Una settimana hardcore in Israele con gli Slander

FYI.

This story is over 5 years old.

Musica

Una settimana hardcore in Israele con gli Slander

Concerti selvaggi, zone militarizzate e niente sonno: che cosa succede quando una band hardcore di Venezia approda in Terra Santa.

Gli Slander sono uno dei gruppi hardcore italiani contemporanei più conosciuti in Italia e all'estero. Agitatori della scena Venezia Hardcore e instancabili macchine da tour, hanno portato in giro il loro ultimo EP Bad Weather (uscito per la tedesca Powertrip Records, ma pubblicato in Italia da Machete Empire) per gli ultimi sei mesi, tra ore e ore in furgone, nottate infinite e piramidi umane. Li abbiamo contattati per farci raccontare il loro recente viaggio in Israele e farci mandare qualche foto.

Pubblicità

Sono le 5 di mattina di mercoledì 14 dicembre, siamo tutti svegli dalla sera prima e ci stiamo dirigendo all'aeroporto Marco Polo di Venezia per volare in direzione Tel Aviv. Il biglietto è low cost che più di cosi non si può, con lungo scalo a Roma. All'arrivo a Tel Aviv i controlli sono comprensibilmente molto seri e, come mi aspettavo, al controllo dei passaporti tutti riescono a passare tranne me, che vengo bloccato per 45 minuti in una stanza/sala d'attesa con un uomo che mi guarda costantemente nelle palle degli occhi e che mi fa domande sulle origini del mio cognome, chi sono i miei genitori e cosa ci faccio qui. Naturalmente non ho niente da dichiarare, ma non posso far finta di non sapere che le mie origini curde possono essere viste come un problema dalle autorità di confine.

Tutte le foto di Roberto Moro.

Dopo questa accoglienza ad alta tensione riesco finalmente a passare e raggiungere gli altri, con cui ci avviamo al luogo dell'appuntamento con i ragazzi che ci hanno invitati a suonare. Montiamo in macchina e ci dirigiamo verso il centro di Tel Aviv. Subito incontriamo tutto il giro hardcore locale per una bella cena in un appartamento con organizzatori e amici. Nonostante la stanchezza e la necessità di riposare per la prima data del tour all'indomani, decidiamo di uscire comunque a fare festa. Tel Aviv è una città che non si ferma mai, si può restare in giro fino alle otto del mattino trovando musica e locali aperti, ed è quello che facciamo io e Kafka con uno dei ragazzi della crew, mentre gli altri tornano all'appartamento. Andiamo a letto che fuori c'è il sole e ci svegliamo con il buio della sera. Siamo a casa di Appel, un veterano della scena punk di Tel Aviv che organizza concerti da sempre; ora ha iniziato un progetto hip hop chiamato Future Gang e da non molto ha pure aperto il concerto di Wiz Khalifa. Facciamo in tempo a passare un paio d'ore a spulciare la sua collezione di dischi e a parlare di alcuni titoli che entrambi abbiamo macinato anni indietro.

Pubblicità

È il giorno del concerto e appena arrivati al locale ci sentiamo subito a casa: ci sono tutti gli amici di ieri sera, tutti ci offrono da bere e da fumare, un paio di persone ci chiedono anche degli Smart Cops e de L'Amico Di Martucci, dimostrando una conoscenza approfondita dell'hardcore di Venezia. Prima di noi suonano le due band più cariche di Tel Aviv, cioè Kids Insane, che sono amici con cui siamo stati in tour in Italia qualche anno fa, e Not On Tour, che distruggono completamente tutto e ci lasciano un palco infuocato dove suonare. Nel frattempo ci dicono di aver chiuso gli ingressi perché la gente non ci sta più: perfetto. Noi facciamo un concerto ottimo e il pubblico risponde come si deve. Dopo i nostri venticinque minuti di delirio ne bastano solo quindici per svuotare il locale, la festa non si ferma. Dopo aver impacchettato tutta la nostra roba, seguiamo un nutrito gruppo di locals in giro per la notte di Tel Aviv.

Durante la serata succede il fatto mitico, quello che lo racconti e non ci crede mai nessuno: mi hanno messo la droga nel bicchiere. Si può reagire in due modi: prendendosi malissimo o surfando l'onda. Indovinate cosa facciamo noi. Esatto: stiamo svegli altre quaranta ore, parliamo in modo sconclusionato delle nostre vite e arriviamo a profonde riflessioni sulla strada fatta grazie a questo gruppo, nel bene e nel male. Tra un'arringa e l'altra arrivano le due del pomeriggio, proviamo a dormire ma niente da fare. Salutiamo il nostro riposo pre-concerto che ci fa ciao-ciao in lontananza e partiamo alla volta di Haifa, luogo del nostro secondo concerto, a soltanto un'ora di macchina. A differenza di Tel Aviv la scena di qua sembra più dedita allo street punk: nella coda fuori dal locale spiccano grandi creste colorate, tatuaggi in faccia, toppe di Exploited e Casualties. Il concerto è una bomba ma finisce comunque molto presto, e proprio come ieri il locale si svuota subito. Facciamo giusto in tempo a tornare a Tel Aviv per un'altra nottata di festa. Appel è il nostro Cicerone, conosce tutti i locali, i gestori dei locali, i DJ, insomma è l'ospite perfetto: un gin tonic costa 12 euro, ma il nostro uomo sa come farci bere senza tirare fuori una lira e di conseguenza i nostri ricordi della nottata sono piuttosto offuscati.

