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Musica

Le recensioni della settimana

Quali dischi ci sono piaciuti e quali no questa settimana: Emis Killa, Marcel Dettmann, Sleaford Mods e altri...

Ogni Settimana Noisey recensisce le nuove uscite, i dischi in arrivo e quelli appena arrivati. Il metro utilizzato è estremamente semplice: o ci piacciono e ci fanno sorridere, o non ci piacciono e ci fanno vomitare.

BANKS
The Altar
(Harvest)

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A volte l'essere umano ha bisogno di pace, solitudine e routine, e non di stimoli. Vi ricordate quanto all'inizio della vostra relazione il prospetto di prendere la macchina e partire per una gita di tre giorni senza aver prenotato niente sembrava una figata e ora invece pensate a quanta benza spendereste e che in fondo sabato sera c'è il Milan e questo emozionante scontro con il Chievo non volevate proprio perdervelo? Ecco, ascoltare The Altar è più o meno la stessa cosa. Alla prima canzone dite, "Hey, che bella la voce di Banks, mi mancava proprio, che saliscendi, che sexy, è proprio la regina dell'R&B." Alla settima iniziate a guardare la playlist di Spotify con i brani consigliati (e vi sentite un po' dei piciu per non aver messo la sessione privata quando l'altra sera avete fatto una sessione assassina di turbofolk per cercare di sedurre quella marciona che vi eravate portati a casa con la promessa di una bottiglia di rosso da finire). Alla tredicesima accogliete la pubblicità che dice "Ascolta le tue canzoni senza pubblicità con Spotify Premium!" con un sospiro di sollievo. Tutto per avere qualche momento per i cazzi vostri, lontani dai cliché dell'R&B contemporaneo.

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VALTER BIRSA

BLACK MARBLE
It's Immaterial
(Ghostly)

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Mettiamo che il Karma ti abbia costretto a perdere qualche ora per ascoltare un album sgraziatamente derivativo (ciao Jamie LIDL, sto ancora pensando a te): se sei fortunato, lo stesso giorno arriverà alle tue orecchie un prodotto quasi egualmente derivativo, ma stavolta in un'accezione così diametralmente opposta che ti farà rivedere addirittura le tue opinioni preconcette sulla riproduzione fedele di canoni passati in musica. È il caso di It's Immaterial, il primo album di Black Marble pubblicato per Ghostly. I riferimenti all'epoca dark wave sono talmente palesi che non c'è bisogno di sottolinearli, anzi, probabilmente sono così radicati nell'immaginario di Chris Stewart che, una volta assodata la natura del progetto, si fanno da parte per lasciare spazio a una scrittura molto scarna, lineare, di pezzi semplicemente splendidi. Stewart dalla sua ha anche il merito di non prendere per buona quella sorta di "trattamento standard" delle riproduzioni di materiale Eighties che vediamo in quasi tutti i tentativi di omaggiare quel periodo (e di questi tempi abbiamo parecchi esempi di quel tipo di procedimento creativo). Il merito di un disco di questo genere sta nel non volersi affermare in merito a un'affiliazione culturale, quanto piuttosto nel volersi far conoscere e amare per l'immediatezza e la semplicità del proprio stile compositivo. Ci troviamo di fronte a undici tracce indiscutibilmente splendide, e questo splendore risalta a prescindere dallo schema di riferimenti a generi e periodi della storia recente della musica—direi che basta questo ad affrancare completamente It's Immaterial da uno status di puro nostalgismo e conferire una dignità autonoma a un lavoro veramente ben fatto, a prescindere da tutto il resto.

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BONNY VERME

HIS CLANCYNESS
Isolation Culture
(Tannen / Maple Death / Hand Drawn Dracula)

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Visto che della genesi di questo disco abbiamo già parlato, terrò al minimo le dichiarazioni circostanziali. Isolation Culture è un album di rara ambizione nel panorama indipendente italiano: le canzoni sono profondamente significative, scritte con lirismo immaginifico ma anche perfettamente comprensibili nel loro messaggio, un messaggio umanizzante che parla di contatto, di ribellione all'apatia personale e politica che contraddistingue quest'epoca (la cultura dell'isolamento, appunto) e di ritrovare il piacere di costruire cose insieme, "costruire sogni" a dispetto, anzi, in diretta opposizione allo status quo che ci vorrebbe divisi. Del resto, di che cosa poteva narrare questo disco, nato da un periodo in cui Clancy ha contribuito attivamente alla formazione di una scena underground che assomiglia molto a un patto di fratellanza tra gruppi grazie a Maple Death? Musicalmente il disco parla inglese, sfoggiando con orgoglio influenze quali David Bowie, Swell Maps e Wire, mescolati con il lato più pop della scena weird-punk americana di fine anni Duemila (Kurt Vile). I momenti più intimisti si alternano a mitragliate post-punk, frammenti di jam, pezzi che spesso suonano più come collage art-rock che come pezzi pop, nonostante la componente di orecchiabilità rimanga sempre fortissima. È un album fatto in casa (non letteralmente, al banco del mixer ci sono Stu Matthews di Portishead e BEAK> oltre a Matthew Johnson degli Hookworms), aperto e onesto, che sembra avere l'ambizioso obiettivo di renderti una persona migliore, e credo che ce la possa fare.

