Suonare punk nell'era di Trump

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Musica

Suonare punk nell'era di Trump

Tutti possono, e dovrebbero, fare musica. Soprattutto adesso.

È da qualche giorno che penso al rapporto tra il punk e l'elezione di Trump. Ma non sono solo. Nella generale eruzione di frustrazione e giustificato orrore di fronte al prospetto di un presidente apertamente razzista, misogino, xenofobo e plutocratico a cui, tra l'altro, sembra non avere particolare avversione alle molestie, si è parlato molto del ruolo che la scena punk potrà avere in tutto questo. Kim Kelly di Noisey US ha detto la sua, con un invito all'attivismo musicale rivolto alle scene punk e metal. Jessica Hopper di MTV News ha fatto notare che sperare in un'era d'oro del punk sotto Trump è un gesto miope e delirante. C'è però un termine che compare in entrambi i loro articoli: "risvolto positivo." Indipendentemente da quanto la gente abbia auspicato sui social media un lato positivo della presidenza di Trump sotto forma di un punk migliore, aspettarsi qualcosa di simile è il paradigma dei privilegi dei bianchi: sono d'accordo. Quindi, dico: Non aspettate che la musica sia una forza vitale nei prossimi quattro anni. Rendetela vitale voi stessi. Che cosa—non sapete suonare? Non avete orecchio? Non avete mai preso in mano uno strumento? Meno male, c'è una forma musicale che fa proprio per voi. Si chiama punk. Alla fine del suo articolo, la Kelly incoraggia la gente a fare musica politica, anche se la sua richiesta di considerare la possibilità di usare la musica come sfogo per la rabbia che proviamo è diretta specificamente ai musicisti. Nell'articolo della Hopper non si parla neanche di un ruolo musicale attivo per il lettore. Il rapporto tra politica e musica è invece rappresentato come un rapporto tra consumatore e artista pop, con un ragionamento enfatico sull'eventuale aumento o meno di "qualità" della musica a livello mainstream nei prossimi quattro anni. Ma perché i musicisti dovrebbero sentirsi incoraggiati a esprimere le proprie visioni politiche in musica, di questi tempi? E perché dovremmo preoccuparci della "qualità" della musica, se questa viene calibrata nei termini transazionali e strettamente capitalisti del pop? Il punk è musica di protesta, è chiaro e semplice. Non tutti i pezzi punk sono una protesta esplicita contro qualcosa di solido e specifico. Ma anche i primi gruppi punk, a cui la politica non passava neanche per la testa—tipo quei romantici dei Buzzcocks o quei tontoloni dei Dickies—stavano facendo un gesto politico con la loro musica sovvertendo l'atteggiamento machista dominante che negli anni Settanta aveva reso i musicisti dei semidei a tutti gli effetti. (Ok, i Buzzcocks hanno scritto una canzone politica ogni tanto, tipo "I Believe," e si potrebbe dire che la cover semi-ironica dei Dickies di "Eve of Destruction", una canzone di protesta degli anni Sessanta scritta da Barry McGuire, è un pezzo politico, dato che uscì durante la Guerra Fredda, mentre Ronald Reagan stava imbastendo la sua prima campagna elettorale.)

