La poetica dell’opera aperta di Umberto Eco nella musica elettronica

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Musica

La poetica dell’opera aperta di Umberto Eco nella musica elettronica

La sperimentazione sonora di metà Novecento influì anche sul pensiero di uno dei più importanti protagonisti della nostra letteratura, che si interfacciò in prima persona con i suoi fautori.
GC
London, GB

Alla fine degli anni Cinquanta, Umberto Eco entrò in contatto, lavorando negli studi RAI di Milano, con i maestri Luciano Berio e Bruno Maderna, tra i primi fautori del movimento elettroacustico nel nostro Paese, e conseguentemente, oltre che con la loro musica, con quella di Stockhausen, Boulez, Pousseur (protagonisti della nascita della musique concrète), altri pionieri del genere elettronico di prima data che si trovavano spesso a passare da quelle parti. Berio e Maderna fondarono proprio in quei luoghi il famoso Studio di Fonologia, sulla scia dei centri istituiti già a Parigi e Colonia.

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Si stava scatenando un processo culturale rivoluzionario, attraverso la sperimentazione sonora della Neue Musik e del proseguimento della ricerca già avviata, tra gli altri, da Edgar Varese e John Cage. Lo stesso Eco definì Cage "il gran sacerdote del caso", in grado di rendere musica il silenzio e l'improvvisazione; una filosofia, più che una tecnica, che avrebbe influenzato la storia della musica del Novecento fino ad arrivare al jazz.

La musica elettronica, prima ancora che diventasse un genere a sé stante (o quanto meno prima che assumere dei contorni a cui siamo più abituati nei nostri giorni), era ricca di questi aspetti metodologici. Il prologo alla nascita della musica elettroacustica coniugava lo studio quasi scientifico da parte dei suoi procreatori di una forma che contrastasse quella musicale/tonale più tradizionale. Di lì a poco si sarebbe diffusa in modelli più celebri, come la kosmische musikdei Tangerine Dream e dei Kraftwerk. In Germania, del resto, aveva da decenni preso vita la scuola di Darmstadt, dove Werner Meyer-Eppler suggerì la forza dell'alea nelle opere d'avanguardia sonora, ossia l'aleatorietà causata da uno sviluppo che non contempli un indirizzo stabilito aprioristicamente.

Il denominatore comune per ognuna di queste ricerche innovative ruotava costantemente intorno a quanto Eco definì la poetica dell'opera aperta, destinata a toccare corde inusuali dell'evoluzione musicale e del campo artistico in generale. Ogni interpretazione è potenzialmente illimitata e va intesa come una forma di esecuzione. L'opera rivive una nuova prospettiva attraverso la comunicazione con il fruitore, assume una terza cornice. Pousseur li chiamava "atti di libertà cosciente", concettualmente riproducibili nella nostra mente in qualsiasi altra forma, liberi di muoversi.

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Un pensiero che sembra calzare con la metafora letteraria di Eco e con ciò che succede anche in Joyce (in Ulysses e Finnegans Wake), nella musica seriale e nella pittura informale: l'arte diventa un dialogo indeterminato, destrutturato. Deleuze e Guattari la definirono più tardi deterritorializzazione: simboli e concetti mossi puramente dall'ingegno della destrutturazione simbolica, che nel loro trait d'union portano a compimento un risultato concretamente vero, spoglio di canonicità.

La musica elettroacustica suscita questo sin dagli inizi: la polivalenza del messaggio estetico, più che della forma in sé, non è lontano da quanto avevano sperimentato nel Romanticismo tedesco Beethoven, Mozart, Haydn e da quanto continuarono su questi rimandi Liszt e Berlioz poco più avanti. Le metafore sonore e la forza motrice dell'immaginazione dominano un nuovo corso di idee che illuminano un percorso ancora molto ancorato all'irriducibile potenza delle parole, dei testi di accompagnamento. L'arte diventa un monito per aprire la mente, non per circoscriverla in un confine di cui già fa parte. Non comprimerla, inibire con l'aspettativa che debba mantenere determinati canoni, ma uscire dagli stessi, rendere la sua capacità di valorizzare l'immaginazione più vicina all'inesauribilità.

Berio trovava analogie tra questo fenomeno e quello del comune linguaggio parlato: così come le parole sono simboli arbitrari scelti da noi in base ad un processo di relazione ai suoni, lo stesso, nella musica elettroacustica, è possibile attuarlo con il connubio tra strutture di note e modalità di impostazione non convenzionali delle stesse. Il continuum sonoro non è ascrivibile ad una regola, ma tecnicamente libero a ogni pensiero interpretativo.