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THE WEATHER, THE LEATHER

MARCEL DETTMANN
DJ Kicks
(!K7)

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Niente da fare, più passa il tempo più Dettmann mi sta sul culo, lui e le sue foto mezzo nudo coi pettorali unti, la sua cazzo di macho-etero-techno di merda e i suoi stramaledetti set impiegatizi di otto ore con l'altro caporaletto della hitlerjugend Ben Klok. Che poi oramai direi pure "jugend" stocazzo che c'hanno quarant'anni per gamba. Ogni loro nuovo disco che esce è un nuovo chiodo nella bara della techno underground e un regalo ai tamarri da realh clebbers. E veramente, il tentativo di farsi bello ficcando in mezzo a queste dodici tracce un botto di electro-EBM undergroundissima non mi impressiona. E quando mai la suoni davvero sta roba Marcé? Anzi, e quando mai la suoni senza affogarla tra carriolate di robaccia? L'unica cosa degna di nota è come Rolando, in veste di remixer, sia riuscito a rendere interessante una sua traccia.

GIANMOSTRO BRUTTASTORIA

EMIS KILLA
Terza Stagione
(Carosello)

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Questo disco di Emis Killa non sembra un disco di Fedez e J-Ax, il che lo posiziona ad anni luce di distanza dal precedente Mercurio, uscito nel 2013 (quello in cui c'era "A cena dai tuoi" , che ad oggi ha la capacità di farmi ribollire il sangue nelle vene). Insomma, non sembra Mercurio perché, a giudicare anche dai vari sfoghi operati a mezzo social network, il rapper milanese ha deciso di far vedere a tutti che lui "è capace". Il problema è che, nonostante tutte le collaborazioni hip-hop più becere e alcune comparsate televisive davvero insipide, nessuno aveva mai messo in dubbio le sue capacità come compositore di rime (alla fine del 2015 avevamo persino inserito un pezzo di Jamil tra i singoli migliori dell'anno, solo grazie a una strofa mitragliata da Emis). Allora qual è il problema di Terza Stagione? Che Emis ci sta effettivamente a prova' e, al di là del singolo dell'estate e un altro paio di sbracate, ha provato a fare un disco strettamente rap. Nonostante questo nessuna traccia è all'altezza della corrente a cui è ispirata, per capirci: il pezzo trap con la base di Big Fish è poca cosa rispetto a qualsiasi altro pezzo trap uscito negli ultimi nove mesi. Il pezzo orecchiabile è poca cosa rispetto a un qualsiasi pezzo di Coco, o a una delle ballate che ha fatto uscire Luché e via così per ogni altro "esperimento" contenuto in Terza Stagione. Se siete appassionati di rap italiano è matematicamente impossibile che questo disco non vi piaccia, ma sicuramente è un po' più facile ricordarsi che "Emis Killa è bravo" quando non si impegna minimamente per dimostrarlo, poi ognuno può decidere le conseguenze di questa evidenza.

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PEGGIO DI MEGLIO PRIMA KUEDO
Slow Knife
(Planet Mu)

