Cultura

Gli straight edge italiani esistono ancora

Cosa rimane nel 2020 della sottocultura punk che rifiutava alcol, fumo, droghe e sesso occasionale? L'abbiamo chiesto ai diretti interessati.
Alessandro Pilo
Budapest, HU
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Tutte le foto per gentile concessione degli intervistati.

Quando negli anni Ottanta alcol ed eroina iniziarono a portarsi via un sacco di punk, molti giovani della scena americana si stufarono del disimpegno e del nichilismo da '77. Erano gli anni di Reagan e del conservatorismo più becero al potere, e c’era bisogno di essere uniti, lucidi e forti per rovesciare lo status quo.

In quel contesto, e tra questi nuovi punk, droghe e alcol cominciarono a essere visti come strumenti di controllo e oppressione, e il sesso occasionale associato a un meccanismo che spingeva a trattare le persone come oggetti e impediva la formazione di legami forti.

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Fu la nascita di una sottocultura caratterizzata da una nuova etica più sobria e costruttiva, basata su zero alcol, zero fumo, niente droghe e niente sesso occasionale. La diffusione dello straight edge, questo il suo nome, fu traghettata dallo stile di vita dei Minor Threat, descritto nelle canzoni “Straight edge” del 1981 (I'm a person just like you / But I've got better things to do / Than sit around and fuck my head / Hang out with the living dead") e "Out Of Step" del 1983 ("I don't smoke / I don't drink / I don't fuck / At least I can fucking think").

Negli anni successivi, pur non diventando mai un vero e proprio movimento con tanto di manifesto, band come Youth of Today e Gorilla Biscuits contribuirono a codificare questa nuova corrente—che in alcune scene, come quella di Boston, con SSD e Slapshot come nomi di punta, prese derive più aggressive (capitava che la gente che beveva birra ai loro concerti venisse picchiata, per dirne una).

In Italia lo straight edge iniziò ad affermarsi all’inizio degli anni Novanta, anche se intorno alla metà del 2000 perse vigore e iniziarono le defezioni, senza un ricambio generazionale. Eppure c'è chi continua a seguirne i dettami con entusiasmo, spesso inglobando in questo stile di vita una dieta vegana.

Com'è allora essere straight edge nel 2020? E cosa può trasmettere questo stile di vita a chi non potrebbe essere meno interessato all'esistenza in completa sobrietà? Ho raccolto un paio di testimonianze di chi sta alla larga da alcol e droghe dai tempi d’oro, e di chi ci è arrivato dopo ma non tornerebbe più indietro.

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Federica Pagani, 43 anni, Forlì
Insegnante di scuola primaria, straight edge da 27 anni

“Non ho mai fumato, se non qualche sigaretta e della cannabis per pura curiosità adolescenziale. La stessa curiosità a sedici anni mi portò a bere parecchio. Nella mia cerchia di amici eravamo appassionati di musica, ci scambiavamo un sacco di cassette e quando mi capitarono tra le mani i Minor Threat mi si aprì un mondo. Non bere, non fumare, non fare uso di droghe ed essere vegana significa rispettare me stessa, la mia mente e il mio corpo. Per me è questo lo straight edge. Ovviamente nel pieno rispetto della libertà altrui: tutti i miei amici e i miei parenti bevono o fumano, anche il mio compagno. Quando mi dà fastidio mi alzo e mi sposto. Se mi offrono dell’alcol ormai declino le offerte senza dare spiegazioni, ringrazio e basta.

Essere straight edge era decisamente più popolare in passato: forse c’era più esigenza di cambiamento all’interno di una sottocultura marcia per antonomasia, tutto sommato oggi non siamo a quei livelli. Molti hanno abbandonato anche la parte musicale: non li vedo più ai concerti, hanno cambiato vita. La percentuale di chi rimane straight edge a lungo non è alta, forse perché si perde speranza nel cambiamento: essere attivi, lavorare quotidianamente per migliorarsi e cercare di cambiare questo mondo non è per niente semplice, soprattutto dopo i calci in culo che la vita ci riserva. Malgrado tutto, io ci credo ancora.”

