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Musica

Suonare insieme agli animali potrebbe salvare il nostro pianeta

È proprio vero che il jazz l'abbiamo inventato noi umani?

Se credete pazzo chi parla agli animali, non leggete questa storia e continuate pure con i vostri dibattiti interessantissimi sul nuovo iPhone. Non mi considero un ecologista fricchettone, ma un appassionato che ha ricevuto una specie di rivelazione. Vi spiego di cosa si tratta.

Le poche testimonianze registrate di quelli che ci hanno parlato, con gli animali, hanno dimostrato che ripristinare una valida comunicazione tra le specie non è solo una delle chiavi per cercare di non accelerare troppo la fine del mondo: aprire i propri orizzonti musicali a ciò che potrei definire free jazz "ecologico" può portare alla creazione di dischi bellissimi. Quindi, insomma, consolidare il rapporto tra musica e animali, in un certo senso, è una situazione vincente da ambo i lati: se condotta bene, questa operazione ci permette, con un solo colpo, di pensare alla salvaguardia del Pianeta e, allo stesso tempo, rendere meno noiosa la musica prodotta dagli umani.

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Fermi tutti però. Non voglio più vedere scene come quella del povero Alaskan Malamute recentemente costretto ad un duetto straziante con Red Canzian, né trovo utili far suonare il basso dei Red Hot Chili Peppers ad un gorilla (anche se comunque è meno fastidioso di Flea mentre lo suona). Non parleremo dei Caninus, un po' perchè non è questa la sede, un po' perchè quando Basil (uno dei due pittbull) è morto, non aveva davvero più senso continuare con la band dato che i latrati dei cani erano la cosa più interessante che c'era nei loro dischi.

Per ragioni diverse invece, non spenderò parole su James Kirby e il noise fatto dai maiali perché è roba troppo strana, a tratti pericolosa, e se vi dicessi cosa ne penso dareste anche a me del pazzo (anche se forse, visto l'argomento di cui stiamo parlando, state già sospettando che lo sia). Cerco invece risposte a domande difficilissime e piuttosto serie. Cos'è la musica, chi l'ha inventata e se è proprio vero che il jazz lo suoniamo solo noi umani. Uomini e animali possono suonare e cantare insieme? La musica fatta da uomini e animali può aiutare i primi a salvare i secondi e viceversa? Personaggi come Jim Nollman, Judy Collins o David Rothenberg sono outsider visionari oppure la musica che hanno suonato insieme agli animali è di fondamentale importanza per la salvaguardia di ciò che resta del pianeta? Si possono ascoltare bei dischi di uomini e animali? (Spoiler: sì). Risponderemo in a queste domande piano piano. Se lance e frecce furono scoperte 1.7 milioni di anni fa, i flauti furono un'acquisizione molto successiva. Pare che i più antichi abbiano appena 40.000 anni. Nel frattempo niente musica? Difficile crederlo. Assenza di strumenti non significa assenza di suoni e rumori. Le prime società organizzate dai nostri antenati si basavano certamente su una comunicazione appresa dagli animali. I loro versi, esattamente come per le altre specie, avevano la funzione di "trasmettere" le emozioni all'interno di gruppi sociali che diventavano sempre più vasti per organizzarli e gerarchizzarli. Fu questa la ragione per cui i primi ominidi si misero a fare "versi". Differentemente dagli animali, ma la differenza è solo linguistica, gli umani iniziarono a sistematizzare quei versi per vari scopi (il linguaggio) e chiamarne alcuni, i più organizzati e piacevoli, musica. In verità gli studiosi non sono d'accordo su quale dei due linguaggi, quello animale e quello umano, sia l'originale e quale la copia. Lo studio delle abitudini di uccellini, scimmie, capodogli e altri animali cantanti ha dato risposte diverse. Per non svaccare ci soccorre una definizione semplice. Nel 1983, Bernard Mache, un compositore francese, disse: "Se ammettiamo che la musica è un fenomeno diffuso in altre specie oltre all'uomo, questo mette molto in crisi la nostra idea che sia solo la specie umana a farla e di conseguenza il pensiero che abbiamo sulle società animali". Sembra far supporre che la ragione per cui gli animali facciano la loro "musica" sia la stessa che spinse i primi uomini. Ma gli studiosi "professionisti" non hanno dato un contributo decisivo a chiarire la questione. Per fortuna ci sono stati degli "hobbisti", definiti dai "professionisti" nella migliore delle ipotesi dei visionari, che hanno provato a cambiare punto di osservazione, capovolgendo l'antropocentrismo dominante. Si sono messi in ascolto. Grazie all'evoluzione della tecnica che ha permesso di registrare, si è addirittura arrivati a scrivere ed eseguire musiche "interspecie".

