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Musica

Il ritorno del Sergente di Metallo

Abbiamo intervistato Metal Carter in occasione dell'uscita del suo mixtape-raccolta Master Of Pain.
Sonia Garcia
Milan, IT

“There's a rapper in Rome obsessed by hate, pain, violence, horror and cruelty…His name is Metal Carter.”

Ciao. Quello che avete appena letto è uno status di Carter di qualche giorno fa. Se siete tra le centodiciassette persone che come me hanno messo like, fate come se vi stessi abbracciando uno per uno e vi stessi dicendo AVE a pieni polmoni, magari in uno di quei posti dove il dispetto e il misfatto hanno gli occhi di un gatto (cit. "Drug Town".) Altrimenti dai, [siete sempre in tempo](https://www.facebook.com/MetalCarterOfficial/posts/692219594122690 ).

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Il fatto di averlo intervistato è probabilmente una di quelle cose che vorrò raccontare a molte persone, forse a interi popoli, dato l’importante ruolo formativo che ha avuto nei confronti della mia persona, lui e tutto il Truceklan. Apriamo ora un’inutilissima digressione: Truceklan et similia detengono un potere spaventoso, quello di mettere d’accordo le più disparate tipologie di esseri umani di questo Paese. Una volta una tipa con gli UGG e la maglia dei Bauhaus mi ha cantato a memoria tutta “Deadly Combination”. Un’altra volta mi sono trovata a discutere con un mio piccolo amico appartenente alla scena HC milanese (perdonate a me e all’umanità l’utilizzo della parola “scena”) di come il Truceklan “sia uno svago per ragazzini ma che tutto sommato ci sta”.

Anni di interazioni sociali di questo tipo mi hanno portato a distinguere in un semplicissimo diagramma di Eulero-Venn due insiemi di persone. Nel primo ci sono quelli che il Tklan lo vedono/usano come strumento di eversione dal quotidiano e inarrestabile impegno musicale—che di solito è virtuoso e/o integralista, quindi osannare pezzi dai testi che parlano di droga, sangue e Satana, ai loro occhi è molto, molto vincente. Nell’altro ci sono invece i presi male come me, per i quali passare una giornata senza inserire almeno un verso di Carter/Noyz/Chicoria/Cole/Gemello/Gel nelle conversazioni è apparentemente illegale. Attenzione, i due insiemi si intersecano, dando così vita alle spensierate e tenerissime vie di mezzo, in cui probabilmente vi troverete tutti voi. Adesso che lo sapete possiamo andare avanti.

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Mi rendo conto di quanto la realtà qui descritta sia curiosa, a tratti mortificante, ma per il bene della mia già bassa autostima non mi dilungherò ancora sulla cosa. I discorsoni sul RAP ITALIANO sono già stati fatti, scusate se non sono filologa.

L’habitat creatosi attorno al Truceklan e al Sergente di Metallo è variegato, punto. Questa intervista è dedicata a tutti voi, sia che lo conosciate solo per “Pagliaccio di Ghiaccio”—in tal caso non sarete mai miei amici—sia che abbiate passato mesi a struggervi sulla sua strofa ne “Il Giardino Degli Dei”.

Di questo pezzo mi ha sempre affascinato il modo in cui a 00:50 dice UNA COLOMBA.

Tutto è cominciato quando ho appreso che Il 2 novembre sarebbe uscito il suo mixtape Master Of Pain, acquistabile sul suo sito sottoforma di copie contate e autografate. E infatti è uscito davvero. Sono “ottanta minuti di rap letale” come è scritto sulla sua pagina e come ci ha lui stesso spiegato, ovvero una raccolta di suoi pezzi dal 2003 al 2013, tutti accuratamente selezionati dallo stesso Carter. Una prelibata anticipazione del disco vero e proprio, Dimensione Violenza, attualmente in lavorazione, di cui per adesso conosciamo solo “Ways”.

