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Musica

Fabio Mancini e la generazione astratta

Vi presentiamo il fenomeno più interessante mai partorito dal lato oscuro di YouTube

Il fatto che la musica si sia slegata dai formati, che abbia acquisito una sua orizzontalità, mette abbastanza in difficoltà la critica musicale tradizionale.

Naturalmente la critica musicale tradizionale, presenti inclusi, odia essere in difficoltà: si sente molto meglio a praticare lo sport dell’avere ragione e continuare a pontificare, liquidando qualsiasi cazzata automatica partorita dal web come—appunto—cazzata automatica partorite dal web. Per questo pezzo potrebbe essere utile considerare un approccio alternativo.

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La definizione “musica fine a se stessa”, nella stampa musicale, sottintende qualcosa di negativo. Una variante oscura di certa psichedelia, sfociata poi nel prog e infine nel prog becero, o qualcosa che riguarda la roba fuori fuoco, i dischi senza un vero e proprio punto. L’assunto teorico su cui si basa questa definizione è che la musica non sia in realtà fine alla musica ma a, uhm… scopare, ballare, ribellarsi al sistema, incassare contanti, bullarsi con gli amici, ritardare il proprio suicidio e via di queste cose. Non credo questa cosa venga dal disinteresse per la musica in sé; credo sia una specie di barzelletta tirata per le lunghe. Non ci fosse tutto questo forsennato bisogno di accompagnare un brand all’idea musicale in se stessa, o tutta questa narrativa classica del ROCK che andava negli anni settanta. Se avessero vinto i patiti del suono e della tecnica, probabilmente saremmo finiti dentro un periodo di sperimentalismi strumentali lunghi vent’anni. E invece il punk, no, aspetta, sto perdendomi.

Per farla breve, queste sotto sono le quattro incarnazioni di musica in rete che preferisco. Una volta che le avete digerite, vi introduco la mia fissa del mese.

Epic Sax Guy 10 Hours: Un gruppo di tamarri moldavi (Sunstroke Project) si esibisce all’Eurofestival del 2010. Qualche anonimo prende una linea di sax di otto secondi e la manda in loop per dieci ore esatte montando video sgranati dell’esibizione. Dopo 3/4 minuti il pezzo smette di essere fastidioso ed inizia ad avere un senso, poi diventa una colonna sonora ideale per focalizzare l’attenzione su qualcos’altro. Poi, dopo circa settanta minuti, lo stacchi e trovi molto fastidioso il silenzio. In senso stretto "Epic Sax Guy 10 Hours" non è una cosa inedita, voglio dire, è semplicemente una riproposizione al limite dell’umano di dettami che stanno alla base della musica industriale e di certa musica minimal da ballare; è diverso il fatto che non preveda alcun tipo di skill (è realizzabile, credo, in automatico) né una capacità selettiva da parte dell’artista (funziona per caso). Esistono altri esempi di reiterazione di un pattern di pochi secondi per dieci ore, molti realizzati dallo stesso anonimo, ma nessuno funziona né in generale né tantomeno quanto Epic Sax Guy 10 Hours.

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Justin Bieber rallentato dell'ottocento percento: Nel 2010 (ancora) qualcuno prende un singolo di Justin Bieber ("U Smile") e tramite un qualche software del cazzo la rallenta di otto volte. La traccia, caricata su Soundcloud, diventa virale nel giro di brevissimo ed oggi è una specie di standard apocrifo della drone music, una specie di A Crimson Grail meglio riuscito (e senza doversi sbattere a raccattare quattrocento chitarristi in giro). Anche qui, come da internet-prassi, la gente perde di vista la musica (buona) e si focalizza su un’idea (del cazzo): nel successivo semestre youtube e canali limitrofi si ritrovano invasi da orridi pachidermi di quaranta minuti frutto del rallentamento di qualsiasi pezzo teen-pop conosciuto.

