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Musica

Colonne Sonore Bellissime: Gomorra

Il successo di Gomorra è strettamente legato alla sua colonna sonora e alle mille sfaccettature della musica napoletana: dai neomelodici ai rapper e all'elettronica.

DISCLAIMER: Ovviamente qua sotto ci sono un sacco di spoiler da entrambe le stagioni.

Non so bene quale sia stato il punto esatto in cui mi son detto, “Cazzo, ma Gomorra è una bomba”. Forse è arrivato nelle puntate in cui l’Immortale va in Spagna a trovare Salvatore Conte, necessarie per dimostrare quanto il suo soprannome gli si addica, oppure nell’ormai classica scena della perdita della verginità di Genny. O nel momento di una delle tante, tante uccisioni arrivate a caso – quei cadaveri improvvisi che prendono la narrazione tradizionale alle spalle, le mettono un filo attorno al collo facendola annaspare e ti fanno pensare di star guardando il Game of Thrones italiano.

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Riesco, invece, a ricordare chiaramente il frangente in cui ho iniziato a prestare attenzione al modo in cui la serie utilizzava la musica: il concerto in cortile che Genny organizza per Noemi, la tipa di Casavatore di cui si è invaghito, nella terza puntata. Brillo, pompato da quegli amici che una serie dopo cercheranno di piantargli un proiettile in corpo, il pasciuto figlio del boss Savastano circuisce quella che chiama la sua “principessa” con una performance privata del neomelodico preferito di mezza Italia, Alessio, a cui viene richiesta la sua hit “Ancora noi”. Mentre la coppietta più bella di Campania suggella il proprio amore e Genny cerca di dimostrare a tutti di avercelo grosso, in carcere suo padre Pietro non riesce a salvare dal suicidio un ragazzo a cui è stata appena annunciata una lunga condanna. “Nel silenzio della notte vuoi morire / E tutto a un tratto non riesci a respirare” cantano tutti, presi bene mentre a Poggioreale un ragazzo muore di asfissia con una corda attorno al collo.

A un livello superficiale la scena è un modo piuttosto carino per giocare con quella tendenza particolarmente passé in cui i videoclip rappresentano paro paro quello che il narratore dice nel testo. Al contempo, però, l’uso di pezzi brutalmente locali come “Ancora noi” è uno strumento narrativo particolarmente efficace: spinge la serie a fare un deciso salto di qualità tramite la creazione di un immaginario realistico per lo spettatore medio, probabilmente non abituato al contesto a cui la fiction lo sta introducendo.

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L’uso dei neomelodici contribuisce a sviluppare un’efficace immagine-stereotipo dei gusti musicali del napoletano doc – quello che idolatra una serie di tamarri dall’ugola d’oro usciti da un prediciottesimo il cui floridissimo mercato è delineato, a nord e a sud, dal Lazio e dalla Calabria. Se pensiamo poi alle loro canzoni come espressione documentata del legame tra Camorra e musica popolare è facile rendersi conto di come il tessuto sonoro che accompagna le vicende di Gomorra sia tutto tranne che sottile━e invece spesso, narratologicamente pregno di informazioni e strizzate d’occhio (fun fact: stando alle dichiarazioni di un pentito, proprio Alessio sarebbe stato usato per lanciare messaggi tra i clan scissionisti).

Insomma: i neomelodici sono un’espressione particolarmente forte della napoletanità più sentita, quella che non ha la minima intenzione di abbandonare le proprie origini e men che meno di aprirsi alle influenze esterne di uno Stato considerato inesorabilmente “assente”. E allora quando Tonino Spiderman esce di casa in scooter per andare a farsi un giro non si spara in cuffia “Lean on” o “Vorrei ma non posto”, come la stragrande maggioranza dei suoi coetanei. Perché l’inglese non lo sa, e il pop italiano non parla né di lui né della sua vita. Sceglie invece “E chiammalo” di Anthony Ilardo, serenata semi-minacciosa ad un’amante infedele – “Quello schiaffo te lo sei voluto”, dice. E proprio su quelle note viene ucciso, lui novello traditore della fiducia dello zio.

