King Krule: "Voglio lasciare Londra— è tutto finito qui"
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Musica

King Krule: "Voglio lasciare Londra— è tutto finito qui"

La settimana prima dell'uscita del suo nuovo album, abbiamo incontrato uno scontroso Archy Marshall mentre tenta di uscire dal pozzo di 'The OOZ' e guardare finalmente al futuro.
Ryan Bassil
London, GB

Nel giardino di questo pub londinese non si muove una foglia. È uno di quei pomeriggi freddi, a metà strada tra l'inverno e i cieli blu d'estate. Le voci distanti dei bambini dai parchi giochi sono forse l'unico segno di vita che risuona a di là dei muri del Gowlett Arms. La scena è idilliaca, un piccolo paradiso incastonato in mezzo a Peckham, alla periferia sud di Londra. L'ideale per un'intervista, o almeno così pare a me. Ma del resto io sono l'intervistatore, non Archy Marshall, King Krule, il soggetto.

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Avevamo in programma di vederci a East Dulwich, nel sudest di Londra, nella casa in cui Marshall è cresciuto e che divide con sua madre (in quella casa ci è anche nato, 23 anni fa, nella stessa stanza in cui dorme oggi). Ma poi è arrivato il campanello d'allarme: un messaggio che diceva che Marshall sarebbe stato in ritardo e avrebbe preferito parlare al pub. Più di un'ora ma meno di due dopo, arriva, occhiali da sole aggrappati alla faccia, acqua da mezzo in mano, sigaretta rollata preparata e pronta a essere accesa.

La conversazione non si esaurisce, perché non inizia nemmeno. È stata una serata pesante ieri? "Abbastanza"; Cos'hai fatto? "Visto Fazerdaze"; Com'è stato? "Bello"; aggiungi un silenzio imbarazzato dopo ogni risposta. Ora che si è tolto gli occhiali, lo sguardo di Marshall rimane fisso su un punto lontano, impossibile da incrociare. Forse non gli piace parlare del più e del meno. Magari ha solo i postumi? Forse gradirebbe un drink più forte? O è il caso che me ne vada? Possiamo fare un'altra volta?

Le ultime due opzioni sono, naturalmente, stupide. L'uscita del nuovo album The OOZ, il primo da quattro anni a questa parte per Marshall con il nome King Krule, rappresenta una rara opportunità per parlare (o non parlare, in questo caso) con uno dei migliori autori di questa generazione. Se me ne vado adesso potrei non rivederlo per un altro lustro. Così andiamo faticosamente avanti: mi approccio a domande vere, Archy si limita a brontolare perché non riesce mai a trovare un tavolo quando viene in questo pub la sera. Poi arriva l'improvviso, duro colpo di scena, accompagnato da una scrollata di spalle: "Voglio lasciare Londra". Davvero? "Sì. È tutto finito qui".

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Dove vorresti andare?

Nel deserto, dice, con voce bassa e pesante. Nello specifico "Dungeness—l'unico deserto d'Europa", ubicato nel sudest dell'Inghilterra, per "ricominciare da capo". Perché là? "Non lo so. È un bel posto". Ok; cambio tattica. Come hai scoperto questo posto, quindi? Fetta di pizza in mano, sembra che siamo finalmente pronti a decollare: "Penso di esserci stato da bambino. Negli anni Sessanta un botto di pittori sono andati lì e hanno fondato un movimento. È semplicemente un bel posto. C'è una vecchia ferrovia che finisce in mezzo al nulla".

king krule intervista londra the ooz

Nonostante il suo radicamento a sudest Londra—ha vissuto qui per tutta la vita, fa riferimento a questo luogo nelle canzoni e nei video, suona ancora nei pub con semi-regolarità, ultimamente anche al DIY Space di Peckham—nessun posto rappresenta veramente Marshall. La topografia della sua musica è un pot-pourri di densi spazzi sopra e sotto la terra: l'album di debutto 6 Feet Beneath The Moon, "Ocean Bed", "Neptune Estate", A New Place 2 Drown—oscure tele nere e blu di nulla su cui dipinge le proprie parole. Il titolo del primo album, dice Archy, era una metafora delle aspirazioni. "Fisicamente guardi sempre in su [verso la luna]. Ma non puoi toccarla, è sempre lì, appesa sopra di te. Mi sa che mi perseguitava".