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Dalle mie parti si dice "ja manca sempre un soldo pe' fà na lira": Kuedo sfiora sempre il risultato e si impegna pure, ma finisce sempre per mancarlo clamorosamente. Forse sono io che gli attribuisco troppe pretese, o meglio che gli attribuisco una caratura artistica che fa molta fatica a venire fuori. Vabé. Eravamo rimasti con Assertion Of A Surrounding Presence che non era malaccio, però pareva troppo indeciso se voler fare il fichetto o pestare come un fabbro e no, non era una giustapposizone interessante, anzi suonava proprio come un fichetto che prova a pestare e non ce la fa. Chi è riuscito a vederlo live subito dopo (dico riuscito perché ha cancellato metà delle date in una specie di crisi mistica, o di panico… non so) se lo ricorda ancora più confuso: tra enormi buildup e sound design fichissimo che poi sfociava quasi sempre in una trap anticlimatica e poi mezz'ora di jungle pure fica, ma che pareva buttata lì tanto per riempire. Io ci sono rimasto un po' così. E insomma, Slow Knife ennesimo nuovo capitolo del non farcela del tutto si traduce in un disco, come al solito, di pregevolissima fattura. Anzi, direi che la sua craftmanship qua è davvero stellare, e il livello di cura di dettagli e ricami elettronici a tratti lascia davvero a bocca aperta. Peccato che gli manchino un po' le idee… È un disco di (indovinate un po'?) colonne sonore per film sci-fi immaginari. Ahpperò! E sonoramente a chi si ispira? A Vangelis. E alla colonna sonora di Ghost In The Shell. Ammazza che riferimenti per nulla scontati. Fanno eccezione "Broken Fox / Black Hole" e "Breaking The Surface", che invece paiono outtakes dallo score di Under The Skin di Mica Levi. E insomma, l'ennesimo disco che alla fine non è per un cazzo brutto… però mi fa rosicare. Ma forse sono io che sono una testa di cazzo, non ci fate caso.

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CADO ACCASO

JAMIE LIDELL
Building a Beginning
(Jajulin)

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Breve storia triste: la Warp decide di disarcionarti dopo una carriera insieme, e tu la guardi allontanarsi da te come una donna con cui in passato sei stato molto felice, non c'era niente che non andava, e ancora ti chiedi come abbia fatto a preferire Danny Brown a te. Allora cosa fai? Forte della tua maturità artistica e della tua nuova vita (con moglie e figli, altro che Danny Brown, povero stronzo, che avrà pure Warp, ma la felicità non lo sa mica cos'è), decidi che è il momento di riprendere le redini della tua esistenza artistica, dimostrando a tutti che la tua nuova identità extra-Warp è qui e, guardate fuckers, è meravigliosamente positiva e poetica e romantica. Mettici anche che magari ti sei studiato un attimo qualche dato sulla ricezione di roba vagamente revivalistica e hai scoperto che nel mondo la maggior parte dei trenta-quarantenni non vede l'ora di fare il pieno di cose nuove che sembrano vecchie. Perfetto! Esattamente il tuo piano per contrastare quei pezzenti della Warp, ti dici. Ora glielo farai vedere tu, cosa sanno fare i trenta-quarantenni bianchi inglesi, perché il tuo album è esattamente pensato per te e per loro: dentro, ci sono proprio pezzi nuovi che sembrano pezzi vecchi come piace a voi. Ti piace Al Green? Be' impazzirai per Jamie Lidell che sembra quasi Al Green! Ti piace Darondo? Oggi è il tuo giorno fortunato: nell'album di Jamie Lidell c'è un pezzo che ricorda da vicino la sua "Didn't I". Ti piacciono i Jackson Five? Eccone, in versione Lidell. Insomma, il dato evidente di quest'album è che sembra una di quelle compilation che vendono all'autogrill in cui, sì, ci sono i grandi successi, ma sono tutte cover. I grandi successi di altri, in  versione tarocco insomma. E la cosa più divertente è che il loro autore si chiama come un discount alimentare.

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AMANDA STRONZA

THE MEN
Devil Music
(We Are The Men)

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La musica del diavolo è palesemente la musica migliore di tutte, come dimostrano incontrovertibilmente i seguenti fatti: 1) L'Inferno di Dante > il Purgatorio e il Paradiso di Dante 2) L'esistenza degli Slayer 3) L'opera omnia di Giuseppe Povia (completamente satan-free). Lo sanno bene i The Men che, dopo aver provato a fare i Meat Puppets rinchiudendosi in un capanno nel deserto con le acustiche, fatti oltremisura, e avere prodotto un disco mezzo loffio come New Moon, hanno deciso di tornare a fare quello che sanno fare meglio. Ci ricordano infatti perché non ha senso investire più di centocinquanta euro nell'acquisto di una chitarra, un amplificatore e un tizio che ti registri bene: a Satana non gliene frega un cazzo di ProTools, dei volumi e delle sovraincisioni. Bastano un pentacolo disegnato per terra, qualche candela e un paio di sacrifici umani per apparire e rendere immediatamente una bomba qualsiasi opera contenga un riferimento a lui nel suo titolo. E i nostri amici devono essersi proprio impegnati a ottenere il suo endorsement, dato il risultato.

