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Musica

Che cosa dobbiamo aspettarci dalla reunion dei Nirvana?

I pro e i contro del ritorno annunciato della band di Dave Grohl, Krist Novoselic e Pat Smear senza Kurt Cobain.
nirvana reunion 2018 cal jam joan jett
Screengrab via YouTube.

Chi non muore si rivede, recita un antico adagio; eppure ultimamente si rivede anche chi muore. Amy Winehouse torna sul palco sotto forma di ologramma (ce la farà a stare sobria?), e come se non bastasse è arrivato anche l'annuncio della reunion dei Nirvana. Ma in questo caso, zombificato, imbalsamato o ologrammato, mai il morto salirebbe sul palco, forse il posto che odiava di più giunto ai ferri corti con se stesso verso la fine dei suoi giorni.

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È vero, molte teorie complottiste vorrebbero Kurt Cobain rifugiato su qualche isola lontana, con tanto di nome falso e magari una plastica facciale, per sfuggire alla morsa della fama; ma, ahimè, invece il nostro eroe riposa in pace sottoterra, tocca accettarlo. Oddio, "in pace": sicuramente si rivolterà nella bara a vedere la sua creatura continuamente messa in mezzo, come se la parola fine fosse qualcosa d’insostenibile, di assurdo. La vita è così, le cose cambiano, nulla è per sempre. Altrimenti sai che palle, che monotonia, che assenza di stimoli?

Ebbene, invece Dave Grohl e Krist Novoselic, come sempre accompagnati dal gregario di lusso Pat Smear, non riescono a disfarsi del loro passato. Non credo sia una questione di soldi, perlomeno non per Grohl che con i Foo Fighters ha raccolto più di quanto effettivamente meritasse. E neanche per Smear, che in sostanza viene ricordato più per essere il chitarrista dei Foo Fighters che per la sua militanza nei Nirvana e, cosa ancora più grave, nei Germs (di cui è fondatore), uno dei gruppi più importanti della storia del punk e del rock tutto. Anche con l'aggiunta di Novoselic abbiamo praticamente un surrogato dei Foo Fighters, poiché originariamente Grohl lo aveva convocato come bassista nel neonato gruppo (con la blasfema idea di chiamarlo Nirvana 2) e ha registrato e suonato dal vivo proprio con i FF in diverse occasioni. Allora ci viene il dubbio che l’adesione al progetto da parte di Krist non sia colpa dell’insuccesso dei suoi Giants In The Trees. La verità è probabilmente che i nostri hanno finalmente trovato il coraggio per mettere in piedi il progetto originario, quei mefistofelici Nirvana 2 La Vendetta, che sulla carta era una bella stronzata e in effetti lo è ancora, ma evidentemente gli è rimasto nel gozzo come una grande impresa incompiuta. Ma perché? E perché ora?

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Inutile ricordare al lettore che i Nirvana ruotavano intorno al songwriting e alla poetica di Kurt Cobain. Il motivo non era, come in alcune delle migliori band, che gli altri erano delle mezze seghe. Al contrario, i Nirvana non sarebbero esistiti come li conosciamo senza la somma delle parti e senza l’umiltà di ciascuno nel concentrarsi sul ruolo in cui poteva dare il massimo. Non era un gruppo nato per essere “modulare”, intercambiabile. Lo dimostra il fatto che il primo album Bleach, pur essendo forse il miglior disco dei nostri, vedeva alle pelli un Chad Channing che intendeva strafare, volendo anche essere coinvolto quasi forzatamente nella composizione dei pezzi. Risultato: il suo drumming non è entrato nell’immaginario collettivo come quello di Grohl, ed è stato cacciato praticamente quasi subito. Perché, in effetti, c’è una grande differenza: Grohl era la spina dorsale dei Nirvana, come suono e come attitudine sul palco, anche e soprattutto per una questione di esperienza, avendo militato giovanissimo negli Scream, uno dei migliori act hardcore punk americani di sempre. Pur avendo moltissime canzoni nel cassetto, non si sognava per niente di prendere il posto di Cobain nel reparto scrittura: a volte presentava due o tre canzoni che finivano regolarmente nelle B-side (ad esempio "Marigold"), ma nulla più. Stessa cosa Novoselic, il quale si “limitava” ad arrangiare il basso in maniera sapiente e a dare input creativi a Cobain contribuendo alla scrittura delle canzoni in modo da esaltare le capacità del suo bandmate anziché le proprie. Insomma, se ci ricordiamo dei Nirvana è perché le forze in campo erano uniche e insostituibili e si valorizzavano a vicenda. Pensate ai Nirvana solo con Cobain, otterrete una lagna infinita.

