 2 Me," in cui Missy parla candidamente di sesso. Su una produzione costruita attorno a fiati severi, quasi cartooneschi, si appoggia un testo sensuale, divertente, crudo: "Buttami quel cazzo contro e perdo il controllo / Facciamo che sia perfetto, facciamolo io e te," diceva. Il video del pezzo gioca con le aspettative dell'ascoltatore e decide di non soddisfarle, rappresentando Missy e Da Brat in uno spazio cosmico dalle tinte rossastre, inseguite da dei robottoni gialli in computer grafica deliziosamente anni Novanta. Può essere interessante tracciare un parallelo con un'intervista che Missy rilasciò al New Yorker nel 1997, in cui dichiarava che voleva che la sua musica mostrasse "da dove vengono i neri e dove stanno andando." Una visione certamente afrofuturista, ma soprattutto ancorata alla ricchezza della tradizione musicale diasporica, in un continuo processo di rinnovamento. Missy & Timbaland crearono uno stile unico restando ermetici rispetto a ciò che accadeva attorno a loro a livello musicale, ma anche conoscendo perfettamente le loro basi. "Pass Da Blunt" ha una chiara matrice reggae, la strizzata d'occhio al ritornello di "Love No Limit" di Mary J. Blige su "Gettaway," l'erotismo alla Motown di "Friendly Skies:" tutti casi in cui il classico si mette al servizio del futuribile, e lo usa per auto-sorpassarsi e rinnovarsi. Lungo tutto l'album, Missy dichiara con orgoglio l'unicità della sua alleanza con Timbaland, quasi a sfidare la competizione: "Prova a copiare Tim, sarà l'errore più grosso che avrai mai fatto."

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Il video di "Sock It 2 Me" di Missy Elliott e Da Brat,

Supa Dupa Fly non potrebbe essere prodotto della contemporaneità. È un affresco perfetto degli anni Novanta, del periodo formativo di artisti neri, coraggiosi e audaci. Che si tratti di Dilla, D'Angelo, Erykah Badu o Missy Elliott, tutti hanno potuto godere della libertà creativa e delle possibilità d'emulazione del loro tempo. Hanno reso i loro esperimenti e le loro demo delle enormi opere prime, dimostrando quanto potessero essere avanti rispetto al gusto dominante dell'epoca. Ma Supa Dupa Fly fa categoria a sé anche per il modo in cui venne pubblicato, cioè tramite The Goldmind, inc., etichetta di proprietà proprio di Missy—che si caratterizzata quindi non solo come autrice, musicista e produttrice, ma anche come donna d'affari in controllo di tutto il processo produttivo. E, soprattutto, del suo destino artistico.

Mi piace pensare a Supa Dupa Fly come a un album che parla di spazio. Di creare spazi, di occuparne altro senza doversi scusare per averne preso troppo. Missy Elliott è una persona che ha deciso autonomamente le regole che avrebbe seguito. Ha scelto di non avere niente a che fare con chi voleva categorizzarla, con chi la considerava "troppo." Invece si è imposta in tutto il suo stile, la sua esuberanza e il suo talento. Ha dimostrato, e continua a essere dimostrazione, che è possibile vivere e presentarsi secondo i propri principi, soprattutto in una società in cui la visibilità è condizione di default. Ma la sua opera è anche frutto di collaborazioni, incontri, di una coesione che non perderà mai il fascino delle sue origini. "Non faccio musica o video per l'anno 1997," disse Missy allora, "li faccio per il 2000." Non c'è da sorprendersi se, vent'anni dopo, il corso che ha preso il nuovo millennio è quello che lei aveva già preso. Segui Noisey su Twitter e Facebook.

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