ALEISTER PRODI

RKOMI
Dasein Sollen
(Thaurus)

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L'altro giorno dopo una lunga discussione un mio amico è giunto alla conclusione che: "I pesci è bello pescarli, ma sono inutili". Inutile dire che ho annuito e, subito dopo, preso e accartocciato tutta la mia vita in una bella pallina, pronta da gettare nella spazzatura, via! Quella sensazione a metà tra 'questo tizio è un idiota' e 'questo idiota è un genio' mi ha lasciato incapace di tentare anche solo la velleità di esprimere concetti altrettanto densi e poetici ed è proprio la stessa che ho provato dopo essermi sparato Dasein Sollen di Rkomi. Provo a spiegarmi meglio: come posso pensare di combinare qualcosa di rilevante nella vita mentre mi trovo ad ascoltare l'EP di un tizio che sulla stessa copertina è capace di citare un concetto heideggeriano subito dopo aver scelto come moniker il suo nome con le sillabe al contrario? Per di più le sette tracce sono una più bella dell'altra e, per quanto mi sia impegnato ad odiarle una per una non ho trovato un solo motivo valido. Ad ogni modo è doveroso ricordarsi che un giorno, molto presto, tutti i pesci nel mare scompariranno. E lasciatemelo dire, quel giorno io sarò per i vicoli di Genova a fare festa.

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DELFINO PESCARA

SLEAFORD MODS
T.C.R.
(Rough Trade)

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Non sorprende sapere che Jason Williamson è stato sospeso dal partito laburista inglese, stando alle dichiarazioni ufficiali, a causa dei suoi tweet piuttosto coloriti. Non sorprende neanche vedere che, come al solito, l'establishment non ha capito un cazzo. A fare davvero paura sono questi nuovi pezzi degli Sleaford Mods, che incidentalmente sono più "puliti" del solito (conto solo un "cunt"), ma densi di un veleno che sarebbe in grado di corrodere le fondamenta di Buckingham Palace. Le basi di Andrew Fearn non presentano sorprese, basso-batteria (a volte realistica, a volte più classicamente 808) fedele al verbo delle tre R con inserti sintetici e loop minimali a prendersi carico della sparuta e severa melodia. In queste cinque tracce, che compongono il debutto del duo per Rough Trade, lo scenario è grigio e oscuro e riecheggia la risata sarcastica di Williamson nelle vesti di un novello Howard Beale. È un luogo comune quello per cui i Mods "dicono quello che nessuno ha il coraggio di dire", ma è anche la verità: "T.C.R." se la prende con la routine sociale, con le serate in compagnia che pisci via insieme alla birra; "I can tell" è pop come i pezzi firmati da Bruce Gilbert per i Wire e contiene il verso rivelatorio "I just hope everything gets pulled apart and pushed / Gets pulled apart and bust" che è la logica conclusione di decenni di disillusione verso le classiche categorie secondo cui si giudica la soddisfazione umana—basta mentire a se stessi, leviamo la maschera, guardiamoci in faccia e incazziamoci; "Dad's Corner" è una planata distopica che non a caso ricorda i P.I.L. di Second Edition aggiornati all'epoca post-rap, in cui la cicogna porta solo disastri; "You're a Nottshead" è uno sberlone in perfetto stile Williamson con un beat claustrofobico a circuito chiuso e una sfilza di insulti ad ampio raggio; "Britain Thirst", infine, è una specie di anti-inno britannico, come "Dog is Life/Jerusalem" dei Fall, in cui lo Stato rapinatore si prende la tua anima e tu non puoi farci niente.

JEREMY CORGI

SUN RA / MERZBOW
Strange City
(Cold Spring)

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Ci sono dei momenti in cui sarebbe bello mandare indietro le lancette dell'orologio e far tornare in vita i grandi nomi della musica. E una volta fatti tornare, scatta la curiosità: "Che cosa succederebbe se collaborassero con qualche esponente del contemporaneo?". Bene, la Cold Spring ha tentato di evocare tutto ciò, chiedendo al japanoiser per eccellenza, mr. Merzbow, di interagire con alcune tracce inedite e rare di Sun Ra, direttamente dal mega archivio di Irwin Chusid: l'operazione è intrigante, il risultato invece è da giudicare a seconda dei gusti. A volte il buon Masami sembra non fare altro che sovrapporre i suoi sfasci ai deliri cosmici di Ra, altre volte invece sembra dare maggior respiro al materiale d'archivio. Il problema di base è che manca la reale partecipazione della controparte che, per quanto io creda alle sue teorie solari, difficilmente avrà il tempo di influire dall'aldilà. Però essendo io un grande fan di entrambi non posso che plaudere a questa idea romantica che ha un fondo di verità: come Yoko Ono e Coleman, anche Ra e Akita insieme avrebbero fatto faville. Non abbiamo altra scelta che sognare ascoltando l'incontro fortuito di 'sti due matti.

PANE AZZIMO