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Ma il punk è politico in un altro modo più essenziale, essendo stato fondato sull'idea che chiunque potesse—anzi, dovrebbe—fare musica. È questo il cuore politico del punk. Non è Greg Graffin che ci fa una lezione di socioeconomia o Kathleen Hanna che inietta al punk la dose di femminismo di cui aveva bisogno, per quanto entrambe queste cose siano importanti e centrali nel discorso. Il punto è coinvolgere la gente—non in modo passivo, come ascoltatori o consumatori, ma come partecipanti. Non voglio mascherare i problemi che la scena punk ha vissuto nei quarant'anni dopo la sua nascita. Nonostante i suoi ideali è stata sempre dominata da maschi bianchi ed eterosessuali. È stata colpita da forme di razzismo, misoginia, omofobia, transfobia e bigottismo. Sono tutti concetti contrari agli ideali punk, che però esistono e persistono. Al contempo, il punk sta migliorando. L'esperienza di gruppi come i G.L.O.S.S. (R.I.P.), i Downtown Boys e i La Misma è stata ed è elettrizzante, e il loro impatto continuerà a sentirsi anche dopo che si saranno sciolti. Sono loro, e i molti gruppi come loro, a portare avanti il punk. Ma anche quando il punk fa un passo indietro, come sembra succedere sempre, non mi sembra sbagliato non dargli la nostra attenzione. Il punk è come la democrazia. È una grande idea egualitaria. Non funziona sempre, a livello pratico. E questa elezione ne è stata un terribile esempio. Ma, come per la democrazia, vale la pena combattere per il punk. Impegnarsi e provare a migliorare le cose. Nel 1977, Penny Rimbaud era un hippie, artista ed ex professore. Aveva trentaquattro anni. Un suo amico, Phil Russell, venne arrestato ingiustamente e morì tragicamente in prigione. Fu un'esperienza che spinse Rimbaud a trovare forza nell'energia del punk che lo circondava, in quell'Inghilterra nel pieno dell'era dei Sex Pistols. La sua unica esperienza musicale pregressa era un ruolo in un collettivo avant-garde chiamato Exit, qualcosa che aveva più a che fare con l'arte performativa che con la musica. Nonostante questo, Rimbaud co-fondò i Crass, una delle band più dirette e attive politicamente della storia del punk. Il loro obiettivo non è mai stato quello di creare musica "di qualità", e non hanno mai sperato di impattare il mainstream come succede agli artisti pop. Hanno fatto quello che hanno fatto perché si sentivano intrappolati, con la schiena al muro a livello sia economico che politico: una sensazione inasprita dall'esperienza di Margaret Thatcher, che segnò i tardi anni Settanta inglesi. Rimbaud trovò nella musica e nel punk un canale attraverso cui amplificare la sua rabbia nei confronti del sistema politico. "Non avevamo la minima intenzione di diventare una band, sai, con tutte le regole e i finimenti che le band devono avere. Non è mai stata una nostra ambizione, neanche per un minuto," disse Rimbaud in un'intervista del 2007. "C'era gente che veniva da noi e ci chiedeva, 'Posso unirmi a voi?ì, e non importava se sapessero fare qualcosa a livello musicale. Sembrava non avere senso. […] Se qualcuno diceva di voler suonare la chitarra, bé, era quello che doveva fare. Andy [N.A. Palmer], che era il nostro chitarrista ritmico, non ha mai imparato un accordo nei sette anni che abbiamo fatto in tour assieme. Non gli interessava molto. Ma faceva un rumore bellissimo." Un rumore bellissimo. Ecco cos'è il punk. Ecco la sua semplicità. Ecco il suo potere. Il punk è stato fondato sull'idea che l'assenza di un'abilità tecnica non dovrebbe dissuadere nessuno dal salire su un palco. E questo è più importante ora che mai. Certo, ci sono molte forme musicali disponibili per chi non ha esperienza—basta accettare il fatto che ci vogliono anni di prove e un attento affinamento delle proprie capacità per sperare, un giorno, di poter salire su un palco prima di avere la possibilità di arrivare abbastanza in alto da essere presi minimamente sul serio.

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​Quando si tratta di coinvolgere il proprio pubblico, tutte le forme di musica popolare contemporanee si riducono a una verità: diventa abbastanza bravo, e poi potrai iniziare a far parte di qualcosa. Prima che la tua musica abbia un minimo valore, devi avere raggiunto un livello basilare di competenza richiesto dal genere. E la maggior parte di questa logica nasce da uno standard commerciale, da una gerarchia sintomatica del classismo e dell'ineguaglianza sociale, le stesse barriere che chiudono l'America di oggi. Siamo abituati a sentirci a nostro agio come consumatori, a riconoscere e accettare silenziosamente il golfo che divide i musicisti dal loro pubblico. E non è una coincidenza se l'indignazione più cruda e nuda sia raramente accettabile all'interno di questo paradigma. Mettere rabbia in musica, ci è stato detto, è come suonare in modo rudimentale: va tutto lisciato, eufemizzato, codificato, reso gradevole. Ovviamente, come ci viene implicitamente suggerito in continuazione, non sarebbe semplicemente meglio se smettessimo del tutto di fare musica incazzata? Il punk, invece, ha nel suo DNA un unico mix di accessibilità e rabbia. È un campo di gioco accessibile a chiunque. Il mio unico problema con il modo in cui il punk si è sviluppato nei decenni che ho passato nella scena, non è il modo in cui si è "svenduto" o e "diventato pop." È il fatto che il prezzo da pagare per entrare in un gruppo, a livello di capacità musicale, si è innalzato in modo lento e costante. Più il punk è diventato qualcosa di grosso, più si è allontanato dall'idea che la trascuratezza e il caos potessero essere delle virtù musicali. Detto questo, è comunque uno dei generi più facili da iniziare a suonare senza avere alcuna esperienza pregressa. È ugualmente importante il fatto che sia particolarmente economico. È uno dei motivi per cui il punk è così pieno di vita, ora che la disuguaglianza economica sembra pronta ad aumentare ancora di più grazie a Trump, ora che abbiamo più bisogno che mai di voci non privilegiate. Qualcosa vi fa incazzare? Potete prendere in mano qualsiasi chitarra, basso, batteria o tastiera di merda e iniziare a fare punk immediatamente. La tastiera può avere tre tasti. La chitarra può avere due corde. Il basso può averne una. Attaccateli a un amplificatore da venti dollari con il volume al massimo. Potete imparare il power chord, il mattoncino-base del punk, in un giorno e usando solo due dita. Ma non che il punk richieda necessariamente di usare il suo mattoncino-base, come dimostrano i Crass. Poi c'è la voce. Il punk non chiede nulla a chi lo canta se non la volontà di essere lì, sul palco. Non dovete avere una melodia. Non dovete essere poeti. Non dovete nemmeno essere sicuri di voi. Al punk non importa. Potete fare punk per ispirare, comunicare, catalizzare, o solo per sfogarvi. Facendo casino. Un cazzo di casino glorioso.