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L’esempio più celebre di questa struttura mitologica è l’ormai controversa (che brutto aggettivo) scena del vibratore di Scianel, accompagnata da “Nun so ‘na bambola” di Cinzia Oscar (che vince il premio best sosia castano di Maurizia Paradiso 2k16). Per chi si fosse perso l’ambaradan, un breve riassunto della vicenda: Marinella, giovane e bella nuora di Scianel, viene tenuta prigioniera per 7 anni mentre il marito Lello sconta una pena in carcere. Appena prima dell’uscita di questo si scopre che Mariné si sta facendo il suo autista, Mario, che si becca immediatamente una revolverata nello scroto. Per evitare di finire ammazzata, la nostra cerca di eliminare il marito vendendolo ai ragazzi del Vicolo e, ad agguato fallito, si affida alla polizia denunciando i suoi carcerieri.

La colonna sonora della scena del tentato omicidio è proprio il pezzo della Oscar, che Scianel canticchia maneggiando un dildo elettrico placcato in oro. Le parole del pezzo commentano la trama: la boss afferma il suo ruolo di donna-dominante che non ha bisogno di uomini per affermarsi nella società mentre Marinella, al contempo, si rivela essere tutto tranne che la (scusatemi il termine) bella figa senza cervello che appare a un primo sguardo. “Ora l’orgia s’è fermata”, canta Cinzia; credo che anche Scianel ne sia convinta, sul momento, nonostante il carosello di ammazzamenti sia in realtà solo iniziato.

A puntata trasmessa, la Oscar ha marciato sopra la cosa dichiarandosi offesa dall’uso del suo pezzo per una scena così (testuali parole) “hot”. In un’intervista ai limiti dell’esilarante ha poi dichiarato che l’indignazione nasca dal fatto che la sua canzone vuole lanciare un messaggio “contro l’oggettificazione delle donne”. Peccato che è esattamente con questo intento che gli autori l’hanno usata in quella scena. Resta che probabilmente a credere alla sua versione sono solo i suoi amici e familiari, dato che tutta ‘sta caciara non ha fatto altro che portarle molte, molte, molte visualizzazioni in più su YouTube.

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[Vox populi]

I momenti in cui le parole dei neomelodici si intrecciano alle vicende della serie, fungendo sia da sottofondo che da commento, sono tanti. Genny, di ritorno dall’Honduras per reincontrare il padre neo-latitante, ascolta “Turnamm a fà pace” di Raffaello (nomen omen, più o meno); la cantante trans di cui il castissimo Salvatore Conte è innamorato gli canta “Senza ce penzà” di Nico e i suoi Desideri, esplicito invito ad abbandonare la vita di rinunce che il boss si auto-impone perché “un uomo che può fare a meno di tutto non ha paura di niente”.

A cercare tutti questi pezzi su YouTube sono tanti spettatori, me compreso, e sotto i loro video fioccano commenti stile “chi è qua per la serie metta like” – a dimostrare quanto Gomorra abbia aperto una finestra su un mondo che, finora, ci era stato presentato solo tramite cronache non particolarmente edificanti o documentari troppo brevi. E canticchiamo anche noi quelle melodie un tempo così provinciali, e ormai non più━così come dichiariamo tutti orgogliosamente “Sta’ senz’ pensier”, ammiccando e strizzandoci gli occhi, indipendentemente dal nostro luogo di nascita.

A ricevere una nuova iniezione di linfa vitale da Gomorra è stato inoltre, senza alcun dubbio, il rap napoletano. Diciamocelo: non che ce ne fosse necessariamente bisogno, dato che di giovani promettenti ce ne sono molti e figure storiche come Luche e ‘Nto stanno continuando a fare il loro in modo più che egregio, tenendo sempre piuttosto in alto l’asticella della declinazione locale del genere. La musica di entrambi si è però strettamente intrecciata alle sorti musicali della serie: il primo ha infatti presentato “O’ primmo ammore”, il singolo di punta del suo nuovo album, tramite un episodio; il secondo è – assieme a Lucariello – autore della sigla finale ufficiale della serie, “Nuje vulimme ‘na speranza”, pubblicata originalmente nel 2014.