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Gab de la Vega, 34 anni, Brescia
Insegnante d’inglese e musicista, straight edge da dieci anni

“Ho iniziato a fumare alle scuole medie e in generale bevevo, prevalentemente birra. Non ho mai preso altro, a parte farmi le canne. Suono in gruppi hardcore-punk da una vita, il pensiero straight edge era noto nel mio mondo ma è intorno ai 20 che ho deciso di abbracciare quella scelta. Quando ero più giovane tanta gente attorno a me si è tuffata nel consumo compulsivo di alcol o droghe. Io ho preso strade diverse.

Vivo a Brescia e qui gli straight edge si contano sulle dita di una mano, ma è vero che quel messaggio ha raggiunto altri ambiti, c’è gente che vive in questo modo ma non ha idea di chi siano i Minor Threat. Quando non partecipi a quei rituali sociali legati al consumo di alcol e droghe puoi sentirti tagliato fuori, altre volte ti autoescludi perché quelle situazioni non t’interessano. Detto ciò, non ho problemi a passare una serata coi miei amici che bevono, anche se la scelta analcolica dei bar è solitamente scarsa.

C’è chi pensa che uno straight edge sia un rompicoglioni ascetico mezzo Amish noioso come la morte. Mi piace dimostrare di non essere nulla di tutto ciò.”

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Serena Mazzini, 31 anni, Torino
Digital strategist per brand e organizzazioni, straight edge da dieci anni

“Sono nata e cresciuta in un piccolo paesino sul Lago Maggiore. Quando a 19 anni sono arrivata a Bologna per l’università non conoscevo nessuno, e il modo più veloce per farmi degli amici fu bere molto ed entrare in quel mondo fatto di feste e cicchettari. Poi è morta una delle mie migliori amiche per un mix accidentale di droghe, in realtà è stata drogata e l’hanno trovata morta. All’epoca ero abbastanza autodistruttiva, ho capito che avrei dovuto cambiare molti aspetti della mia vita, anche per lei.

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Ho sempre ascoltato gruppi punk e hardcore, ma la band straight edge Have Heart mi aiutò a superare quella fase. Infine a 21 anni lo sono diventata anche io. Non fumo e non prendo niente da dieci anni, riguardo il bere può capitare di fare un’eccezione e provare un alcolico locale quando sono in viaggio, lo vedo come un gesto di rispetto nei confronti di culture lontane dalla mia. Ai pranzi di lavoro devo spiegare perché rifiuto il vino, mentre ai matrimoni i parenti mi chiedono se non bevo perché sono incinta. Se quando esco con gli amici chiedo al bancone “avete la cedrata?” mi guardano come se fossi stupida. Non me la prendo, ma talvolta mi pare ci sia davvero una legge morale non scritta che ti obbliga a bere.

Non riuscirei più a tornare indietro, starei proprio male fisicamente. In più l’ideologia dietro lo straight edge non è solo vivere senza droghe, ma avere delle precise posizioni politiche in tema di ambiente, specismo e diritti umani, tutti temi che ho sentito per la prima volta da alcune band quando ero un’adolescente. Da questo punto di vista stare in questa sottocultura mi ha aiutata a diventare una persona migliore."

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Luca Pala, 45 anni, Sassari
Bassista negli Absence, la prima band straight edge vegana italiana, straight edge da 29 anni

“Non tocco alcol dalla primavera del 1990, avevo 16 anni. Ero un fan degli Slayer, ma fu leggendo un’intervista con gli Youth of Today che mi si aprì un mondo, rimasi folgorato dal coraggio delle loro scelte personali e dal loro approccio positivo, pieno di messaggi politici e sociali.

Da ragazzo mi piaceva dimostrare che da straight edge è possibile divertirsi senza sostanze alteranti, alcuni amici mi ammiravano per la mia scelta, mentre altri non mi sopportavano proprio per quel motivo. Col tempo il mio approccio straight edge vegano si è evoluto fino ad abbracciare il concetto di drug free, ossia il totale rifiuto di tutte le sostanze che alterano la psiche, anche la caffeina.

Sono diventato genitore abbastanza giovane, ho due figli di 19 e otto anni e una figlia di 14. So di aver commesso degli errori, volevo mantenerli integri e allontanarli da tutto ciò che ritengo sbagliato, poi ho capito che hanno il diritto di andare per la loro strada e sperimentare. Spero solo che comprendano che il mio approccio è d’aiuto quando devi affrontare le difficoltà della vita. Sono abbastanza ottimista al riguardo. Il mio figlio più grande è ugualmente straight edge, mentre il più piccolo mi chiede sempre di portarlo ai concerti hardcore.”