La frammentarietà, la crudezza e la bassa qualità della strumentazione non sono solo permessi, nel punk. Sono celebrati. Sono parte della sua estetica. Oserei dire che sono persino essenziali. La mia famiglia è sempre stata povera. Molto povera. Povera a livello da essere costantemente sfrattata e senza la sicurezza di avere del cibo da mettere in tavola. Da piccolo, l'accessibilità economica del punk significava molto per me. Erano gli anni Ottanta. Adoravo artisti come David Bowie e Prince. Ma ho mai pensato di poter suonare musica come loro, con il loro look immacolato, e i loro vestiti, e i loro strumenti e le loro canzoni? No. Mi ci è voluto il punk per rendermi conto che potevo prendere possesso—non nascondere o reinventare artisticamente—la mia povertà. Il punk è diventato la mia catarsi. Ha una qualità viscerale che non riesco a trovare in nessun altra cosa. Ovviamente non è l'unica musica che può contenere un messaggio di protesta, e ovviamente suonare punk non sarà mai abbastanza di per sé. Ma è un punto d'inizio, specialmente per chi ora come ora non ha tempo di raffinare le proprie capacità. Il punk non solo ti prmette di attaccare e abusare dei tuoi strumenti—lo incoraggia. Li pesti, cazzo. Ci sudi e sanguini sopra. E se si rompono, non è difficile permettersi un altro pezzo di merda da due soldi per rimpiazzarli. Nemmeno il portatile più scrauso, dovesse essere quello lo strumento che avete scelto, è difficile da sostituire. Da piccolo, mentre prendevo a manate il mio ammaccatissimo basso usato, mi resi conto della magia insita nell'immediatezza del punk. Non c'è bisogno di affinare riff e testi per settimane e settimane in cerca di una perfezione. Puoi mettere insieme un gruppo e qualche canzone e fare un concerto settimana prossima. Cazzo, questa settimana. Grazie al punk puoi reagire in tempo reale molto di più di quanto altre forme musicali te lo permettano. Non voglio dire che il punk è superiore a qualcosa—ma se parliamo in termini di utilità e reattività, è la prima cosa che mi viene in mente. Ed è importantissimo in questi tempi fatti di news che ci aggiornano costantemente sul nuovo efferato crimine d'odio, o sull'ultima nomina nel circolo d'odio attorno a Trump. Perché sappiamo tutti che questo è solo l'inizio. Immaginatevi quanto poco senso avrebbe restare a casa a provare una marcia di protesta prima di uscire a farne una sul serio. Il punk non è solo musica di protesta, è l'equvalente musicale di una marcia. È una cosa di cui abbiamo bisogno all'improvviso, con urgenza, senza troppo ordine. E, con l'elezione di Trump, ora ne abbiamo bisogno. Ovviamente il punk non è l'unico modo attraverso cui possiamo protestare in forma musicale—ma è uno dei pochi ad essere aperti, ora come ora, a chiunque e a partire da domani. Tutto questo potrebbe non portarci a un'era d'oro del punk. Nonostante questo, a meno che siate dei bigotti o dei miliardari, i prossimi quattro anni non saranno l'era d'oro di un cazzo di niente. Suonare punk è uno dei modi più immediati e diretti grazie ai quali la gente può esprimere la propria rabbia, indignazione, disperazione e frustrazione in faccia al mondo. La presenza di un pubblico, la soddisfazione dei giornalisti musicali e le liste di fine anno dei grandi siti non importano a niente. L'unica cosa che importa è quello che potete fare immediatamente per darvi forza, galvanizzarvi, darvi energia per l'imminente carica dell'America di Trump. Perché fare un rumore bellissimo, un rumore legittimo, un rumore caotico e impreparato e apposito e gioiosamente disturbatore, è una delle poche e preziose cose che possono allontanare la disperazione di quel poco che basta a resistere un altro giorno.

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