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Musica

MØ ha capito tutto della musica pop

L'abbiamo incontrata a Milano e ci ha spiegato come si fa a non farsi schiacciare da una hit da un miliardo di views come “Lean On”.
Martina Lodi
Milan, IT
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MØ. Foto promozionale.

Se avete una radio, una connessione a internet o se semplicemente negli ultimi cinque anni siete usciti di casa più di due volte, sono praticamente certa che la voce di MØ vi è familiare. È lei infatti a cantare - languida e un po’ ruvida - su “Lean On”, il pezzo dei Major Lazer con il francese DJ Snake, che nel 2015 è entrato nella storia per aver infranto tutti i record dell’epoca per numeri di streaming. Lo passavano praticamente ovunque, era perfetto per muovere un po’ il culo e per strusciarsi nei locali, ed è peraltro uno dei pezzi che in assoluto più hanno svoltato il sound della musica pop occidentale.

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Karen Marie Ørsted però non è soltanto la voce di “Lean On”: è una cantautrice danese (con base a L.A.) inserita in quella che viene forse sommariamente chiamata scena scandipop insieme ad artiste come Sigrid, le Icona Pop, Tove Lo e Alma.

Il suo primo successo arrivò, come capita a tante artiste, con un grosso featuring su un pezzo EDM: collaborò con Avicii su “Dear Boy” e da lì probabilmente venne notata da Diplo, che scrisse con lei “Lean On”, originariamente pensata per le voci di Nicki Minaj e Rihanna. “Alla fine [il loro rifiuto] è stato una benedizione", ha poi detto Diplo. "MØ su quel pezzo sta meglio di chiunque altro”. È abbastanza comune nella musica pop che alcuni artisti esplodano cantando pezzi altrui, e ed è altrettanto comune che spesso alla mega hit non seguano carriere soliste credibili.

MØ in questo senso è un esempio, perché è riuscita a rimanere fuori dalla frenesia (comprensibile) di voler buttare fuori un disco potenzialmente anonimo per cavalcare l’onda del grande successo e prima di uscire con un nuovo album solista si è presa parecchio tempo e lo spazio di un EP malinconico e riflessivo, molto distante da quel che aveva fatto in precedenza.

Forever Neverland è uscito il 19 ottobre per Columbia Records, quasi cinque anni dopo l’album d’esordio, ed è un disco che non ci ha pienamente convinti: come si diceva qui, probabilmente le collaborazioni con tanti produttori diversi hanno reso difficile che il lavoro fosse veramente coeso ed efficace. Per quanto ogni traccia sia un banger perfetto, il risultato finale è un disco iper saturo e un po’ stucchevole, in cui la scrittura solitamente molto personale (secondo me la cosa che le viene meglio) finisce per disperdersi.

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Nonostante questo, ho incontrato Karen al Fabrique di Milano per la data italiana del suo tour, per sapere cosa una delle voci più importanti del momento pensa di roba su cui mi faccio domande da tempo, tipo: lo stato attuale della musica pop, le possibilità di fare politica con le arti e quanto è cazzo difficile diventare adulti.

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La copertina di Forever Neverland, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify.

Noisey: Per prima cosa volevo chiederti del tuo nuovo disco, Forever Neverland. È il tuo secondo disco, ma nei quattro anni tra questo e il primo nella tua carriera sono successe un sacco di cose. “Lean On” per esempio è uscita dopo, nel 2015. Che approccio hai avuto nello scrivere l’album nuovo?
MØ: Mi ci è voluto parecchio per capire come iniziare a scriverlo. Il primo disco praticamente l'ho fatto tutto da sola, insieme al produttore. Poi è uscita "Lean On" e boom. Entrare nel pop dall'indie è stato assurdo. Volevo far evolvere il mio sound rispetto al primo disco, ovviamente, e volevo anche in qualche modo continuare sulla scia di "Lean On", unire l’elettronica e il pop. Non volevo essere solo una copia di qualcos'altro, perciò coi produttori ho sperimentato un sacco. Fino al 2017 non avevo idea di cosa ne sarebbe uscito.

