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Musica

John Frusciante: estasi e agonia di un dio della musica

"La musica per me è un tempio sacro… Essere facile non è di certo una dote, in quest'ambito. Il mio unico pensiero è studiare continuamente tutti i generi musicali possibili, altrimenti mi ammazzerei."

Illustrazione di Jessica Butler

Mi ricordo perfettamente il giorno in cui il mio primo CD dei Red Hot Chili Peppers apparve nella buca della posta. Il titolo di Blood Sugar Sex Magik mi faceva un po’ sclerare, quindi avevo ordinato il Greatest Hits. Lo ascoltavo come un giovane leone si gusta la prima gazzella: lacerando "Californication", succhiando via il midollo da "Otherside", estraendo pezzi di "Scar Tissue" dai miei denti. I Red Hot riuscivano a trasmettere emozioni crude, con motivetti dolci e carnosi. John Frusciante fissava il sentimento con l'eleganza: i suoi riff di chitarra apparentemente semplici fluivano con una naturale innocenza ed esperienza. Essere giovani non era mai stato più esplicito.

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Un decennio più tardi mi ritrovo al telefono con l'agente di un uomo che molti considerano il miglior chitarrista dell'era moderna. "Se vuoi un Frusciante felice, c'è un preciso argomento che devi evitare: i Red Hot Chili Peppers."

Il tumultuoso rapporto di Frusciante con i Red Hot è praticamente leggendario. Lasciò il gruppo nel 1992, adiratosi per l'eccessiva popolarità raggiunta dalla band. Dopo interminabili lotte contro la tossicodipendenza e la depressione, tornò nel gruppo nel '98 in occasione di Californication, per poi abbandonare nuovamente la formazione nel 2009. Fu proprio in tale data che sparì per la maggior parte delle persone al mondo. C'è però da dire il suo estro creativo non ha mai subìto rallentamenti: negli ultimi tre anni ha prodotto un album hip hop per i Black Knights (un gruppo affiliato ai Wu-Tang) e ha rilasciato tre album solisti, uno più particolare dell'altro. L'ultimo, Enclosure, è uscito ad Aprile e contiene di tutto: drum & bass, hip-hop, sprazzi IDM, campioni torbidi, batterie anni Ottanta, falsetti annoiati e una salutare dose di virtuosismi. Tutto ciò convive in perfetta armonia in "Fanfare", dove Frusciante ulula e canticchia sopra a cori in sottofondo, a sintetizzatori Italo Disco epicheggianti e a gigantesche batterie anni Ottanta, concludendo con un assolo direttamente dallo spazio interplanetario. È facilmente la musica più singolare di chiunque all'interno della Rock and Roll Hall Of Fame.

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"Frusciante dio della chitarra" porta a 73mila risultati su Google. Per la maggior parte della gente JF è sempre stato affascinante, un ventenne dai capelli lunghi che agita il proprio pacco di fronte alla folla di uno stadio. Un dio del Rock che dal vuoto cosmico incanalava assoli in grado di sciogliere il cervello, il tutto, mentre Kiedis e Flea si agitavano sul palco come ossessi. Per un po' ha funzionato, ma l'uscita dal gruppo e le successive release mostrano un'evidente tensione fra la propria immagine pubblica e l'estro creativo: per Frusciante, la chitarra è sempre stata soltanto un mezzo per raggiungere un fine.

"La musica per me è un tempio sacro… Essere facile non è di certo una dote, in quest'ambito. Il mio unico pensiero è studiare continuamente tutti i generi musicali possibili, altrimenti mi ammazzerei."

Facendo un paragone con gli Dèi dell'Olimpo, Frusciante è meno Dioniso (al contrario di Kiedis) e più Efesto, l'oscuro fabbro divino. È un maestro di tecnica con uno spirito mistico. Durante una telefonata che si è protratta per oltre un'ora, John ha descritto la propria devozione alla musica come il mestiere dell'artigiano. Ha invocato il ruolo dell'anima nell'arte del campionamento, ha parlato teoreticamente di hip hop e ha spontaneamente discusso a proposito del rapporto con "la band". A volte è capitato che semplici e distese domande provocassero risposte nodose. Il tono della sua voce è rimasto invariato lungo tutta la telefonata, ma potevo percepire i decenni di frustrazione emergere dalla sua dissezione delle dinamiche della band e dell'industria musicale. Ugualmente presenti erano la chiarezza e la determinazione che vede nell'atto compositivo, il credo quasi religioso della musica come forza superiore. È un individuo brillante, idiosincratico e indiscutibilmente ispirato. Ascolta la sua musica nella sua "sedia speciale". Potrebbe essere l'ultima speranza per il genere umano. Ecco a voi l'unico e inimitabile John Frusciante.