Le vuvuzela: La vuvuzela diventa LA COSA in occasione dei mondiali di calcio del 2010 (e dai), evento rimosso dalla nostra cultura per via della figura barbina della nazionale. I commenti live dalle tribune dello stadio avvengono con sotto il rumore assordante di decine di migliaia di trombe suonate ininterrottamente sugli spalti. Una partita di calcio non è mai stata così interessante, ma in quel periodo iniziano a venire fuori siti che mandano in loop un sottofondo di vuvuzela, le pagine wikipedia vengono assalite da strani troll messianici che glorificano il ronzare delle vuvuzela, video caserecci sul tubo. In sé e per sé la vuvuzela è uno strumento noioso, quello che rende incredibile l’esperienza è lo sforzo collettivo (diecimila persone) per produrre musica accidentale che assume un senso solo nell’aggregato.

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Trucebaldazzi: Nel 2010 (ops) un ventenne problematico, residente nell’appennino bolognese e flippato col Truceklan, pubblica una manciata di pezzi sul tubo: loop elementari e voce sparata sopra con un microfono alla bell’e meglio, fuori tempo e senza costrutto. I testi parlano dei problemi con la propria ragazza e gli insegnanti. L’internet inizia a sfottere, naturalmente, buttandolo nel calderone di quello che poi verrà chiamato (nel suo caso impropriamente) LOLrap, associato al già celebre Spitty Cash. Si crea comunque, quasi da subito, una sacca di resistenza agli automatismi del LOL: la musica di Trucebaldazzi, d’altra parte, è una delle cose più dirette e sincere che si siano mai sentite in Italia, un concentrato d’odio verso l’umanità e le istituzioni che—al netto delle numerose ingenuità, le quali aggiungono comunque fascino—viene fuori senza filtri e in tutto il suo carico di vita. Misantropo è chi, in un eccesso di vita, è stato abbandonato. Trucebaldazzi è rimasto alla sbarra da allora, ripetendo il proprio show in sequel sul tubo e prestandosi al gioco del freak in concerti strapieni di gente che insulta. Subito dietro, una legione di cazzari straconvinti di avere LO SWAG, qualunque cosa sia, a decretare la più grande lista di fallimenti musicali della storia contemporanea, mitigata soltanto dal fatto che il livello medio del rap italiano propriamente detto, forse, è ancora più deprimente.

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Ne è consapevole lui stesso:

Liquidare questa roba come una specie di parente povero della musica è un modo come un altro per gettare la spugna. Abbracciarla come il presente ed il futuro della musica, d’altra parte, ci mette a contatto con un’adunata di freak che non ha precedenti nella storia del pop. La soluzione? Non saprei. Lasciarsi colpire da fenomeni casuali, cercare di contestualizzarli. In un personaggio come Trucebaldazzi l’amore per la musica, o quantomeno il bisogno di farla, emerge in un modo disarmante. Di chi lo possiamo dire, dopo di lui?

Di Fabio Mancini.

“Sono nato 52 anni fa in una bella citta' di mare e vivo in una bellissima città d'arte, svolgo la professione di operaio e la mia piu' grande passione è la musica. Sono felicemente sposato da 29 anni e la persona che vedi nella videoclip è mia moglie e mia fonica. Penso di averti dato materiale sufficiente.”

L’epoca di youtube ha spostato l’asse del nostro gradimento indietro di una dozzina di secoli; il concetto di rockstar-pagliaccio investito di poteri divini (un concetto corporativo forse un po’ rivoluzionario nei sessanta che già a metà dei settanta era una noia) avrebbe potuto essere sostituito dal DIY e dall’autoproduzione. Non è successo, o meglio è successo in certe sacche di spreco culturali. Negli anni duemila la rete e l’abbassamento dei costi di produzione per i prodotti di medio livello hanno reso possibile pubblicare senza spendere; sono bastati i dieci minuti necessari ad accorgersene per veder uscire allo scoperto una nuova generazione di fricchettoni che giocavano a fare gli artisti e le rockstar: quasi tutti sono stati sbertucciati appena usciti allo scoperto. A ragione, nella maggior parte dei casi.