Nato da genitori artisti (madre sarta e costumista, padre direttore artistico), la propensione al creare è praticamente insita nel DNA di Archy. Con il passare degli anni dall'uscita del suo debutto, sembrava che queste aspirazioni fossero state affossate dalla frustrazione. Se 6 Feet Beneath The Moon fu l'inizio del viaggio di Marshall nel 2013, il terzo album The OOZ è il momento in cui si lascia sommergere da tutto quel liquame – il prodotto finale risultato dal blocco dello scrittore, dalla fine e l'inizio di varie relazioni e dal panorama cangiante di una città che sta crollando sotto i suoi piedi.

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Il titolo di The OOZ è venuto in mente a Marshall anni fa, quando, con il nome Zoo Kid, fondò una band con suo fratello e Jacob "Jerkcurb" Read chiamata Dik Ooz – un nome "praticamente perfetto visto che eravamo tutti adolescenti e i nostri cazzi puzzavano [ooze in inglese, n.d.T.]", scherza Archy. Poi è arrivata la mostra Inner City Ooz – gioco di parole su "Inner City Blues" di Marvin Gaye - che si è svolta in centro a Londra nel 2014. Questa volta The OOZ significa la crescita inconscia che tutti attraversiamo quando cerchiamo di tirare fuori qualcosa, che sia un progetto artistico, musica o anche solo un'emozione.

king krule promo foto intervista londra the ooz

Ogni parte di The OOZ suggerisce che il periodo di crescita di Marshall ha voluto dire per lui anche perdersi e seppellirsi. La traccia di apertura dell'album lo vede "affondare sempre più in basso a Biscuit Town" – nomignolo che indica Bermondsey a Londra sud. Di tanto in tanto Archy emerge, ululante alla luna, ma anche questi momenti sono tinti di uno strato di disperazione, sbagli, frustrazione, rabbia. I testi dicono molto: "Nulla funziona più" ("Slush Puppy"), "Non mi fido di nessuno, vado d'accordo con pochi" ("Vidual"), "La mia testa è un casino su vari livelli" ("Lonely Blue"), "Non ci sono" ("Sublunary"). Parte di questo potrebbe essere dovuta da una relazione descritta nel corso dell'album, altre parti sembrano arrivare dal sudest di Londra in generale che, insieme a "Biscuit Town", compare anche in "Bermondsey Bosom".

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Quella traccia prende la forma di due interludi su The OOZ, uno dei quali è narrato dal padre di Archy. In origine "Bermondsey Bosom" doveva durare sette minuti, fare da colonna sonora a una tipica camminata di Marshall, a fianco ai binari della ferrovia, dalla sua precedente casa senza genitori nella vicina Surrey Quays verso Peckham. Basta nominare un posto a caso a Londra sud e Archy tira fuori una storia. Il terreno industriale di Bermondsey dove ha registrato l'album ("ho cercato di prendermi uno spazio lì ma la maggior parte dei posti hanno raddoppiato l'affitto non appena hanno scoperto che ero un musicista… il comune sta mandando a puttane quella zona"). Brixton ("Quello che Network Rail ha fatto lì è disgustoso"). Peckham Rye ("Ho visto tre fantasmi lì, ti dico"). Ricorda di essere stato arrestato in cima a Nunhead Reservoir [bacino idrico di Nunhead, n.d.T.], una zona recintata da cui si gode di una bellissima vista sulla skyline di Londra e che un tempo era "un posto per le classi inferiori, un mondo sotterraneo" e ora è una discarica di lattine di birra lanciate dagli studenti dell'accademia d'arte Goldsmiths.

Era notte e Archy "stupidamente" si imbatté nei poliziotti che erano riusciti a entrare. "Uno di loro mi ha detto…" - fa un accento da alta società - "'qui è un po' pericoloso, non posso credere che chiunque possa arrivare quassù, dev'essere ottimo per i terroristi'." "'Perché?'" chiese Marshall. "'Oh, perché si vede tutta la città da qua'". Ride. "E io ho pensato: 'Idioti. Da qua hai accesso all'intera fornitura d'acqua della città'. C'era quella famosa storia su Damien Hirst e gli altri studenti della Goldsmiths negli anni Novanta che volevano andare lassù a sciogliere qualche etto di MDMA nell'acqua. Quello sarebbe stato davvero divertente, cazzo, andare in giro per questa zona con tutti che smascellano, pieni di MD".