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Noisey: Come hai iniziato a fare musica elettronica?
John Frusciante: Circa un anno prima di essermi ricongiunto con i Red Hot Chili Peppers potevo figurarmi nitidamente nella testa che il mio stile compositivo e gli strumenti elettronici (sintetizzatori, drum machine e altre cose, ero in fissa con il breakbeat) avrebbero potuto lavorare perfettamente insieme. Tutto ciò non è successo finché nel 2006 ho iniziato ad interessarmi dei macchinari che avrebbero potuto interessare una persona come me. Così è iniziata la mia scoperta di tutti gli strumenti Roland degli anni Ottanta, il tipo di strumenti che si addicono perfettamente a chi ragiona come me.

Parlami della tua tecnica di campionamento.
Il campionamento mi dà l'opportunità di studiare la musica dal punto di vista fisico, oltre che i dettagli relazionali dei ritmi nota per nota. Inizialmente mi intimidiva un po' perché ero fossilizzato sulla concezione della registrazione di altra musica come qualcosa che avrei rovinato. Ascoltavo gente come gli Autechre o Venetian Snares, ma non avevo la minima idea di come poter traslare un pezzo in un altro. Con il campionamento la tua anima trova la strada per trasformarsi in qualcos'altro. A volte le persone si immergono a tal punto nella concezione della piacevolezza della musica che ci si può dimenticare del fatto che, per ogni strumento, è come una guerra. Un aspetto che, nel mio rapporto con la chitarra, non si è mai affievolito: se non sento di lottare contro qualcosa è come se non stessi facendo niente. Con i campioni è assolutamente la stessa cosa: è come una battaglia. L’unica soluzione è unirsi nell'adorazione della forza musicale, e qui c’è da dire che pensare alla musica come a una proprietà sia una maniera totalmente errata di interpretare la sua portata e la sua storia.

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Parli di chi è possessivo con la propria musica?
Esatto, credo che la gente non dovrebbe pensare alle proprie opere musicali come una forma di proprietà. Mentre credo che non ci sia nulla di male se gli uomini di affari vedano la musica come un oggetto esclusivo, ritengo che un approccio avido su qualcosa così astratto come la musica abbia un effetto terribile sul modo di pensare di un musicista. Il folk è stato tramandato da persona a persona lungo le generazioni: non vedo con quale interesse economico il music business abbia spinto le persone a considerare i propri prodotti come un mucchio di proprietà. La musica non è un semplice oggetto da scambiare in cambio di denaro, è una forza superiore e dovremmo adottare tutti un approccio più religioso, meno parziale, nei suoi confronti.

Forse è un po’ inquietante pensare a se stessi come semplici interfacce di una forza superiore, anziché come soggetti creativi.
Quando produco è come se fossi in una chiesa o qualcosa del genere perché sembra che una presenza scenda dal cielo e si riveli a me. È come l'arte. Il mio lavoro è bilanciare la parte impulsiva e la parte pratica, e lasciare che il lato più mistico, ineffabile mi penetri come qualcosa che non posso controllare, divento uno studente di questa forza, o…

Un sacerdote?
[ride] Sì, ok, come un ricettore umano, uno che crede nella potenza essenziale della musica come qualcosa di superiore a me.

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Parlami del tuo alias "Trickfinger".
Oh, be’, quello è un nomignolo che usa a volte mia moglie quando suono qualcosa di esagerato con la chitarra [ride]. Anche i miei rapper mi chiamano così.

Come hai iniziato a lavorare con i Black Knights?
Avevo fatto una traccia con Monk, che avevo conosciuto tramite RZA, abbiamo passato un bel po' di tempo assieme da sei anni a questa parte. Ho pensato "Ok, l'hip hop potrebbe essere interessante perché potrei vederlo come la creazione di spazio sonoro, la creazione di variazione ritmica dello spazio, che poi è il groove". Abbiamo registrato una cosa come 50 tracce nell'ultimo anno e le prime undici sono quelle che sono state inserite nel primo album.

Qual è il tuo album rap preferito degli ultimi anni?
Non me ne piace nessuno, non penso che ce ne sia uno in particolare.