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Nessuno di questi esperimenti salverà il pianeta ma tutti hanno dimostrato che imparare a conoscerlo meglio, senza necessariamente rivendicare per "noi" uno spazio più ampio del dovuto nel consesso naturale, è un ottimo metodo per provarci senza far danni. Se poi consideriamo che ne sono usciti esempi "weird" seppur interessantissimi a livello musicale, gli indizi diventano prove del fatto che la questione sia di primissimo ordine.

Animali del mare

1979, British Columbia. Jim Nolmann si immerge nelle acque gelide per suonare con le balene

1987. Un freddo della Madonna. Stretto di Georgia, British Columbia. Jim Nollman sta trafficando con la sua chitarra. Sotto la barca ci sono diversi speaker subacquei. A pelo d'acqua arrivano le orche. Sono bellissimi animali in bilico, minacciati dalla pesca selvaggia, dall'inquinamento, dall'aumento delle temperature dei mari. In poche parole, dall'uomo. "Dobbiamo provare a pensare che la nostra crisi ambientale sia una crisi percettiva", dice Nollman, "finora non abbiamo trovato un tramite efficace con la natura. È necessario spezzare la barriera che separa l'uomo dall'animale, il soggetto dall'oggetto". Poi continua: "Picasso diceva che l'arte è la più grande menzogna che si usa per dire la verità; ecco perchè suono con le orche. Perchè dobbiamo cambiare la nostra percezione della natura se la vogliamo preservare. Imparare come gli animali comunicano è l'unico modo per mostrare chiaramente quali sentimenti provano. Perchè proprio come l'uomo agli inizi, la loro è una comunicazione non verbale, un linguaggio organizzato di suoni, una musica insomma".

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Diminuirebbero le persone disposte a sparare un arpione nella pancia di una balena (per fare un esempio crudo ma efficace) sapendo, per averci suonato insieme e "alle nostre condizioni", che la loro musica esprime sentimenti come la nostra? Forse sì.

Nollman ha trascorso trent'anni in mezzo ai mari artici cercando di decifrare la musica di beluga, balenottere, balene e capodogli. Finendo poi per concludere che "condividiamo i rudimenti base del linguaggio". Quella che sembra —ed è effettivamente— musica "è un punto d'incontro tra specie diverse su un terreno comune".

Poi c'è l'altro aspetto, ovvero quello "ecologista" (termine comodo seppur pieno di ipocrisia - NdR): "Siamo partiti per preservare i beluga e il modo migliore che abbiamo finora trovato è stato attaccargli addosso un radiocollare per monitorarli". Un approccio radicale (come l'improvvisazione… vedremo più giù…) quello di Nollman, un guanto di sfida a certe pratiche della cosiddetta "scienza ufficiale". Tornando alla frase di Picasso, in questo caso il modo alternativo per dire la verità (ovvero che stiamo distruggendo il pianeta), può anche non consistere in una raccolta fondi per piantare alberi o salvare tonni, ma, semplicemente nell'ascoltare la musica della natura. Paradossale nella sua semplicità. Continua Nollman: "Suono con i capodogli e loro mi rispondono. Non so ancora cosa dicono, ma ormai posso intuirlo in base alle frequenze che emettono in risposta alle mie. Studiando ho capito che alcune rispondono in maniera ricorrente ad altre".