Con queste premesse in testa, e anche con quella punta di emozione sufficiente a farmi tornare, per un attimo, la sgraziata tredicenne che mette troppi “cioè” nelle frasi, ho chiamato e chiacchierato con il nostro Death Master del cuore. Mi scuso con lui e con i lettori per eventuali imprecisioni—avremmo potuto approfondire di più su diversi punti, ma il tempo ci ha castigati e rimane il fatto che mi trovavo in un parco fuori dalla mia università, circondata da studenti creativi schiamazzanti, non era proprio agilissimo parlare e capirsi. Altra cosa per cui soffro molto è il non aver potuto iniziare la telefonata con “EO”.

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Noisey: Ciao Marco, come stai?

MC: Bene grazie.

Che stavi affà?

Adesso sono al Devi Maha Tattoo, che sta in Via dei Noci a Centocelle. C’ho qua degli amici, mi ci tatuo spesso, quindi ogni tanto accompagno questo mio amico che sta in zona mia, a lavorare.

Capito. Senti, parlaci del tuo mixtape—non era ancora uscito.

Sì, si chiama Master of Pain e sarà acquistabile solamente sul mio sito. È un mixtape/raccolta che prende strofe, feat e freestyle che vanno dal 2003 al 2013. Dieci anni di rap abbastanza intensi, anzi direi proprio intensi. Appunto, per festeggiarli ho fatto questo mixtape che dura più o meno ottanta minuti, sono pezzi già editi mixati in modo inedito, ci sarà qualche traccia un po’ rara. Penso che per un fan sia un oggetto piacevole, anche perché sono tutte copie autografate e numerate a mano, a tiratura limitata.

Bomba. Ma i pezzi sono tutti tuoi o ci sono anche rifacimenti di vecchie tracce Truceboys?

È tutta roba uscita a livello di feat, dall’album Sangue dei Truceboys, ma anche da album miei solisti, o quelli che ho fatto con Gel, con Cole… C’è un po’ tutto il mio percorso. Ovviamente ci sarà qualche dimenticanza, cioè potevo mettere molta più roba. Ho dovuto più o meno riassumere in ottanta minuti le cose che mi sembrava più giusto riproporre adesso.

Carter e Cole all'opera.

In effetti nel 2003 è uscito Sangue, quindi i pezzi usciti prima, non so di Truceboys EP, non ci saranno.

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Allora, in realtà i Truceboys si sono formati nel 2000, ed eravamo già amici nel ‘95-’96, andavamo a tutte le serate hip hop della capitale. Eravamo già conosciuti a livello di amicizia da una buona parte della scena, anche prima che iniziassimo a rappare. Più o meno dal ‘95-’96 siamo tutti entrati in fissa e abbiamo iniziato a frequentare i live più assiduamente, ma era ancora una cosa vaga. Poi nel 2000 si è formato questo gruppo, eravamo io, Gel e Cole. Nel 2003 si è aggiunto Noyz Narcos e poi col passare del tempo abbiamo allargato ancora di più il crew. Ho voluto omettere appositamente il materiale che andava dal 2000 al 2003 perché non lo ritenevo abbastanza maturo per far parte di questa compilation. Diciamo che in quegli anni la cosa era ancora embrionale.

Esatto. Anche io mi sono accorta di questa differenza, nello stile ma soprattutto nei testi.

Sì. Diciamo che dal 2003 in poi abbiamo iniziato ad avere uno stile ben riconoscibile, che è stato apprezzato da tutti. Perlomeno se ne sono accorti tutti del nostro approccio col rap. Nel 2000 il rap era ancora molto un hobby, non eravamo sinceramente maturi. Abbiamo fatto questo EP omonimo Truceboys, che io considero come un demo, però insomma, ti ripeto, professionalmente mi sento di dire che dal 2003 in poi ho iniziato a dare tanto.

Preferisco di gran lunga Sangue pure io.

A livello di testi, di tecnica, di metrica, sicuramente c’è un abisso tra quello e il demo.