Che cosa manca per te nell'hip hop?
Negli ultimi vent’anni ho sperato che ci fossero più campionamenti nell'hip hop. Adoro quando RZA fa hip hop. È senza dubbio il mio produttore preferito. I primi due album di Eminem prodotti da Dr. Dre sono stati, a mio avviso, l'esempio più ambizioso di preservazione dell'essenza dell'hip hop tramite l'impiego gratuito di campioni da parte di un artista. In generale, mi piace la musica old school. Quando ascolti qualcosa di nuovo non sai come si evolverà, ma sai da dove proviene. Vorrei precisare che non faccio hip hop perché mi piace più di ogni altro genere. Trovo semplicemente che sia un genere davvero malleabile, che assorbe ogni tipo di musica: può essere synth pop, può essere classica o persino jazz. Se il beat è cattivo la melodia può essere qualsiasi cosa.

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Già, non ha limitazioni.
Quando suoni in una band rock il cantante ascolta un determinato tipo di musica e il mood dipende solo da lui. Gli altri membri della band ascoltano il cantante e, seguendolo, cercano di suonare a tempo in modo che lui possa seguire loro a sua volta. È una contorta combinazione di gerarchie che nell'hip hop non esiste, perché la musica è totalmente slegata dal rapper. Se quest'ultimo rappa fuori tempo, i musicisti non hanno bisogno di adeguarsi al cambio di velocità, perché il beat è immutabile finché il rapper sputa rime su rime. Mentre si rappa la base sta per conto proprio.

Quindi ti senti più libero da produttore?
Quando scrivo canzoni con un cantante esistono tutti i tipi di interazioni musicali possibili. Il cantante è di solito dovrebbe avere una mezza idea di come vorrebbe che risultasse la traccia, di come potrebbe cantarla e di come poterla memorizzare. Invece, finché i rullanti sono al loro posto, un MC continua a rappare incessantemente e con molte più libertà di quante ne potrebbe avere il nostro cantante.

Hai ragione.
Comunque apprezzo molto l'indipendenza che ho dai rapper con cui collaboro, perché mi sono sempre fidato della mia visione creativa. Trovo esasperante il dover discutere di musica con le altre persone. Come ho già detto, la musica è come un tempio sacro in cui trovo me stesso, e non deve in nessuna maniera costituire una fonte di frustrazione o una ragione per offendere qualcuno. Ho sempre avuto a che fare con questa merda, per cui è davvero un piacere sentirsi parte di un "facciamolo tutti assieme", senza alcun tipo di discussione inutile. È una vera e propria celebrazione. Finché stiamo lontani da pianificazioni e da lotte per posti di lavoro possiamo continuare ad interpretare la musica come la diretta composizione sonora dell'ingegno umano. I conflitti personali non dovrebbero mai avere a che fare con il fare musica e impartire ordini alle persone non necessariamente significa comporre. Ho sempre pensato che lo fosse, ma col tempo è emerso che non lo è affatto.

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Dimmi di più sulle frustrazioni incontrate lungo gli anni passati in studio.
La musica può realmente essere un mero atto produttivo; non ha bisogno di essere una questione di "no, non mi piace" o "questa parte non funziona per me," anche se, alla fin fine, è proprio quello che accade negli studi di registrazione. Stai costantemente a dire "sì" o "no" a qualsiasi cosa. Ma non si sta parlando di vera musica, sai? Non ti stai minimamente avvicinando alla comprensione della musica, se ti approcci così. A cosa punta una pop band, ad essere accattivante? A farsi piacere da tutti? Non è un'abilità che puoi sviluppare… Sai quanto denaro viene sprecato dagli artisti pop per raggiungere obiettivi tutt'altro che nobili, per piacere all'ascoltatore medio? Non è mai stato l'obiettivo dei compositori classici o dei musicisti jazz. Se stai pensando in un modo completamente estraneo alla musica, le stai mancando di rispetto. La stai trattando come un oggetto da sfruttare a tuo piacimento, anziché un qualcosa di superiore per cui ti dovresti ritenere fortunato.

Mi sembra di capire che tu stia facendo una distinzione fra musica costruita per piacere alle persone e musica per elevarsi.
È proprio così. Adoro ascoltare musica religiosa, tipo Bach. Quando Bach scrisse le sue composizioni corali lo fece con spirito di devozione nei confronti di qualcosa di superiore, di sconosciuto, che ti rende fortunato di poterlo lontanamente capire. Lotterai per tutta la vita senza mai capire tutto ciò, ma avrai composto moltissima musica e questo ti avrà fatto crescere, sai? Il senso critico non è affatto sufficiente per far crescere la musica in sé, semplicemente perché, come hai detto tu, sfrutta la musica per piegarsi alla volontà umana. Tutti hanno un desiderio profondamente radicato di ascoltare musica, ma più si desidera di ricevere attenzione dalle persone con la propria musica e più si userà tale attenzione per incrementare il guadagno derivante da essa: io rifiuto semplicemente questo modo di pensare. Sono contento di essermi concentrato sul ragionare in questi termini quando ero nella band, anziché mirare ad una felicità terrena, sai? Perché altrimenti mi sarei ammazzato.