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king krule promo foto intervista londra the ooz

Marshall ha una nota ossessione per la storia ed è su questo tema, non con le chiacchiere, che sembra più a suo agio. Dopo aver parlato di un recente viaggio in Repubblica Ceca durante il quale Archy, sua madre e la sua allora ragazza hanno visitato una chiesa con "queste tombe giganti fatte di teschi e candelabri che uscivano da ossa di anca e femori", arriviamo a parlare del primo singolo tratto da The OOZ, "Czech One", e del suo video. Il quale, diretto da Frank LeBon, vede Krule tanto sopra quanto sotto terra - una metafora visiva, dice Archy, di uno stato di sogno. Per ragioni che diventeranno più chiare alla fine, ho incluso la sua risposta e conseguente frustrazione nella sua interezza qua sotto.

Noisey: Quali sono i tuoi sogni?
Archy Marshall: Un botto di soldi, cazzo. Una casa alle Bahamas.

In un pezzo sul New York Times hai detto che avresti potuto lavorare con Kanye ma hai deciso di no. Quello ti avrebbe fatto fare molti soldi.
Avrei potuto. Mi avrebbe dato più pubblico.

Hai fatto qualcosa con Warpaint, Jagwar Ma e Earl Sweatshirt a un certo punto, giusto? O è stata una cosa pompata dalla stampa?
Il problema della stampa musicale e dei siti è che prendono una frase e la trasformano in un articolo di due paragrafi senza senso. Eravamo tutti sulla line-up di un festival, quindi ci siamo visti. Avevo conosciuto Jonti [proprietario dello studio] forse due o tre anni prima in Giappone. Era un festival che durava tutta la notte, dalle 17 alle 17 del giorno dopo, quindi c'erano band che suonavano anche alle 8 di mattina. Sono arrivato in studio abbastanza tardi, penso che se ne fossero andati tutti a quel punto, eravamo solo io e Thebe [Earl Sweatshirt]. Quindi io e Thebe abbiamo suonato un sacco. Ogni volta che abbiamo fatto musica ci siamo limitati a jammare, non ne abbiamo parlato direi. Quando è venuto a stare da me per un po' abbiamo fatto tantissima musica.

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Per voi immagino che tutto inizi e finisca qui: fare musica. Ma quando i giornalisti sentono dire che avete suonato insieme si esaltano.
La gente adora queste collaborazioni stile Pokemon. Tipo "Oh cazzo, lui ha lavorato con lui", "Sarebbe una figata se lavorassero insieme". A me piace lavorare da solo.

Lo capisco, però. Dal punto di vista di un fan… è normale prendersi bene sentendo che hai suonato con un altro artista. Ma forse non bisognerebbe sempre farne un articolo.
Penso che questa storia faccia super ridere. Quando il giorno dopo abbiamo visto tutte le nostre foto promozionali messe insieme… era la cosa più stupida dell'universo. Non so… È il mio modo di vedere queste stronzate sensazionalistiche. Alcuni di questi siti si comportano come dei tabloid, copiando e incollando articoli per poi dire "ora il nostro sito ha coperto questa notizia". Sono tutte stronzate.

È una svalutazione della scrittura – ogni sito ne è colpevole.
È fuori contesto, man. Ho visto quella cosa da un articolo nel New York Times – e io non leggo le mie interviste, perché mi fa schifo come suono.

Perché ti fa schifo?
Mi piace parlare. Mi piace parlare con una persona. Ma quando viene messo per iscritto è una cosa completamente diversa, sai. Non c'è il tono, non c'è il sarcasmo, l'ironia. Non capisci neanche metà di queste cose. La gente legge per il bianco o nero. Quindi personalmente non mi piace leggere quella merda. Ma la gente sta già parlando di Kanye. Voglio dire, senti: mi sei un po' di ostacolo. Non voglio essere conosciuto come una artista che ha a che fare con quell'artista. Voglio essere conosciuto per la mia cosa. Quando il disco stava uscendo la gente copiava e incollava l'articolo [di Pitchfork] tipo "Oh, pensava che a Frank Ocean non piacesse la sua musica". Era completamente fuori contesto, capisci? E penso che fosse anche riportato sbagliato, quindi ho detto: "Beh, fanculo questa merda. Se questo è lo stato del giornalismo o lo stato delle pubblicazioni musicali allora perché dovrei concedere un'intervista?"