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Già. Anche se a dir la verità mi è sempre sembrato che tu fossi rimasto fin da subito attaccato al tuo stile. Più coerente degli altri, diciamo. Si sono tutti “evoluti” in qualche modo negli anni, Noyz in primis, a mio parere toccando alti e bassi.

Una delle cose su cui ho puntato è proprio la coerenza e l’intensità con cui ho lavorato. Mi fa piacere che tu ti sia accorta di questa cosa. Per quanto riguarda Noyz c’è pure un altro discorso da fare. Ovviamente quando debutti è tutto ancora da giocare. Una volta che vai avanti la gente si aspetta qualcosa da te. Noyz ha avuto un percorso particolare, essendo poi l’unico di noi ad avere un manager personale fisso. Il motivo per cui ha fatto successo è il suo incredibile talento. Lui ha portato in alto il crew, ci ha fatto suonare in posti in cui non saremmo mai riusciti a suonare da soli. Gli siamo tutti riconoscenti, è quello che ci ha dato piú visibilità.

A pranzo cor Noyz, nel VICE Meets di qualche tempo fa.

A proposito, in passato mi pareva foste più uniti, più collaborativi tra di voi. Non mi riferisco solo a Sangue, ma anche a dischi come I Più Corrotti, Società Segreta, pure La Calda Notte. Adesso ognuno tende a muoversi più individualmente. Come sono cambiati i vostri rapporti?

Guarda, i rapporti sono tutti buoni. Solo che ovviamente siamo cresciuti, quindi il periodo in cui stavamo tutti insieme a ridere e scherzare—magari anche a ragionare sulla musica in modo serio—è finito. Ormai abbiamo tutti più di trent’anni. Io attualmente mi sto occupando solo di rap, però è una questione di quanta voglia c’hai di metterti in gioco. Tra di noi c’è differenza, c’è chi produce molto, c’è chi produce poco. Il rapporti nel gruppo, nonostante esista da tanto tempo, sono sorprendentemente buoni. Poi magari c’è qualcuno che si vede più con qualcun altro, altri di meno, però non è più una tavola rotonda come ci immaginano i fan.

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[Io, per esempio, NdR.]

Questa cosa del crew, del Truceklan, dà molto l’idea di unione. C’è, ma in realtà ognuno poi c’ha i suoi cazzi, i suoi prodotti da portare avanti. A volte pure in modo distaccato, gente che lavora su un progetto, e gli altri che magari si mettono ad ascoltare quei lavori solo mesi dopo. Noi come Truceboys abbiamo faticato tantissimo a fare Sangue, anche se erano solo dieci tracce. Dopo l’uscita non so dirti cosa è successo di preciso, ma non siamo più riusciti a trovare quella magia necessaria a fare un altro album, nonostante le major fossero ance interessate a un seguito di Sangue.

Eh, tutti noi lo eravamo.

Esatto, vedi. Abbiamo un po’ deluso.

No, non avete deluso. Rimane l’eterna fascinazione per qualcosa che è unico e che chissà, magari un giorno verrà ripreso. Penso che Sangue sia così amato ancora oggi proprio perché è esclusivo.

Infatti sto vedendo con piacere molte recensioni, gente che ne parla, all’inizio quando uscì la maggior parte della gente ha storto il naso. Forse era troppo avanti per quel momento storico. Adesso, dopo ben dieci anni dalla sua uscita, ci viene riconosciuta l’importanza, l’influenza sull’intera scena italiana. Mi capita spesso di parlare con dei fan che adorano quell’album perché lo reputano proprio il momento di svolta della mentalità rap.

(A 2.15 comincia Il live della libido.)

La dissacrazione si è radicata bene da quell’album in poi, soprattutto per quanto ti riguarda. Tu esageri, distorci la realtà, la metti per iscritto e ne escono fuori capolavori. Lo stravolgimento di immagini che proponi nei tuoi testi è rimasto pressoché immutato, anche se sicuramente lo hai declinato in maniere diverse, negli anni. Oggi come pensi sia cambiato questo tuo approccio al rap?