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Forte della convinzione che cetacei e umani abbiano un linguaggio comune, ha portato la sua barca per sei estati consecutive in mezzo ai ghiacci della British Coloumbia con l'idea di trasmettere suoni sott'acqua alle orche per sentire le risposte e decifrarne il linguaggio. Accadeva ogni sera alle dieci. Risultati? Dagli scienziati "veri" principalmente critiche. "Mi ricordo di un famoso biologo che era interessato al progetto, ma lamentava la mancanza di metodo scientifico nei nostri esperimenti. Io gli ho risposto che la ripetizione dell'esperimento è naturalmente incostante perché un animale, proprio come un jazzista, non suona mai due volte la stessa nota allo stesso modo. Ma credo che non abbia capito cosa volessi dire".

Con gli appassionati di musiche "altre" a Nollman è andata meglio. D'altra parte egli è tutt'altro che un pazzo, o peggio, un alternativo dell'ultima ora alla ricerca di esotismo ecologico da vendere al miglior offerente. La sua idea è molto precisa. E, vi dirò, ha registrato almeno un disco che dovrebbe stare in ogni casa come gradino fondamentale verso un mondo migliore: si intitola Playing Music With Animals: The Interspecies Communication Of Jim Nollman With 300 Turkeys, 12 Wolves, 20 Orca Whales e dentro c'è una specie di nuova Arca di Noè. "Froggy Went-a-Courting" eseguita da un coro di 300 tacchini, un intero branco di lupi che funge da sezione fiati per le improvvisazioni di un'antica vihuela (un chitarrino spagnolo), vocalizzi di orche su droni di chitarre e beluga che suonano meglio di qualsiasi doom moderno, persino balenottere che compiaciute si fanno il controcanto, creando un groove subacqueo che ricorda da vicinissimo il dub.

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Non è stato l'unico né il primo, ma sicuramente Nollman è uno dei più agguerriti. La sua storia ci è servita per aggirare le difficoltà di questo discorso e fornire subito un esempio pratico. Abbiamo seguito il suo consiglio implicito che risuona come un monito: umano, siediti e ascolta l'orchestra degli animali. In questo ensemble sei arrivato per ultimo, e devi fare ancora molta strada per diventare il direttore. Anzi, considerando che finora tutti i tentativi che hai fatto per interagirvi sono stati abbastanza scarsi, sarebbe meglio che ti mettessi un po' da parte.

Creature dell'aria

"Have you ever wondered about pigeons? I love these birds. Do you know that they communicate with each others through sound?" John Rugman1.

Olivier Messiaen (1908-1992) era un un compositore e ornitologo. Fu anche un autentico freak. Il suo stile a dir poco eclettico lo spinse, in tempi non sospetti, alla scoperta del gamelan, fu pioniere della synth music sperimentando con le onde Martenot, ma da devoto naturalista cattolico quale era, dedicò buona parte della sua vita ritirata allo studio del canto degli uccelli. Perché?

Studiando la musica indiana e quella che facevano i greci in epoca classica, si accorse che esistevano scale musicali particolari, chiamate "modi a trasposizione limitata", nelle quali l'incontro e la sovrapposizione di particolari accordi suscitava in lui l'impressione di visualizzare determinati accostamenti di colore. Esplorando la relazione tra ascolto e gli altri sensi percettivi smise di considerare il metro soltanto come una successione regolare di impulsi forti e deboli. In assenza di pulsazione la musica è in grado di descrivere l'eternità dal punto di vista poetico e spirituale. Qualcosa che è veramente simile al modo in cui anche gli uccelli (e gli animali in genere) dialogano tra di loro. Messiaen era convinto che i volatili cantanti fossero i più grandi musicisti sulla terra, oltre a considerare se stesso più un ornitologo che un compositore. Per lui la natura era "la fonte primigenia del suono".