Sempre a proposito di "Lean On": si può dire che è uno dei pezzi che hanno avuto più influenza sulla musica pop negli ultimi anni. Il drop in particolare, poi è stato ripreso più o meno ovunque.
Con "Lean On" e con Where Are Ü Now, sì, è iniziata questa cosa dell'EDM che si intreccia con il pop. Diplo in questo è sempre stato bravissimo, sa lavorare con superstar e artisti emergenti allo stesso modo, riesce a spingerti sempre in avanti. Prende il pop e lo fa crescere, mette continuamente roba nuova sul tavolo. È fighissimo quando senti una cosa in radio ed è divertente, ma è anche è stimolante e ti fa dire “Ah, però, figo questo sound, cos’è?”. Diplo è una grande ispirazione, sono molto felice di averlo avuto come mentore.

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È stato difficile mantenere il controllo creativo su quello che stavi facendo, visto che hai lavorato con così tante persone diverse, con tanti produttori?
Soprattutto all’inizio, è una delle ragioni per cui ci ho messo così tanto a finire il disco. Ero molto confusa, dovevo capire che artista volevo essere. Però penso anche che si debba attraversare un periodo di frustrazione in cui pensi solo “Non ho idea di cosa succederà”, finché poi arrivi a un punto in cui dici: “Ecco, ora ho capito”.

Si deve sperimentare.
Esatto. E secondo me certe volte può essere positivo sentirsi smarriti, anche se chiaramente quando ci sei dentro non è divertente per niente! Però come dice RuPaul “è nelle ore più buie che si trova la luce”. Direi che ne è valsa assolutamente la pena.

Rispetto ai tuoi ascolti, quali sono state le influenze musicali in Forever Neverland? Cosa ascoltavi mentre ci lavoravi?
È una domanda difficile, perché l'ho scritto in quattro anni e mezzo. Vivevo a L.A. ed ero molto assorbita dalla scena pop, ma in realtà era tutto così intenso che spesso se non stavo lavorando non ascoltavo niente. Non potevo assorbire altra musica, avevo la testa piena. Sicuramente ho ascoltato tanto SZA, lei è pazzesca. Praticamente solo da quando ho finito il disco ho ricominciato ad andare tutti i giorni su Spotify e ascoltare seriamente roba nuova.

Ho letto un'intervista di aprile in cui dicevi che ancora non sapevi se il nuovo disco avrebbe chiuso oppure aperto una nuova fase della tua vita. A posteriori, ora che l’album ormai è fuori, cosa diresti?
Direi che ha fatto entrambe le cose. Quando chiudi qualcosa stai per forza anche aprendo a qualcos’altro, no?

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L’idea delle “fasi” mi ha incuriosita: riesci a distinguerne, nella tua vita, anche in base a quello che stava succedendo in quel momento con la tua carriera?
Credo ce ne siano diverse. Soprattutto “Lean On” è stata decisiva: prima c’ero solo io, la mia musica era più dark… Mentre nei due anni successivi è cambiato tutto, sono stati anni folli. Poi penso le cose si siano calmate; anche quella è stata una fase, ho capito come sarebbe stato questo disco.

Notavo anche che in Forever Neverland ci sono solo due featuring e che entrambi sono con artiste donne. È una scelta voluta?
Un po’ è stato intenzionale, è sempre molto bello supportare le artiste donne e adoro lavorare con loro. Mi è anche venuto naturale: mi piacciono le voci femminili, ed ero già amica di Charli e di Empress Of, per cui ho chiesto alle mie amiche di collaborare.

Il tuo primo disco era ispirato a un libro di mitologia che stavi leggendo, giusto?
Sì! Stavo leggendo Joseph Campbell, che parlava di come oggi i giovani non abbiano delle guide, una strada prestabilite da percorrere. Una volta si seguivano le religioni, le tradizioni… Ora non ci sono “linee guida” e per quanto sia positivo può anche essere difficile dover trovare da sola la tua strada.

Forever Neverland invece è un riferimento a “Peter Pan”? Come mai?
Mi divertiva citarlo, perché in realtà è una storia super dark.

Era il mio preferito!
Io lo adoravo da piccola! Ma non lo capivo davvero. Da adulta sei in grado di vederlo in modo diverso. Parla di queste anime che si rifiutano di affrontare la realtà, di maturare. Ha un doppio significato: “Forever” Neverland, perché tutti sappiamo che è una storia tragica. Senza legami con la realtà sei intrappolato.