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Io principalmente ho sempre cercato di seguire un mio stile, evitando di ripetermi. Ho tracciato questa mia linea, ma ho cercato di far sì che ogni disco avesse quel minimo di freschezza, di novità, di eccitazione nell’ascoltarlo. Se ci sono più o meno riuscito non lo so.

Ci sei riuscito alla grande. In più sappiamo tutti della tua passione per gli horror, e di come le tue basi spesso ne campionino spezzoni, o motivi. C’è un parallelismo tra la cruenza e l’assurdità di una scena splatter di un film, che ne so, di Fulci, e le immagini che evochi nei tuoi testi. Sbaglio?

In generale, il rap si basa sull’esagerazione e sull’autocelebrazione. Poi bisogna saperla gestire l’autocelebrazione, perché rischi di andare sul cazzo alla gente. Sicuramente è uno dei miei punti chiave, l’esagerare. Io più di tutti, dico cose talmente assurde che capisci subito che uso la fantasia. L’horror è stata una cosa ancora più primordiale, viscerale, perché prima di appassionarmi al rap sono sempre stato un grosso fan dell’horror. Sono un collezionista di film, ho conosciuto questo genere da bambino e me ne sono subito innamorato. Era impossibile non avere queste influenze.

Te l’avrà chiesto forse anche Gesù. Che tipo di horror preferisci?

C’erano dei periodi in cui mi guardavo due film al giorno. Personalmente preferisco gli anni Settanta e Ottanta perché c’erano pochi soldi ma tanto interesse nel produrre questo tipo di film. Mi piacciono molto anche quelli attuali però. Ad esempio mi piace molto lo stile che ha introdotto un film come The Blair Witch Project. Che tra l’altro era una cosa già stata fatta da Diodato, su uno dei suoi film cannibalici. Questo approccio così particolare con la telecamera lo trovo abbastanza terrorizzante, se fatto in modo buono.

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Mi piacciono i film con un incedere un po’ angoscioso, non tanto il sangue in sé e per sé, tanto per versarlo. Credo che facciano molto più paura gli horror psicologici. In generale nella vita fa più paura immaginare che vedere. Poi vabe’ mi piacciono anche le cose classiche, tipo Hitchcock. Oppure di moderno, Roger Corman, tutta la roba della Hammer, sono cose indiscutibili.

Tornando alle immagini paradossali, una che mi ha sempre affascinato è quella di “Satana che ti tiene la mano stretta mentre Cristo va in bicicletta.”

Questa per esempio è un tipo di rima un po’ bizzarra che adesso usa un po’ meno.

Il verso è preso da qui. Altro bel momento è quando dice “Vivo in una casa di malati, potrei attacarti anche se pomici sui prati”

Già. In “Ways” per esempio non parli più di Cristo e Satana, ma c’è sempre un’estremizzazione, in questo caso della tua persona. Tutte quelle sfaccettature di te che sei riuscito a trovare mi hanno fatto stare male…

Per tutto il tempo continuo a dire “Io sono, io sono”. Non è neanche semplice da fare, non credo che tutti riescano a trovare così tanti modi di definirsi. Questo testimonia la mia ampiezza di personalità. I sentimenti rimangono sempre gli stessi che puoi provare ascoltando la mia musica. Secondo me è importante che nella musica in generale ci siano sì canzoni d’amore, ma anche canzoni opposte all’amore, perché sono sentimenti umani che vanno comunque espressi. Fanno parte di tutti. È giusto esprimerli, è giusto che rimangano solo musica e non diventino magari cose che possono essere sgradevoli nella realtà quotidiana.

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"Sono NECROLOGGICO."

Sulla tua pagina, diverso tempo fa, avevi scritto di aver composto dei versi d’amore, ma eri in dubbio se pubblicarli o se inserirli in qualche progetto.