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Il pezzo di Luche è musicalmente moderato, riflessivo, fumoso: “Il primo amore”, quello per la vita criminale, “mi ha tolto l’aria / Ma mi uccido se mi vuole lasciare”. La sua analisi è metaforica, filtrata attraverso una voce narrante che non riesce a razionalizzare il suo coinvolgimento nelle logiche di vendetta e tradimento che mandano avanti la sua vita – “Sono un criminale prima di essere un amico”, dice, augurandosi la morte di un compagno traditore. Quello di ‘Nto e Lucariello è più descrittivo e positivo, ottimista. Un narratore appena uscito di prigione pensa alla sua esperienza al gabbio denunciando l’omertà che permette a quelli che chiama “bastardi” di giocare con le vite dei suoi fratelli, ragazzini che “mettono mano alle pistole e alle droghe”.

Il rischio è che oggi i contributi del capoluogo campano al rap nazionale vengano ridotti ad un innocuo messaggio di denuncia sociale tutto “in-fondo-siamo-belli” e “i-politici-non-ci-capiscono” (vedi Rocco Hunt) o ad un tono scanzonato e canzonatorio che, per quanto potenzialmente piacevole, non va certo a smuovere le acque (vedi Clementino). In quest’ottica, i contributi degli ex Co’Sang a Gomorra riportano quella che una decina d’anni fa si chiamava “poesia cruda” nelle coscienze di una fetta sempre più larga di utenti, ricordandoci che raccontare il degrado in forma-canzone non deve necessariamente essere un’esperienza semplificante e patinata ma può tranquillamente rappresentare una realtà sporca e infame per quella che è.

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Segue la stessa logica la scelta di usare alcuni loro brani storici per musicare intermezzi d’ambiente tra una scena e l’altra. Particolarmente efficace è l’uso che viene fatto di “Int'o rione” nella prima puntata della serie: il brano si accompagna a inquadrature paradossalmente piacevoli da un punto di vista estetico e geometrico in cui il contesto degradato delle Vele diventa un assurdo paradiso in cui lo spaccio può proliferare liberamente. Nel frattempo, i due MC narrano una giornata come un’altra nel quartiere, in cui si fuma seduti su cofani di macchine e si cerca di passare la giornata mettendolo al culo a qualcun altro.

Gomorra ha inoltre avuto anche una funzione da trampolino di lancio: nello specifico, tramite la scelta di utilizzare un pezzo dell’emergentissimo Enzo Dong, “Secondigliano regna”, nel finale della seconda stagione. Anche qua sullo schermo c’è una scena di spaccio, vista ad occhio d’aquila da Malammore che, sul tetto di un palazzo, osserva i suoi uomini evitare le incursioni della madama andando a portare personalmente dosi e bustine a chi ne ha bisogno. Sopra, il grido di Enzo – che è anche il suo cognome d’arte per esteso: “Dove ognuno nasce giudicato”. La sua voce è acerba, sguaiata, ma dannatamente reale nell’amatorialità che traspare dalle sue scelte liriche: La rima “ampùta” / “figlio di puta”, ad esempio, è di un’ignoranza (in senso buono, eh) clamorosa. Ed esattamente per questo pompa l’ascoltatore.

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La strumentale del brano, aspra e artificiale, si adatta bene al suo tono sanguigno: va però notato che è ripresa paro paro da 63 di Kaaris, a confermare come il legame tra rap francese e Gomorra non sia unilaterale ma articolato in uno scambio reciproco di immaginari stilistici e sonori. A sentire un suo pezzo più recente, “Sott e bas”, è palese l’influenza lirica dei PNL━che alle Vele sono venuti a girare il video di Le monde ou rien ed Enzino onora (o ricalca, a voi la scelta) citando il “mondo Chico” che ha dato il titolo al loro album, modificando leggermente il loro “Je suis plus Savastano que Chiro” e ripetendo paro paro una delle loro frasi ricorrenti: quel “Plus Tony que Sosa” che ha ridato linfa vitale alla sempiterna immagine di Tony Montana come paradigma del tamarro criminale senza paura che tanti rapper invocano ad alta voce come nume tutelare.