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Chi ha superato indenne l’ondata di insulti è riuscito a ritagliarsi un posto al sole in quel che è successo dopo. Non credo sia così diverso, tutto sommato, dalla parabola di qualsiasi altro movimento avanguardista legato alla musica (jazz, techno, hardcore punk, hip hop): mentre stai portando a termine con successo la tua lotta per scardinare il sistema culturale in cui vivi, realizzi che invece di finire il lavoro ti conviene occupare la posizione di rilievo che ti viene offerta al suo interno, incassare un paio di assegni e taggiare di haterismo quelli che ti accusano di essere uno scorreggione (i quali comunque a un certo punto avrebbero iniziato comunque, quindi tanto vale). Gli unici che si sottraggono a questa dinamica sono le persone senza strumenti culturali per mettere insieme un discorso generale. .

Ammetto di non essere qualcuno che passa il tempo a guardare video a caso di fenomeni youtube per tirarci fuori qualcosa di decente, ed è una mancanza. Tra le varie fortune della mia vita c’è di essere in contatto con il Collettivo Carmine. Nel linkarmi una traccia intitolata Noi due, il socio Technoiglesias mi dice che il tizio che la canta è sostanzialmente “lo Scott Walker della generazione astratta”. Il tizio che la canta si chiama Fabio Mancini, appunto.

La prima volta che ascolti "Noi Due" hai già la sensazione di essere finito dentro qualcosa di grossissimo: non richiama praticamente nulla, e se richiama qualcosa lo fa in maniera del tutto inconsapevole. Come del resto è inconsapevole il suo non-richiamare. È come un pezzo di Aurelio Fierro cantato da una persona stonata sopra una base synthpop stile colonna sonora di Miami Vice ma blastata da batterie elettroniche assassine fuori-tempo che rendono tutto un po’ breakcore e fuori fase. È impossibile memorizzare brandelli di musica e testo. È un’esperienza pop completamente avulsa dal pop. Ascoltare i cinque minuti di "Noi due" innervosisce per l’assenza di riferimenti immediati e di logiche dell’assenza di logica. Abbiamo imparato una grammatica dei tempi dispari, a strutturare il disagio e riconoscere i pattern, ma secondo una logica strutturale per la quale i pattern ci sono sempre e lo sport è identificarli (per chi ascolta) o renderli quanto più inidentificabili possibile (per chi suona).

È difficile gestire una grammatica dell’inconsapevole. Il video di Noi due è composto da Fabio Mancini che si produce in un’invocazione ad una divinità femminile che lo caga con un feticcio di secondo grado (un’iguana color argento) e una serie di standard che sono pura esibizione: le movenze da discoteca anni settanta dell’uomo, la sua camicia di seta, l’immobilità di tutto il resto: i tetti di una Firenze da cartolina, una panchina di qualche giardino pubblico in primo piano. Non è chiaro cosa è voluto e cosa no. Non è chiaro nemmeno se questa musica sia realmente prodotta da qualcuno o suonata in cinque fasi separate e riassemblata senza ascoltarla. Gli unici due reali riferimenti critici che rendono possibile classificare (positivamente) "Noi Due" sono il suo essere avulsa da TUTTO e l’incrollabile amore per la musica di cui è pervasa.

Fabio Mancini non esiste. Nel suo canale youtube ci sono tanti video, nessuno dei quali sconvolgente quanto "Noi due". I risultati della ricerca “Fabio Mancini” su google sono: un modello, un pilota, un musicista DIY omonimo ma diverso. Nei video è linkata un’email: se gli scrivi ti risponde. Il video di "Noi Due", attualmente, ha 4000 visualizzazioni (quasi tutte mie e delle quattro persone che me l’hanno linkata). La natura fortemente iconoclasta del pezzo rende difficile lo sfottò, ed è più che probabile si risolva tutto in una negazione collettiva che non farà mai uscire Fabio da quest’ombra autoimposta. In un’ottica della tolleranza, è sempre meglio delle risate di un pubblico ebete incapace di gestire gli orgasmi ritmici di Noi due e pronto a sputare. In un’ottica artistica, significa perdere una cosa ENORME.

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