Pubblicità

Il giorno dopo abbiamo in programma una gita a Gerusalemme, meta che ovviamente ci incuriosisce e ci agita, un po' come è successo a mia nonna quando le ho detto che sarei stato a fare due concerti in Israele. I ragazzi del posto invece non sono molto entusiasti di accompagnarci, ma capiscono il nostro desiderio di vedere la città. A farci da guida è Nadav, che capiamo non essere molto a suo agio quando ci accorgiamo che si mette a parlare inglese anche con i suoi connazionali. Non vuole dare a vedere che è di Tel Aviv. I militari sono ovunque, anche dentro ai bar, mentre certe strade sono completamente bloccate e trasformate stazioni di guardia. Il nostro uomo ci invita a camminare in fretta e non fermarci a guardare. A un certo punto ci si avvicina un bambino che si rivolge a Nadav dicendo: "Tu sei israeliano vero? Dài, lo so che sei di Israele!" Veniamo trascinati velocemente via, al bambino non viene nemmeno data risposta e più avanti Nadav ci racconta che sono successi casi di bambini che accoltellassero persone di Israele che giravano per quelle parti.

Qua la questione Israele-Palestina non è una storia di guerra lontana, ma ti colpisce a ogni passo, ce l'hai costantemente sotto gli occhi. È difficile tornare da Gerusalemme senza pensare a concetti come "confine" e "Stato" e a come questi abbiano creato morte, terrore e disagio per intere popolazioni. Tra di noi non ne parliamo, preferendo la leggerezza per questo ultimo giorno di viaggio, anche perché dopo i cinque giorni passati a suonare e fare casino non siamo proprio in grado di profonde analisi geopolitiche. Nonostante tutto, i discorsi sulla leva militare e sulla guerra tornano ciclicamente, tra una chiacchierata e l'altra. Qui anche le donne devono fare la leva militare per due anni: ce ne parlano come se fosse una cosa assolutamente normale che fa parte del loro percorso di vita e che le porta a essere quelle che sono. Se da una parte queste sono cose che già sapevo prima ancora di arrivare, dall'altro mi fa un certo effetto sapere che ragazzi e ragazze della mia età siano stati obbligati a intraprendere il percorso militare perché è così e basta. E non si tratta soltanto di levatacce e addestramento: qua fare il militare vuol dire partecipare a una guerra, una guerra orribile e incomprensibile.

Pubblicità

Sorge l'alba sul nostro ultimo giorno in Israele e ci dirigiamo verso l'aeroporto: altri controlli, altre rotture di coglioni, anche se sicuramente sono più contenti di vedere il sig. Ali andarsene rispetto a quando sono entrato. Arriviamo a Roma in ritardo e perdiamo la coincidenza per tornare definitivamente a Venezia. La compagnia aerea ci offre una notte nell'hotel dell'aeroporto con tanto di cena e colazione. Qui conosciamo un signore, che poi scopriremo essere un poliziotto. Si incuriosisce subito di cosa facciamo e perché siamo stati in Israele. Ci intrattiene tutta la sera, prima bestemmiando contro le ragazze di Alitalia, poi raccontandoci che "so' stato venti giorni a Tel Aviv a scopare" o "sapete cosa dovete fare? Adesso andate in camera, prendete un bel calzino, lo avvolgete attorno all'allarme antifumo e fumate dentro tutta la notte". Era evidente che se l'era proprio presa a male di aver perso l'aereo e voleva creare disagio in qualche modo. Non si tira indietro un attimo nel far vedere a tutti il suo distintivo, noi reggiamo il gioco, vogliamo vedere fino a dove si spinge. Finita la sua performance andiamo a letto, stanchissimi, ma prima di addormentarci abbiamo notizia dell'attentato di Ankara e di quello di Berlino. Tra la giornata a Gerusalemme, la serata con il poliziotto italiano e questo, non possiamo che addormentarci con l'amaro in bocca, la consapevolezza che il mondo sta passando un momento di merda; noi abbiamo scelto di fare musica e di girare il mondo a guardare negli occhi la gente e farci amici, e non possiamo che esserne orgogliosi.

Pubblicità

Samall Ali è il cantante degli Slander e tra i fondatori di Trivel Collective