Puoi spiegarmi più precisamente come si sono svolte tali dinamiche all'interno dei Red Hot Chili Peppers?
Quando avevo solo vent'anni, nei primi due anni nella band, l'impatto del successo mi ha separato dal modo che avevo di vedere le cose. Diventai insoddisfatto della mia composizione, del mio modo di suonare la chitarra, del far parte della band: tutto risultava avvilente. Da quell'orribile esperienza ho capito che non ho affatto il privilegio di servirmi di questa nobile arte. Se avessi pensato "Voglio che la gente mi veda in questo modo. Devo adempiere a questo compito nella musica", mi sarei ucciso o roba del genere. Era terribile pensarlo, così ho iniziato a smettere di considerare Flea e Anthony come dei modelli da seguire perché erano semplicemente diversi da me. Loro sono due grandi uomini di spettacolo e, per loro fortuna, non hanno bisogno di così tanto impegno nella musica quanto ne necessito io. Per arrivare lontanamente a ritenermi degno, io ho dovuto studiare le forme di musica pop, jazz, classica, elettronica e rock. Ecco come devo fare per vivere in sincronia con me stesso, capisci? Così, a circa 21 anni ho iniziato a concentrarmi seriamente sul mio futuro da musicista, smettendola di pensare a voler essere di successo. Ero finalmente convinto del mio futuro da musicista. Poi, però ci fu il tour di Blood, Sugar, Sex, Magik, e ricaddi nuovamente nello stesso errore, perché avevo smesso di pensare come avrei dovuto. Mentre quando sono tornato nella band, nel '98, ho fatto in modo di non separarmi mai dalle mie cuffie, dal lettore CD o dal mio modo di sedermi nella stanza sopra alla mia sedia speciale per suonare la chitarra. Ciò che non avevo capito la prima volta era che se non mantengo vivo il mio rapporto con la musica, semplicemente mi sgretolo in mille pezzi.

Capisco.
All'epoca non sapevo proprio cosa mi stesse succedendo, ma quando stavamo scrivendo e registrando Blood, Sugar, Sex, Magik sapevo soltanto che la mia vita era un posto magico in cui ero in grado di vivere. Tuttavia, dopo qualche mese di tour mi sentivo già un uomo il cui successo era ormai passato, tipo "È stato bello finché è durato, ma ora è finito tutto". È da pazzi pensare che un ventiduenne possa pensare qualcosa del genere, però lo pensavo per davvero. Mi ero semplicemente arreso. Non pensavo proprio che il tornare a casa e darmi da fare per concentrarmi di nuovo sulla musica fosse un'opzione. Ero davvero depresso, ero destabilizzato perché avevo smarrito ogni fonte di gioia. Ma dal 1998 ho fatto in modo di essere sempre immerso nella musica e questa strategia non ha mai fallito: quello è stato decisamente un periodo di crescita e maturità.

Praticamente, ti sei sentito in trappola a causa dell'album. Incapace di esprimere a pieno le tue capacità creative.
Già, sotto questo aspetto sono molto diverso da quasi tutti i musicisti di professione. Di norma, quando questi ultimi finiscono di registrare qualcosa pensano "Ok, abbiamo finito! Inizia il divertimento", capisci? "Questo è l'oggetto che la gente comprerà e tutti applaudiranno e si faranno tante belle foto." Per la maggior parte dei musicisti è questo l'approccio, ma per me è sempre stato nient'altro che una scocciatura. Ogni volta che si terminava un album mi sentivo come se avessi appena perso un caro amico, mi spiego? Non mi va proprio giù l'idea di impiegare un album per promuoversi come se la musica fosse un mezzo per assicurarti il massimo profitto possibile. Mi sentirei come se stessi tradendo mia moglie. Siamo così fortunati ad avere qualcosa come la musica, per questo motivo trovo irrispettoso trattarla come una schiava o qualcosa di simile. Se non vivessi e non pensassi in costante devozione alla musica come un qualcosa di superiore, mi lascerei pian piano andare fino ad annullarmi del tutto.

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