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Dopo anni di viaggi in tutto il mondo passati a registrare il canto degli uccelli, nel 1953 scrisse Réveil des Oiseaux (Il risveglio degli uccelli), composizione per orchestra umana (!) che è in pratica la trascrizione dei canti dei volatili che aveva potuto ascoltare tra mezzanotte e mezzogiorno in mezzo alle montagne del Massiccio del Giura. Musicalmente è un colosso: tredici brani per un totale di circa tre ore. Ogni solista (uccello) è presentato nel suo habitat, circondato dal suo paesaggio e dei canti degli altri uccelli presenti nella stessa regione. Il compositore francese, per trascrivere tutto, ha operato una classificazione, che poi è il nostro secondo indizio a favore della teoria secondo la quale gli animali farebbero musica da ben prima che noi iniziassimo a chiamarla con questo nome. Proprio come in un'orchestra, direbbe l'osservatore umano, il palcoscenico degli uccelli è diviso tra chi "grida" ("sono soluzioni spesso laboriose e sempre sorprendenti sul piano ritmico e timbrico", dice Messiaen); chi accompagna ("in strofe di lunghezza variabile" - il coro) e i solisti, i grandi "cantanti", che per importanza occupano buona parte dell'opera. Salvo qualche rara eccezione, tutti i canti trascritti da Messiaen sono rigorosamente autentici, anche se trasposti su una scala "umana" per quanto riguarda gli intervalli, le densità e le durate. Sono pure autentici i montaggi in duo o in tutti e i paesaggi che li circondano. Nei tredici pezzi del ciclo si contano 77 uccelli differenti.

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Messiaen, in pratica, ha seguito passo passo, minuto per minuto, la marcia vivente delle ore del giorno e della notte. Ha trascritto la musica animale intuendone la dinamica. Ne è uscita un'opera modernissima che presenta rivelazioni continue. Emozioni che si susseguono in una musica astratta che potrei definire —per i fanatici di questo sport— come avanguardia senza tempo. Una specie di geniale intuizione progressiva, uno strano linguaggio atavico, incomprensibile ma perfettamente riconoscibile e, come se non bastasse, assolutamente condiviso da entrambe le specie. Non sono gli animali parlano; fanno anche musica migliore della nostra. Un caso destinato a ripetersi.

Per i suoi meravigliosi parchi, Berlino è forse il luogo migliore in Europa per fare musica dal vivo con la più straordinaria orchestra di uccellini entusiasti sulla piazza, quella degli usignoli. Anche se le jam notturne tra uomini e usignoli non sono state moltissime nel corso della storia recente, esiste la dimostrazione che qualunque cosa tu canti o suoni a un usignolo, questo lo incoraggerà a cantare di più. Siamo dunque sempre più vicini alla rivelazione che cercavamo, la dimostrazione di una possibile interazione interspecie in un dialogo musicale, del quale entrambe le parti condividono le regole di fondo. In pratica stiamo dicendo che gli usignoli sono dei jazzisti, capaci di comportarsi come i loro colleghi umani a tal punto da potervi "suonare assieme" in un modo che assomiglia da vicino alla nostra improvvisazione. Accettata questa premessa, è facile ipotizzare chi abbia copiato da chi e come dovrebbero andare le cose su questo pianeta in termini di gerarchie. Due piccioni con una fava.

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David Rothenberg è un musicista non convenzionale. Come Nollman di cui abbiamo blaterato all'inizio, anche lui ha percorso strade laterali nelle quali la musica ha incrociato la biologia, l'osservazione della natura e non secondariamente, ragionamenti sull'ecologia molto più efficaci, al mio semplice orecchio, di qualsiasi campagna contro l'estinzione di questa o di quella specie. Quello che fa Rothenberg è commovente e la musica nei suoi dischi bellissima, misteriosa, rivelatrice. Sbilanciamoci: in un presente musicale piuttosto arido e particolarmente devoto a futili culti basati sul veloce costume del momento, dischi come i suoi sono piccoli tesori. Ascoltandoli, oltre a godere di pregevole impro elettroacustica, si traggono anche interessanti suggerimenti su quanto questo antropocene nel quale abbiamo costretto il pianeta faccia veramente cagare. Dal punto di vista strettamente evolutivo, anche considerando i progressi della tecnologia eccetera eccetera, non abbiamo fatto un granché. Non siamo neanche riusciti a capire per davvero il linguaggio degli animali, nonostante la nostra musica classica prima e il jazz successivamente abbiano rappresentato un potenziale aiuto su questo versante. Ascoltando i lavori di Rothenberg si riesce a percepire la fragilità del circostante, raggiungendo, traccia dopo traccia, la consapevolezza che il linguaggio animale tradotto in musica è un tassello fondamentale per il nostro futuro su questo pianeta.