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Dico a Marshall che mi è piaciuto il pezzo di Pitchfork, ma non il modo in cui era stato presentato - cioè come una news su Frank Ocean. "Sì, lo trovo un insulto. Perché significa trattare l'argomento sotto una luce completamente diversa, e che dà la priorità a una persona che ha molto più successo di me", dice Archy, a metà tra esasperazione e disinteresse. Continuo dicendogli che, per un fan, leggere delle interviste e dei profili di un artista significa aggiungere colore alla sua musica, imparare qualcosa in più su di lui o lei. "Credo di imparare di più io su me stesso", risponde Archy: "la settimana scorsa avrà fatto quasi sessanta interviste in giro per l'Europa, e alla fine di tutto avevo analizzato quasi tutto quello che ho fatto sull'album".

Andiamo avanti a parlare, e va fatto notare che la conversazione ha un tono amichevole. Gli chiedo se pensa che parlare del suo lavoro con altre persone lo aiuti in qualche modo. "Credo di sì". O in fondo non gli importa? "No, non mi importa veramente." Quasi sembra che ad Archy effettivamente importi di tutto questo, ma anche che per lui sia importante mantenere un'immagine artistica abbastanza romantica – una che possa controllare. Quasi come a dimostrare ciò che dico, quando ritorno da una visita al bagno Archy è seduto al tavolo a scarabocchiare su un quadernetto. Fa dei segni con una penna nera, e mi dice che gli piace disegnare quando è all'aperto. "E se piove?", gli chiedo. La conversazione rallenta di nuovo: "Forse i disegni vengono meglio. Mi piacciono le pagine bagnate". È una frase che conferma ciò che sappiamo di Marshall: che gli piace trascendere il ruolo del musicista, così da potersi guadagnare il titolo di "artista". È un processo frustrante, ma con un suo romanticismo innato. "Penso che il romanticismo sia tutto. Mi piacciono i mattoni, mi piace capire come sono state fatte le strade", dice. Qual è la cosa più romantica che ha mai fatto? "Ne ho fatte un milione, amico. È così che vivo la mia vita".

"E se ti dicessi io qual è la cosa più romantica che ho mai fatto? Poi mi diresti la tua?", gli chiedo. Marshall accetta, e gli racconto di quella volta che ho preparato un album fotografico per una persona. "E che è successo tra di voi?", mi chiede. "Ci siamo mollati!" Ridiamo. "È così che va anche per me", dice. "Ti rendi conto di aver fatto un gesto simile per qualcuno, che ora è nel passato e con cui non potrai mai condividere nulla di simile dato che vi siete mollati, entrambi vi siete dedicati ad altri esseri e avete sperimentato altri umani. Mi piace questo lato del romanticismo: sapere di avere avuto qualcosa che non c'è più".

king krule promo foto intervista londra the ooz

The OOZ è un album permeato da un sentimento simile, quello di un amore perdutosi nelle sue profondità fangose e deprimenti. Ma l'ultima traccia, "La Lune", suggerisce quale possa essere il prossimo capitolo della storia di Marshall: "Sono stato cresciuto sotto la luna, mi è stato insegnato di tenere lo sguardo fisso su ciò che vedo / E ora sto per andare ancora una volta verso l'aldilà". E se questo passo fosse un allontanamento da Londra? Un ritorno al nulla, lontano dalla stampa e dal caos della città, dove Archy possa essere libero di non fare niente se non dedicarsi all'arte? Proprio come ha fatto negli ultimi anni con il suo side project a nome Edgar The Beatmaker, ma in un ambiente completamente nuovo.

"Credo che l'idea sia mantenere un certo mistero attorno a me, mi piace che non si sappia che cosa sto facendo e che cosa voglio fare", Archy mi aveva detto prima, durante la nostra conversazione. "Vorrei una sfida, andarmene in un posto dove poter vivere qualcosa di diverso. Non sarebbe difficile, credo, ci sono musicisti ovunque. Forse mi metterò a gentrificare l'acqua. Forse gentrificherò Dungeness". Finalmente abbiamo una risposta. Fate caso alle impronte sabbiose per terra quando, tra cinque anni, una pizzeria alla moda avrà aperto ovunque Archy sarà finito.

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