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Musica

Su Lucio Dalla e il dovere morale del coming out

È giusto prendersela con un personaggio pubblico che non dichiara la propria omosessualità?

Le parole di Pontifex: perdiamo un grande cantante, un pessimo cristiano. (Immagine via)

Ogni tanto il link tra omosessualità e musica torna ad essere un trending topic nelle teste dei giornalisti. Questa settimana ad esempio, sulla scia degli anniversari di Lucio Dalla, si è risollevata una discussione riguardante la sessualità dell'artista, a tre anni dalla sua morte. In particolare è uscito un articolo di Pino Corrias sul Fatto Quotidiano, che parla di come la vita e l'opera di Lucio Dalla sia stata un "inganno," secondo le sue parole, dal momento che Dalla ha sempre tenuto nascosta la sua omosessualità, e questo è indegno, dal momento che il suo era un personaggio pubblico e la sua professione artistica gli permetteva di avere una certa libertà di espressione.

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Ci sono alcuni passaggi del pezzo di Corrias che mi lasciano abbastanza perplessa, ad esempio: "Con l’aggravante di sollecitare in noi emozioni, ma sempre nascondendoci le proprie. Parlandoci dell’amore in generale e mai del suo in particolare, schermato dietro un equivoco. L’ipocrisia è stato il suo limite." Il pezzo si regge sul perno centrale che il compagno di Dalla, Marco Alemanno, sia stato privato dell'eredità dei beni e misconosciuto dalla famiglia e dai legali.

Questo pezzo nasce sulla falsariga di una specie di pamphlet in cui Aldo Busi, nel momento caldo dei coccodrilli su Dalla, si era mosso controcorrente lanciando anatemi alla sua figura. Le maledizioni di Busi erano fondate sull'argomentazione che, se sei un personaggio in vista e sei omosessuale, il tuo ruolo dev'essere emblematico e la tua dichiarazione, il tuo outing dev'essere un dovere morale, oltre che un diritto, perché sei un riferimento per tutti gli altri gay che magari non possono dichiararsi o hanno bisogno di un modello di riferimento.

La terza voce autorevole scesa in campo è quella dell'accomodante Marco Travaglio, il quale ha scritto un breve editoriale in risposta al pezzo di Corrias riassumibile più o meno in questi concetti: Dalla era un uomo riservato, l'arte è diversa dalla vita, non ha mai nascosto di avere un compagno, e poi chi l'ha detto che era gay, era bisessuale, alcune sue canzoni erano dedicate a donne di cui si era innamorato. Detto che il siparietto volemosebbene di Travaglio mi ricorda quelli che commentano i vicini omicidi dicendo "salutava sempre", la sua uscita ha suscitato un rigurgito di Busi, che ha scritto a Dagospia (mecojoni) usando toni molto simili a quelli del pamphlet a corpo caldo di cui parlavo prima:

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"Il Dalla, abile facitore e propalatore di marcette populiste, omosessuale rinnegatore di se stesso non certo a letto ma dove conta affermarsi se si ha il talento della libertà da diffondere dando il buon esempio, cioè sulla pubblica piazza, e menefreghista doc, non ha fatto niente per i diritti civili, quindi remandovi scientemente contro, dei più deboli, tra cui quei cittadini cosiddetti gay e lesbiche che tuttora in Italia sono visti come degli appestati dalla clericalissima e corrottissima classe politica dominante che premia i “diversi” se si attengono al ruolo di macchietta o di “discreto” e “insospettabile”, che della macchietta è la ridicola esaltazione piccolo borghese ovunque, televisione, parlamento, spettacolo, Chiesa, imprenditoria, sport e, ovviamente, nel giornalismo anche più impegnato (anche se, per quanto a schiena dritta, si direbbe impegnato a raddrizzare le zampe ai cani tanta è la paura dell’omosessuale occulto di venire azzoppato lui). Morale: Travaglio stia pure con i suoi cadaveri di fatto o ambulanti che siano, un vivo come me è al di sopra della sua portata e del suo foglio. Mi tolgo di mezzo più che volentieri, e rimpiangerò solo di aver dato alla Società Editoriale il Fatto ben due libri - per fortuna, secondo i resoconti rapportati alla tiratura, andati malissimo".