Nel momento in cui scriviamo, Secondigliano regna è arrivata a circa 500.000 visualizzazioni e ha GOMORRA SOUNDTRACK in caps lock nel titolo del video. Allo stesso modo, sulla pagina Facebook ufficiale di Enzo il riferimento al brano è fissato in alto, con un bel post orgoglioso che invita il visitatore a cercare il brano su YouTube. Questo sarebbe potuto accadere senza la serie? Sicuramente sarebbe stato molto, ma molto più difficile, essendo quello di cui stiamo parlando un brano certamente efficace che però non inventa nulla, né porta in direzioni inedite il rap napoletano. Resta che questa è un’opportunità che il nostro non si può certo lasciar scappare, e sarà interessante vedere come e se riuscirà a cavalcare l’onda del supporto mediatico garantitogli da questa comparsata (il che per ora appare molto probabile, se pensiamo che il nostro è al lavoro su un pezzo con Ntò e Marco Mixup).

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Si è parlato molto di Gomorra come prima serie italiana realmente “internazionale”. Effettivamente, penso che la cosa sia palese anche ad occhi non particolarmente allenati a riconoscere le sfumature creativo-stilistiche dei prodotti televisivi. Prendiamo ad esempio questo bellissimo spezzone tratto da L’Ispettore Coliandro, prodotta dalla RAI: inquadrature da Un posto al sole, interpretazione da sitcom di Rete 4 post-telegiornale, trama brutalmente stereotipata e colonna sonora fatta con le basi più generiche che il sound designer di turno è riuscito a trovare. Insomma, un risultato può andare bene per qualche sessantenne che non ha voglia di cambiar canale (che è, penso, esattamente il target che si ha in mente quando si producono ‘ste cose da noi).

Prima di Gomorra, in Italia il crimine era stato rappresentato per quello che era – una merda che ti fa ugualmente godere e soffrire, di base – solo in pochi, pochissimi casi, e principalmente tramite documentari (ricorderei qua il bellissimo Residence Bastoggi) o sul grande schermo (basti pensare alla trilogia di Caligari). Gomorra, invece, da’ dignità artistica a una trama complessa riuscendo al contempo a far discutere di temi controversi, che è esattamente quello che serie internazionali di enorme successo hanno fatto o fanno da anni (la droga e la morte in Breaking Bad, il ruolo delle donne e la violenza in Game of Thrones e così via). E lo fa anche a livello musicale, aderendo a una tendenza che nel resto del mondo si è ormai cementata come tradizione: l’uso del post-rock come espediente musical-narrativo.

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Quella formula fatta di chitarre pulite, crescendo col tremolo e droni fatti un po’ coi pedali e un po’ con le tastiere codificata anni e anni fa da Mogwai ed Explosions in the Sky si è ormai affermata come perfetto accompagnamento per creare tensione nelle scene d’ambiente e dare un contesto emotivo ai momenti salienti delle narrazioni filmiche. Non mancano esempi celebri: i primi hanno composto per la serie francese Les revenants, i secondi si sono per ora limitati a lavorare su filmoni come Friday Night Lights e Manglehorn. La pratica sta ormai sconfinando in altri medium, con i 65daysofstatic scelti da Sony per scrivere la colonna sonora di quello che potrebbe essere un passo storico per il gaming tutto, quel simulatore di Universo generato proceduralmente che è No Man’s Sky.

Insomma: quando sentiamo quel modo di fare post-rock è ormai facile pensare quasi automaticamente alla parola “cinematico”. Ora, grazie a Gomorra, ci siamo arrivati anche in Italia. Il merito è dei romani Mokadelic, collaboratori di lunga data di Gabriele Salvatores (che gli affidò la colonna sonora di Come Dio comanda) prima e di Stefano Sollima poi. “Molti anni fa facemmo un disco che si chiamava Hopi, il nostro ultimo disco a nome Moka”, mi spiega il loro bassista e tastierista Cristian Marrras, “e Stefano ne acquistò una copia scrivendoci su MySpace. Era il 2006”. Insomma, un aggancio organico e basato semplicemente su gusti personali: “Anni dopo Stefano ci ricontattò mentre stava scrivendo A.C.A.B., aveva bisogno di idee musicali. Lì ci siamo incontrati e conosciuti per la prima volta – nemmeno ricordavamo ci avesse comprato un CD qualche anno prima.”