In effetti nel cassetto ho una canzone d’amore da parecchio tempo, però non ho avuto il coraggio di registrarla. È un approccio all’amore molto sofferto. Non è la classica canzone “Ti ho vista al club, ti muovi, mi piaci.” È un approccio molto personale, chissà, adesso sta nel cassetto, ma magari prima o poi mi verrà voglia di registrarla. Per adesso il nuovo album, Dimensione Violenza, con un titolo del genere non avrà spazio per questo tipo di canzone. Magari in seguito…

Ahahah… Dimensione Amore.

No. Per queste cose qua bisogna ascoltare altra gente.

Comunque nelle tue basi campioni di tutto, non solo film horror. Ad esempio in “Truceboia” c’è il sample di un pezzo degli IANVA. Chi c’è dietro a queste scelte?

Molte volte ci sono dei producer che magari stanno sulla mia stessa linea, a livello di gusti musicali, io neanche lo so subito. Magari me lo dicono dopo, ho campionato questo, ho campionato quello. A me basta che ci sia l’atmosfera. Poi questa canzone che dici te stava su un album molto particolare in confronto a tutti gli altri, ovvero Cosa Avete Fatto A Metal Carter. Un album particolarmente paranoico, introspettivo e oscuro. Sono argomenti che non ho più ripreso, se non in una chiave molto diversa. Anche quelle produzione così oscure etc. non ci saranno nel nuovo album.

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"Metal Cat"

Parlami di Dimensione Violenza, dai.

Avrà delle basi dure ma molto musicali, digeribili. Non ultra pesanti, per farti capire un po’ come i beat di Sangue. Non uguali, ma più o meno con quel tipo di intensità e di mood. Anche perché non mi sembrava il caso di appesantire ulteriormente i testi con la musica. Ti posso dire che a livello di testi e rime, sicuramente questo album è uno degli album di rap italiano più estremi che siano mai stati pubblicati. Non dico il più estremo perché magari, non lo so, è un assolutismo che può essere confutabile. Però è tra i più estremi sicuramente. Non parlo di produzione, attenzione, parlo delle liriche. È il più diretto che ho mai fatto, il più esplicito, non ci sono paranoie. È solo aggressivo. Uscirà per un etichetta che si chiama Mandibola, di Bologna, che a sua volta è stata l’etichetta che all’epoca fece uscire Odio Pieno del Colle. Sono venuto a contatto con loro tramite Ice One, che saluto e ringrazio, e due amici che sto frequentando spesso ultimamente, cioè Fetz Darko e Denay.

Si sa quando uscirà?

Le registrazioni sono finite, sta in fase di mixaggio. Però non voglio azzardare a dirti una data ancora. Tra l’altro è l’album la cui produzione mi ha impiegato più tempo in assoluto. Fare un album solista è molto stressante, devi pensare un po’ a tutto. Come al solito i feat ci sono, non troppi, ma non voglio anticipare niente. Poi quando sarà il momento sulla mia pagina Facebook o sul sito renderò noto tutto.

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Ok, non insisto. Parlando di rap estremo, ci sono artisti che apprezzi e che ti sembrano tali, adesso?

Mah, ogni tanto sento un po’ di gente che vedo che mi scopiazza un po’ e questo mi dà molto fastidio. È una cosa che non sopporto. Poi non lo so, mi piacciono un sacco di rapper, di solito più distanti sono dal mio concept più mi piacciono. Perché ovviamente ci sono molti modi di essere hardcore, estremi etc. Ascolto anche molto rap americano. Ci sono un sacco di gruppi americani che mi piacciono, ho una pessima memoria, ma diciamo che la cosa che più mi ha interessato è stata “l’italianizzazione” del rap.

Di cui hai ampiamente parlato nei tuoi primi lavori. Tu e gli altri non facevate altro che dissacrare questa tendenza all’imitazione senza scrupoli del rap americano. “Fuck Hip Hop” ne è l’emblema, no?