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Sorge il dubbio che il problema che ha spinto a questa reunion sia nel fatto che i tre “si divertono” a suonare i pezzi dei Nirvana. Del resto, con l’appressarsi della vecchiaia, la nostalgia per un periodo creativo così brutalmente interrotto tornerà in maniera più che prepotente. Non è infatti la prima volta che i nostri si rimettono insieme: ricordiamo la clamorosa "Cut Me Some Slack", inserita nella colonna sonora del film documentario di Grohl sullo studio Sound City. Clamorosa non tanto per il ritorno sulle scene dei Nirvana o per il valore della canzone in sé, quanto per la presenza nelle veci di Cobain di… Paul McCartney! Una cosa bizzarra, eppure quella che Macca definiva come “vera e propria reunion“, con tutto l’imbarazzo del caso, rivelò che i nostri ci stavano prendendo gusto.

E il lupo perde il pelo ma non il vizio, per citare un altro banalissimo adagio, e al Cal Jam Festival organizzato proprio dai Foo Fighters, arieccoli in formazione. Con nientepopodimeno che Joan Jett a sostituire il defunto Kurt per parte della scaletta, mentre il più sconosciuto John McAuley dei Deer Tick per un'altra parte. Rifanno ben sei pezzi tratti da Nevermind e In Utero (non si capisce bene perché Bleach è fuori scaletta, forse per il motivo di cui sopra, l’assenza di Grohl in sala d’incisione). La performance dei tre sembra impeccabile, ovviamente un misto fra effettivo attaccamento ai brani e lavoro di mestiere, con quel tipico piglio interpretativo di chi oramai, vista l’acqua passata sotto i ponti, può suonare quei brani in maniera più distaccata, quindi forse anche meglio. Ma per quanto Jett e McAuley ci provino in tutti i modi, non c’è verso di sentire lo spirito di Cobain. Diciamolo, sarebbe andato tutto bene se fosse rimasto un momento isolato, una celebrazione tra amici, la follia di una sera. Invece l’intervista a Kerrang! potrebbe significare la conferma di una reunion ufficiale. Ma per fare cosa?

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La prima ipotesi che salta in mente è di vedere i nostri continuare senza cantante, il che significherebbe già un up a loro favore dal punto di vista "etico", ma certo non sarebbe un’operazione votata al successo. Vedi i Doors di Other Voices: il disco uscito dopo la morte di Morrison è una cosa diversissima, ma d’altronde non c’era altro modo per tentare di continuare. Dico tentare perché i Doors ovviamente non gliela faranno e saranno costretti a sciogliersi dopo un altro stentoreo album, Full Circle . Solo con An American Prayer risaliranno la china, ma lì c’era di mezzo lo spoken word postumo di Morrison per cui, ecco, erano “i Doors di una volta”.

Anche gli Area, per guardare a casa nostra, una volta morto Demetrio Stratos ebbero lo stesso problema. Tic & Tac, senza l’apporto di Demetrio, è un buon disco fusion e nulla più. Stessa sorte tocca al disco reunion uscito più avanti, Chernobyl 7991, in cui è evidente l’operazione nostalgia che nulla aggiunge e molto toglie.