Le scelte musicali, scopro, sono quindi principalmente di Sollima: gli sceneggiatori danno qualche linea guida, ma è il regista di ogni episodio assieme a Patrizio Marone, il montatore, a prendere le decisioni finali. Proprio Marone, dice Cristian, “è stato il trait d’union, avendo lavorato con tutti i registi a tutte le puntate”. Sempre loro gestiscono in ogni episodio i mini-temi della band romana, che sono stati composti usando immagini del primo episodio come canovaccio. “Abbiamo scritto in base a scene come l’esplosione nel bar, o la morte di Attilio, senza concentrarci sui singoli personaggi. Quindi puoi ritrovare la stessa musica su scene con diversi mood, ma il risultato è ugualmente efficace.”

Non posso, in fondo, dargli torto. “Doomed to Live”, il pezzo che parte sul finale di ogni puntata, funziona a sottolineare speranza come sorpresa (il finale della prima stagione, con la liberazione di Don Pietro e la mano di Genny che fugge alla morte), pace apparente (Ciro che abbraccia la figlia nel letto) come abbandono al destino (Danielino che accetta l’abbraccio di Salvatore Conte). “Nothing to Be Gained” ha scritto “sta per succedere qualcosa che pompa” in fronte, mentre i tastieroni di “Tragic Vodka” gridano chiaramente “tensione”. Riascoltarli senza immagini dopo aver visto la serie è piacevole: è un riconoscere determinate melodie, è un rassicurante “Sì, la so!”.

Rovescio della medaglia di questa sensazione è una supposta prevedibilità: in fondo, ci muoviamo in territori ormai ampiamente codificati dai “grandi” del genere. “Credo che il post-rock sia una fonte ancora non esaurita”, controbatte Cristian, “perché più che essere un modo di suonare è un approccio alla musica. Uscire dalla forma canzone, cercare sonorità, giocare col rumore. Magari è un genere dall’evoluzione più lenta rispetto ad altri, che magari rimangono uguali per definizione da sempre, ma non credo che il suo percorso si sia esaurito. Nascendo per contrapposizione, è un genere che ammette nella sua natura la sperimentazione. E finché ce n’è, c’è vita.”

Anche qua, è impossibile dargli torto. Possiamo certamente parlare di “sperimentazione” riferendoci sia alla serie stessa che alla sua colonna sonora, se limitiamo il discorso ai confini italiani. Ma penso che inserire entrambe in un’immaginaria linea geografico-culturale non tolga minimamente valore né all’una nell’altra: “Quando abbiamo visto le prime scene su cui avremmo scritto le musiche, ci è stato subito chiaro che in quel momento l’aspetto registico, di scrittura, sceneggiatura e racconto erano una spanna sopra a tutto quello che avevamo visto di italiano”, spiega Cristian. Mi trovo d’accordo con lui, e sarà curioso vedere come la serie si evolverà━se il livello di cura visuale e sonora resterà lo stesso o se ci saranno singhiozzi qualitativi.

Non che ci siano segnali in questo senso, per adesso. L’unico pensiero che mi viene da fare riguarda la credibilità delle vicende dei nostri. Se la prima serie appariva, per quanto palesemente romanzata, realistica nei rapporti di potere che si erano creati tra i protagonisti del gioco delle piazze di spaccio, il finale della seconda ci ha portati in territori non meno coinvolgenti, ma leggermente meno plausibili: un figlio che fa ammazzare il padre dallo stesso uomo che gli ha ucciso la madre. Magari la terza ci spiegherà che cazzo è passato per la mente di Genny quando è andato a dare quella pistola a Ciruzzo. In ogni caso, molto probabilmente, saremo tutti lì a guardarla. E ascoltarla.

Noisey Italia