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Nel 2014, forte di questa convinzione, Rothenberg (che comunque è un musicista e non un biologo) ha trascorso una stagione intera a improvvisare con il suo clarinetto basso e una orchestra (a formazione variabile) composta da centinaia di usignoli. Il lavoro finale, proprio come si fa nell'improvvisazione radicale umana, è stato ulteriormente aggiornato in studio con l'elettronica ultra moderna di Khoran Erel. Il risultato è sorprendente, comunque lo si voglia leggere.

"Ci sono tre diversi modi in cui gli usignoli cantano e controcantano tra di loro. Iniziano a tarda notte e finiscono all'alba durante le prime settimane di primavera. Molti maschi sono 'inserter', nel senso che iniziano a cantare solo un paio di secondi dopo che è finita la canzone del vicino d'orchestra. Le canzoni passano da un solista all'altro. Poi ci sono gli 'overlappers' che iniziano a cantare appena un secondo dopo che il vicino ha iniziato la sua melodia in modo da coprirla e amplificarla, oppure jammare sull'armonia del collega. Poi ci sono i solisti, che cantano secondo il proprio gusto interiore, non curandosi minimamente di cosa faccia il vicino". A leggerla bene sembra la perfetta descrizione di musicisti che potresti incontrare sul palco durante una improvvisazione free: c'è quello che ti dà spazio e suona con te le melodie, quello che cerca di interrompere qualsiasi cosa tu faccia e poi c'è il fuoriclasse che non ascolta nessuno se non i suoi assoli.

Berlin Bulbul, stampato dalla Gruenrekorder (e da chi se no?) nel 2015, racconta di un dialogo sottovoce intensissimo, una specie di orchestra free brulicante di segnali interspecie, musica naturale viva, spinta addirittura oltre dai fremiti elettronici che scorrono tra primo e secondo piano. Animali, umani e perfino computer, tutti a suonare insieme.

Per inciso, Rothemberg è un decano del free jazz umano-animale. Se volete conferme ascoltate Cicada Dream Band, con la fisarmonica dronante di Pauline Oliveros, le voci di Timothy Hill e i canti di quelle cicale che escono per farlo solo ogni 17 anni. Non solo mi ha commosso, ma l'ho trovato anche attualissimo, musica fresca, banalmente migliore di tantissimi tentativi nel campo dell'impro fatti da soli umani che, anzi, dopo questi dischi mi sono sembrati più tristi.

Suonare con gli animali è possibile. Come sia in particolare improvvisare con gli uccellini ce lo dice ancora Rothenberg: "È una finestra aperta sull'ignoto, una comunicazione con creature con le quali non possiamo parlare, ma delle quali capiamo perfettamente il linguaggio. Nel loro mondo i toni puri che stridono contro i click e i buzz non sono un codice, ma un 'groove', un anfiteatro di ritmi nel quale un musicista umano deve sgomitare per trovarsi uno spazio. Riascoltando le improvvisazioni in studio, abbiamo avuto la possibilità di connettere davvero con le menti degli uccelli: ascoltare un usignolo zittirsi per far cantare il vicino di ramo ci ha incoraggiati, offrendoci la convinzione che anche questo pianeta sia un enorme concerto naturale e che il suo equilibrio possa essere letto come un'unica musica vivente nella quale tutte le creature, uomo compreso, possono trovare il loro spazio per cantare, a patto di stare al proprio posto".

Come dire: gli usignoli non si zittiranno mai, perchè loro sono nati per cantare. Noi possiamo partecipare alla jam, ma dobbiamo andarci piano perché, tanto a livello ecologico quanto a livello musicale, siamo capaci di veri disastri. Anzi, forse, in entrambi i campi, dovremmo essere così onesti da fare un passo indietro e provare a percorrere strade nuove. Magari non intasate dal traffico.

1 Un mio caro amico, ndr.

Piero apre le menti e stura le orecchie tutti i giovedì pomeriggio e ogni maledetta domenica notte su Radio Blackout e scrive di non-cultura e merda music su Karaoke 'zine.