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Proprio questa pluralità di effetti e di concatenazioni sembra mancare alla definitezza tangibile dei generi e degli stili musicali più immediati, dove per la maggior parte dei casi non esiste uno schema scindibile, interpretabile, che vada oltre l'opera stessa. Si rimane confinati nei presupposti della logica, sia tecnicamente che concettualmente, restringendo il campo delle vere dispute emozionali e dei suoi effetti. Il concetto di base di un'opera "tradizionale" viene portato a termine in una durata ben stabilita (la musica radiofonica, per definizione, deve durare 3 minuti, per esempio), che oltre quel racconto non crea una prospettiva fuori dalla sua stessa cornice. Non entrano in azione altre componenti che dovrebbero stabilire una sintonia e uno stimolo strettamente cerebrale. La parte più immediata di un testo o di una struttura musicale del pop (agli antipodi del discorso aperto) è quindi la medesima entro i cui confini si troverà la risposta alle sue intenzioni, non è concepita per evadere da questa essenzialità.

L'enfatizzazione di tale processo è, in altri modelli accettati in modo univoco dalla nostra percezione, un fenomeno quasi utopistico. Per dimostrarlo, nel 1958 Eco studiò e realizzò insieme a Berio Thema (Omaggio a Joyce), elaborazione elettroacustica incisa su nastro magnetico con la voce di Cathy Berberian (mezzosoprano, moglie di Berio durante quegli anni). Originariamente pensato per diventare una trasmissione radiofonica di lettura a fuga (come nel testo di Joyce), è la prova di due idee simultaneamente protagoniste (quella linguistica e quella dei suoni) che parallelamente si dislocano nei loro ruoli, senza seguire una partitura obiettiva. La decomposizione e l'accostamento degli elementi danno vita ad una dinamica a sé stante, molto simile a quella contrappuntista, dove comporre e ricomporre in maniera diversa causa l'effetto di straniamento dal normale. Una metamorfosi di due fattori che trasversalmente generano i loro spazi: parola, suono, poesia e musica non sono più distinguibili, ognuno in proiezione libera della propria natura.

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Quando Eco nel 1962 scrisse infine Opera Aperta, si riferiva proprio a questo modus operandi dell'arte—tutta—che stava nascendo in quel periodo, alle sue sconfinate idee di associazione, che rendevano il fruitore una parte attiva e pensante. L'esatto opposto della comfort zone del pop più estremo (e della sua cultura) e dei generi regolarmente più fruibili. L'artista, in qualsiasi forma d'arte, consegna al ricevente un significato espressamente dischiuso alla percezione, antidogmatico, che attraverso l'intervento dell'interpretazione può subire un'indefinita possibilità interpretativa. I valori ascritti a questo tipo di poetica richiedono perciò maggiore attenzione, come successe quando Brian Eno descrisse l'ambient music "tanto facile da ignorare quanto interessante", perché nessuno era così abituato ad ascoltare attentamente un pezzo che in cinque minuti cambiava natura da un momento all'altro, in maniera polimorfica. La trama non era predeterminata e diretta da una necessità di coerenza, di sintesi, e questo era un problema.

Eno diceva a questo proposito che l'unico modo che abbiamo per uscire dai muri di razionalità dentro cui ci precludiamo di stare è servirci dell'arte per abbatterli. L'ambient prende corpo partendo proprio dalla sottrazione del necessario e dal conseguente incremento dell'arbitrarietà rappresentato dall'arte. Solo qualche settimana fa, ha accompagnato al nuovo album Reflection un'app in grado di generare lo stesso brano musicale in versioni potenzialmente infinite, sempre diverse, ogni volta che la si voglia ascoltare. La versione "generative", appunto, che altro non è che l'opera aperta traslata nel nostro futuro. La sfida ad interpretare un'elaborazione che non sta riproducendo qualcosa già sentito - ma si sta rigenerando - è ciò che è insito nella fenomenologia mossa da Eco, più di mezzo secolo prima.

Il rapporto tra uomo e macchina, mente artistica e mente interpretativa, sono solo alcuni dei punti che mette a fuoco la poetica dell'opera aperta del filosofo piemontese, ispirato da quanto la musica elettronica stava definendo già a metà Novecento. Del resto, come disse Bill Bernbach, pubblicitario statunitense protagonista della rivoluzione creativa proprio negli anni Cinquanta, "le regole sono quelle che l'artista spezza; nulla di memorabile è mai uscito da una formula".

Giovanni scrive di musica per il sito AuralCrave. Seguilo su Twitter: @storiesonvenus.

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