Ecco, l’operazione “reunion col morto”, ahimè, è una pratica un po’ troppo diffusa che in parte onora la memoria, in sostanza vede i fan contenti, di base è meglio di altre pecionate; ma dietro l’angolo c’è lo spettro della speculazione commerciale senza ritegno. Vi ricordate i Beatles di “Free As A Bird“? Ecco, basta riesumare alcuni inediti, usare la voce del cadavere (in quel caso Lennon), riarrangiare e risuonare e via. Tutti rimembrano i Queen di Made In Heaven, band che in teoria dovrebbe essere l’antitesi dei Nirvana, ed ecco invece la stessa tensione a riproporsi. Per loro si trattò di scrivere pezzi inediti di cui non sentivamo la mancanza, ad esempio “No One But You (Only The Good Die Young)". Nei Queen poteva starci a livello compositivo, giacché tutti i membri occupavano in quel senso un ruolo centrale; ma ovviamente mancando il frontman, l’istrione, tutto diventava una merda. Ancor di più perché poi ste rock band hanno la fissa di voler suonare dal vivo altrimenti stanno male, e quindi poi chiamano gente che non c’entra un cazzo a rimpiazzare il caro estinto. Nel caso dei Queen, la scelta di Paul Rodgers dei Free fece proprio ridere i polli, ma se ci fosse stato un George Michael il rimpiazzo sarebbe stato perfetto e forse avrebbe aperto una fase nuova.

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Perché non è che le rock band debbano per forza finire dopo la sparizione del leader spirituale: morto uno, spesso se ne fa un altro. Pensiamo agli AC/DC, che hanno continuato dopo la morte prematura di Bon Scott raggiungendo un successo stratosferico, o ai Metallica che hanno sostituito un elemento come Cliff Burton, a tutti gli effetti insostituibile, riuscendo persino a scalare le classifiche.

Eppure la strada degli inediti per i Nirvana è impossibile da intraprendere, sempre che non si mettano a risuonare e a cantare brani scritti e mai incisi da Kurt, per la cui interpretazione basterebbe la voce di Grohl, che già nei Nirvana faceva dei controcanti perfetti. Ricordiamo che Phil Collins divenne il frontman dei Genesis nonostante suonasse la batteria proprio per la sua capacità di affiancarsi vocalmente a Peter Gabriel, che giustamente lasciò il gruppo per non rimanerci secco, almeno artisticamente parlando. Cosa dite? Che Grohl già è il frontman dei Foo Fighters? Eh, infatti. Fosse stato meno egocentrico ora i Nirvana avrebbero una chance in più. Oramai è tardi per trovare un nuovo Kurt Cobain (e anche un nuovo Dave Grohl).

Un’altra possibilità è che i nostri vogliano fare la cover band di se stessi: anche qui nulla di nuovo. D’altronde se uno vuole suonare i suoi pezzi perché si diverte, forse è anche giusto che li suoni. Però noi abbiamo il diritto di provare pena. È come i restanti CCCP Fedeli Alla Linea con Angela Baraldi al posto di Giovanni Lindo Ferretti (che non è morto, ma è certamente "non disponibile"). È come la reunion dei Sex Pistols senza Sid Vicious, una specie di dopolavoro d’imbolsiti pensionati del punk. È come i Big Country che si esibiscono senza Stuart Adamson, morto suicida a causa di alcolismo cronico. Lì perlomeno c'è la motivazione di cercare di alzare due spicci col cadavere ancora caldo (o surgelato). Nel caso dei Nirvana forse si cerca di fare il contrario: far alzare un cadavere con due spicci.

Ad ogni modo, staremo a vedere. Quello che è sicuro, a parte la curiosità di scoprire come va a finire, è che questa reunion non cambierà la storia del rock e non vuole cambiarla. Anzi, più o meno consapevolmente, vuole ridimensionarla, banalizzarla, renderla bigiotteria in un negozio di souvenir. Forse però cambierà noi che, la prossima volta, prima di mitizzare una band ci penseremo due volte.

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