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Mi sembra che nei testi tu riesca a creare una connessione immediata, è molto facile identificarsi nei tuoi pezzi. Mi chiedevo se quando scrivi pensi al pubblico o se è una cosa che fai prima di tutto per sfogarti.
Mi fa molto felice sentirtelo dire, perché per me si tratta sicuramente di uno sfogo; però la mia urgenza di esprimermi viene dall’urgenza di creare una connessione con qualcun altro. Ha un doppio significato: è personale, ma nasce dalla volontà di connettere con altre persone. Non c'è una cosa senza l'altra.

La musica pop è anche, per definizione, qualcosa che mira a raggiungere più persone possibili. È una cosa di cui ti sei mai preoccupata?
In passato sì. Però, parlando ancora una volta di Diplo (o di Kendrick Lamar per esempio), ci sono tantissimi esempi di musica pop che raggiunge un sacco di persone ed è fighissima, ma ha anche un messaggio intelligente, sotto l’immediatezza. È quella la musica pop che voglio di fare. Io adoro il pop, ma non mi piace se è solo un’eco della roba che va in quel momento o se è fatto solo per soldi. Non capita spesso di ascoltare canzoni pop così, ma come musicista penso che ci si debba sforzare, allargare i confini, fare qualcosa di bello dentro cui però tanti riescono a sentirsi invitati.

Negli ultimi anni c'è anche stata una grande ondata di musica pop fatta da artiste donne e da artist* queer. Secondo te c'è una ragione per cui questa esplosione sta accadendo proprio adesso?
Penso che il mondo stia cambiando, che i giovani stiano davvero sbocciando. Viviamo in un mondo globale (grazie a internet per esempio) e i giovani e la nostra generazione hanno un atteggiamento molto più aperto. Ci sono più donne, più diversity in generale. E credo che questa sia anche la ragione per cui la politica cerca di riportarci indietro. Ci sono questi maschi vecchi e grigi, coi soldi e col potere, che non vogliono vederci prendere i loro posti. Ma il lato positivo è che i giovani stanno spingendo, stanno dicendo “vaffanculo, voglio essere me stesso, non m’importa delle etichette”.

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Anche questo modo di fare musica pop ha un valore politico secondo te, quindi? Anche se non ha un messaggio politico esplicito.
Assolutamente sì. Penso che anche solo essendo te stesso, anche se non dici in modo diretto “Non votate per Trump!”, tu possa comunque mandare un messaggio politico forte. Anzi, credo che un modo intelligente di essere “politici” sia non essere sempre diretti, non troppo politicizzati. Se vuoi raggiungere un pubblico ampio con il tuo messaggio è importante farlo in modo sottile, con un sottotesto.

Torneresti mai a fare musica punk?
Potrei. Mi manca la musica, quell'energia. Fa abbastanza ridere perché ho appena finito di dire il contrario, però certe volte mi manca poter essere super diretta. Nel punk ero in questo ambiente di attivismo, era tutto un grande “Questa società è una merda, vaffanculo” eccetera. È anche molto diverso, è un’altra parte di me. Quello che mi piace del pop è che cui riesce a connettere tantissime persone, mentre se rimani nel tuo ambiente non puoi pensare di cambiare le cose su scala più ampia.

Ti preoccupi mai dei possibili giudizi sul tuo aspetto, su come ti vesti? Le donne in generale sono sempre sotto scrutinio, ancora di più se sono famose.
No, perché so che l’importante è sentirmi bene. Poi in realtà per me se qualcosa è un po’ inappropriato o provocatorio è solo più divertente. Penso che sia abbastanza squallido e un po' sfigato giudicare le persone, quindi non mi interessa.

Ultimissima domanda: so che sei una grande fan delle Spice Girls e pare che facciano una reunion l'anno prossimo.
Sono una mega fan! Però insomma che Victoria non venga… Cioè lo so che ha un super brand di successo, una vita pazzesca eccetera, però dai, vai in tour con loro, per fare presenza.
Al concerto però ci vado comunque, ho comprato i biglietti per Londra!

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