E ora il quadro è completo: da una parte abbiamo Busi, estremista e irremovibile, per cui Dalla è un buffone colpevole di aver contribuito alla macchina sociale che relega il gay a macchietta e non aver fatto leva sulla sua figura artistica per reclamare dignità, diritti civili, colpevole insomma di non essersi fatto carico di una lotta. All'angolo opposto del ring si schiera lo sfidante Marco Travaglio, per cui l'arte e la vita sono due binari separati e comunque "Dalla non era "un gay." Aveva avuto molti amori per donne e per uomini". Come per dire: Busi, al limite chi si deve incazzare è la comunità bisex, la comunità dalla sessualità fluida. Al centro Corrias, meno infuocato, più padre deluso da un figlio che non si è applicato a pieno nella missione della sua vita, che a quanto pare era far coincidere il proprio percorso artistico con quello personale. Il padre rimprovera a Dalla di aver perduto un'occasione per cacciare da sé l'alone di cantautore che piega la testa a una morale cattolica che impone il compromesso di mantenere privata la sfera della sessualità, se non si tratta di una sessualità matrimoniale. Questo compromesso è quello che, nelle parole di Corrias, diventa ipocrisia, delusione e rammarico.

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Le lacrime amare di Pino Corrias

Le considerazioni sul coming out di un artista si fondano su una distinzione, anzi, su una doppia distinzione: innanzitutto i diritti e i doveri di un omosessuale sono diversi da quelli di un eterosessuale e in secondo luogo i diritti e i doveri di un artista sono diversi da quelli di una "persona qualunque", o, come dice Corrias, di un ingegnere, avvocato, fornaio, tassista, scienziato, professore o idraulico, che "avrebbe avuto mille ragioni condivisibili (e almeno una non condivisibile) per nascondere dentro la propria vita privata il segreto di essere omosessuale."

La prima parte di questa distinzione è molto pericolosa, nel senso che si basa sulla definizione del "closet", il limite valicabile dichiarando pubblicamente la propria sessualità. È diverso parlare di mantenere segreto il proprio orientamento sessuale e mantenerlo privato. L'armadio dell'orientamento sessuale può essere una prigione autoimposta nel caso in cui diventasse un sistema di sbarre formate da questioni di cui è meglio non parlare e in cui è meglio, per un quieto vivere, mantenere l'atteggiamento dominante-eterosessuale. Questa negazione è una delle maggiori disparità ancora realmente esistenti tra eterosessuali e omosessuali. La linea della privacy di un eterosessuale è molto più sottile rispetto a quella di un omosessuale, che a volte risulta talmente spessa da diventare una prigione di segretezza, più che normale riservatezza.

In questo ha ragione, a grandi linee, Busi: nel caso in cui il coming out sia evitato per timore di tirarsi addosso discriminazioni di vario genere, si attua la famosa autoghettizzazione, che da alcuni è considerato un meccanismo protettivo, ma in realtà contribuisce a non emancipare mai il gay da figura in ombra rispetto a un panorama di sessualità nella norma, sotto la luce del sole, riconosciuta socialmente. Velare la propria sessualità significa rendersi volontariamente invisibili.

L'altra distinzione che sia Busi che Corrias sottintendono è quella tra gay "in vista" e gay "non in vista". Il gay VIP è obbligato, data la sua posizione, a rendersi paladino della causa, ad autoincoronarsi simbolo della lotta per l'uguaglianza dei diritti. Questo passaggio, però, non può essere un obbligo. Se proviamo a ribaltare la questione sarebbe come chiedere ad ogni donna che occupa un ruolo pubblico di parlare costantemente della condizione femminile, e di parlarne in un certo modo. Le lotte di uguaglianza, purtroppo o per fortuna, sono questioni giocate su due grossi piani che sono quello della spontaneità, che è una dote indipendente dalla professione, dal rango sociale o dalla visibilità di un individuo, e quello dei diritti civili, per cui si presuppone che TUTTI gli individui facenti parte di una società e che la pensano in un certo modo si adoperino, indipendentemente dalla loro sessualità, dal loro genere, dalla loro condizione.

Relegando ad una persona, solo perché omosessuale e solo perché VIP, la responsabilità o la colpa di un mancato avanzamento di civiltà si rischia di fare un'operazione un po' ottusa per cui è come se questa responsabilità la si togliesse dalle spalle degli altri. Faccio un esempio: in un articolo come quello del direttore del Fatto non si è nemmeno colta l'occasione per ricordare che, indipendentemente dalla vicenda privata di una persona che ha preferito non accennare all'argomento, e sono cazzi suoi, è responsabilità di chiunque abbia a cuore la parità di trattamento far parte della lotta.

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