Sì, poi quel pezzo è stato inserito nella tracklist soprattutto per creare polemica. Noi lo sapevamo che avrebbe dato fastidio a molti. In realtà adesso neanche ci rispecchiamo più al cento per cento in quel testo, perché comunque siamo cresciuti e certi clichè rap li abbiamo iniziati ad accettare. Non tutti, però qualcosa sì. Siamo diventati più rap nel globale in confronto all’inizio. All’inizio la dissacrazione era fondamentale. Abbiamo scoperto che in America c’erano, e ci sono ancora, dei rapper che stanno in linea con noi a livello di attitudine, a livello di testi, di immaginario. Abbiamo anticipato una cosa che là già esisteva, ma standone all’oscuro. L’abbiamo scoperto dopo che in America c’erano questi gruppi così simili a noi.

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Ripensavo ai tuoi cortometraggi, quelli che facevi con Gel e Otillaf all’inizio. Avevano un filo conduttore, preannunciavano qualcosa? O erano solo un diletto del momento?

Erano dei cortometraggi fatti in modo molto istintivo, quasi sbrigativo. Sicuramente avrebbero meritato più cura. Partecipammo a un festival con un mediometraggio che si intitolava La Maledizione del Demone Etrusco. Il festival si chiamava Joe D’Amato Horror Fest, lo facevano a Pietrasanta. Era per dilettanti, e potevi fare un corto, medio o lungometraggio. Tra l’altro diverso materiale nostro venne proiettato.

Sì? Quale?

Non è mai uscito questo film, per vari motivi. Però è stato proietatto, non mi ricordo in quale anno, a questo festival. Sarà stato in un lasso di tempo che va dal 2006 al 2008. Ti ripeto, non è mai stato pubblicizzato, quindi è finito un po’ nel dimenticatoio.

Ok. Altra cosa… Otillaf che fine ha fatto?

Ahahah! Calcola che Otillaf è un ingegnere di stato… Però, guarda, come ti dicevo prima, eravamo più focalizzati sul fatto di dissacrare per poi creare noi nuovi cliché, nuovi termini di giudizio. Crescendo siamo entrati di più nel rap game, e quindi questa figura di Otillaf è stata un po’ accantonata. Era più legata agli inizi. Era, ed è ancora, una specie di mascotte, di personaggio bizzarro, demenziale. Così.

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Vabe’, ora quindi è ingegnere di stato.

Sì! Un’ulteriore complicanza… Ha una cultura e un’intelligenza incredibile, proprio per questo poi si sfogava in queste cose demenziali. Anche lui è un ottimo amante del cinema, tanto per dire. È una persona fantastica. Abbiamo solo un po’ mollato questo personaggio, perché poi alla fine abbiamo imposto il nostro stile e siamo entrati nel rap game classico. Prendendoci le nostre distanze, però insomma, siamo diventati un gruppo rap a tutti gli effetti, senza bisogno di mascotte. Quel tipo di cose le preferivamo più all’inizio. Era un approccio più legato al 2000, al 2003, appena dopo Sangue. Diciamo che è stato molto presente fino al 2005-2006. Poi come amico lo è sempre.

Belloni voi. Ultima roba. Per quanto riguarda la letteratura, ne hai qualcuna particolare che ti ha affascinato?

Ultimamente leggo molto poco, a livello di horror tempo fa leggevo molto Lovecraft. Poi boh, soprattutto quando vado a suonare, leggo riviste di cronaca. Nera.

Chiaramente. Solo femminicidi.

Ahah esatto, cose del genere. Tanto queste cose esistono, quindi che dobbiamo fa’. Se dovessi decidere io le proibirei…

Grazie Marco è stato un piacere.

Grazie a te, saluto tutti i fan!

Se vuoi incontrare Carter di persona, venerdi 15 Novembre da Graff Dream, (via Noto 35, Roma) ci sarà l'instore di Master Of Pain. Altrimenti seguilo su Facebook, Twitter o Instagram.

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