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Musica

Gli angoli più vergognosi della musica italiana

Tra canzoni sul farsi le minorenni, rum & cocaina e gente sepolta viva, ecco il male che si nasconde nella musica italiana dal Trio Lescano ai Gemelli Diversi.
franco califano

Chi utilizza Internet con un certo discernimento sa che non è assolutamente consigliabile prendere parte a discussioni controverse online. Questo perché 1) vuoi davvero ricevere 42638917 notifiche per un flame in codice binario? 2) prendere una posizione netta senza fare incazzare nessuno è sempre stata una sfida persa in partenza, a maggior ragione ora che tutti, grazie alla rete, possono impersonare per qualche minuto la corte suprema dei diritti dell'Uomo. A quanto pare, viviamo nell'epoca della cosiddetta outrage culture, la "cultura dell'insulto"—quel processo per cui è molto più facile indignarsi e scrivere commenti arcigno/provocatori piuttosto che cercare di intavolare una sorta di normale discussione. Questo ha fatto sì, ad esempio, che il bot della Microsoft, imparando a vivere online, in meno di 24 ore sia diventato nazininfomane.

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E per quanto tu possa tentare di mantenere un livello di decenza, Internet ti darà la prova che la provocazione, la polemica e la volgarità vincono sempre. Come scrive Josh Baines su THUMP, "Il coinvolgimento social dei lettori ai media digitali è cresciuto progressivamente grazie ai meccanismi di rabbia generati da Internet. Un tempo le pubblicazioni cartacee erano sostenute dagli abbonati, ora le testate online si reggono sui click." E questi click, per la maggior parte delle volte, sono portati dal sensazionalismo e dall'estremizzazione—vedi quella volta che, senza volerlo, ci siamo ritrovati coinvolti nella polemica farlocca tra Morricone e i Subsonica, per citare il caso meno greve.

Non so bene quando l'umanità abbia deciso che fosse giusto relegare la peggior parte di sé alla propria vita online, quello che è certo è che, come sempre, i musicisti su questo luridume ci marciano. Musica e provocazione sono sempre andate a braccetto, e ora con l'aggiunta dell'ingrediente Internet il piatto è completo. Vorrei ricordarvi cosa successe intorno alla metà del 2013. Era il 19 giugno, per la precisione, e Miley Cyrus uscì con il video di "We Can't Stop". Quella che fino a quel momento era una popstar per adolescenti creata dalla Disney con una voce di cristo si era improvvisamente rivelata essere una donna sboccata, menefreghista, femminista, pro-droga e pro-body: tutto quello che il conservatorismo rifugge, perfetta esca per lo slut shaming e infinito motore di controversia mediatica nella tradizionale figura della "good girl gone bad" (un processo per cui più o meno ogni ex-Disney Club / ex-teen idol deve passare se vuol passare ad un pubblico più adulto). Un secondo ciclo di incazzatura venne lanciato dalla sua nudità nel video di "Wrecking Ball", diventato meme nel giro di qualche settimana. Il resto è una storia segnata da momenti memorabili come Pharrell, Juicy J e Robin Thicke che fanno i marpioni con la Ratajowski nel video di "Blurred Lines", Kim Kardashian in topless nel video di "Bound 2" di zio Yeezy, le accuse di misoginia a Rihanna per "Bitch Better Have My Money" e il dibattito sull'appropriazione culturale nei video di Major Lazer, Ariana Grande e Coldplay.

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È innegabile che per fare musica popolare di successo, oggi, l'elemento ah ma non è Lercio sia decisamente da tenere in considerazione. Quello che un tempo era un meccanismo con cui l'underground musicale spingeva per spiazzare la borghesia sonora, oggi è uno strumento nelle mani del pop, che progressivamente si sta mettendo di traverso al "politicamente corretto". Così avviene che gli alfieri del mainstream vadano apposta "contro" i paletti morali generalmente accettati dalle masse, e questo processo è diventato carburante di un grande motore mediatico. Da qualche tempo, come in una sorta di analfabetismo di ritorno, stiamo sperimentando le stesse dinamiche anche laddove di solito aveva casa la ricercatezza, ovvero a livello teoricamente indipendente—ne sono esempi il fenomeno PC Music o Grimes.

Ora dimenticatevi di tutto questo, perché siamo in Italia. Come al solito qui da noi si millanta una cultura lirica profonda, ma strati e strati di vaticanismo hanno cristallizzato la potenza verbale del nostro pop in un'ipostasi vuota e sempre uguale a se stessa. E, ancora più pericoloso, inoffensiva.

Al momento in cui scrivo, nella classifica FIMI dei brani più venduti dalle nostre parti i primi tre con un cantato in italiano parlano rispettivamente di una tipa che si innamora come mai proprio le era successo, di un tipo che a sua volta si innamora pesantissimo e si fa le pippe mentali sull'amore eterno e di credere in se stessi nonostante tutto perché siamo tutti unici e belli. E poi ci sono ancora da Miiiilano fiiino a Bangkok pa-papa-parapà che è solo un pezzo su quant'è bello girare il mondo, Mengoni che canta "Ti ho voluto bene veramente" che chissà di cosa parlerà, e così via. Tendenzialmente, ascoltare musica italiana è innocuo e infruttuoso come un Buongiorno di Gramellini. Mentre oltreoceano si parla di poptimism, noi ci sorbiamo una proposta musicale terribilmente generalista, il che ha creato una coscienza culturale dell'ascoltatore medio—quello da RTL 102.5—sciapa, distaccata dal mondo e dai dibattiti che rendono potenzialmente vivo e interessante l'atto di fare e ascoltare musica.

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Ma c'è stato un tempo in cui il nostro pop era diverso. Venivano scritte, cantate, trasmesse, ascoltate e vendute canzoni che oggi non passerebbero la prova censoria delle strutture generaliste. Ho pensato di esplorare, a livello storico, questo distacco tra testualità e realtà nel passato e nel presente della musica italiana. Provate a immaginare quanto poco durerebbe la carriera del Fragola di turno se gli permettessero di pubblicare canzoni come quella qui sopra.

Disclaimer: ho cercato di evitare esempi troppo ovvi, quindi niente "Bocca di rosa" o "Dio è morto" a 'sto giro.

LE CANZONI CHE PARLANO DI MINORENNI

Iniziamo dal peggio del peggio: da un filone praticamente dimenticato dal tempo e solo tangenziale al nostro discorso, ma comunque utile a dimostrare l'evoluzione del politicamente corretto in musica negli anni: quello delle relazioni con le ragazzine. Una narrazione che ha appassionato generazioni di vecchi laidi, da Nabokov alle baby-squillo dei Parioli. Non che parlare di minorenni o quasi in chiave erotica sia mai stata una questione non-problematica, intendiamoci, ma sarebbe praticamente impossibile, oggi, per una persona minimamente famosa cantare di un argomento simile – figuriamoci farlo realmente. Gli esempi passati, però, non mancano: a livello musicale c'è il celeberrimo "Lemon Incest" di Serge Gainsbourg con sua figlia Charlotte, mentre nel mondo reale si passa da Jimmy Page, che fece teoricamente prelevare in modo semi-forzoso la quattordicenne Lori Maddox per farci un po' quello che gli pareva, a Steven Tyler che si fece dare la custodia legale di una sedicenne Julia Holcomb per poi starci assieme tre anni. Questo era possibile solo ed esclusivamente a causa dell'assenza di una struttura mediatica sempre pronta a cercare profitto dallo scandalo: un Gawker degli anni settanta avrebbe cercato di fare i milioni su storie del genere, così come oggi cerca di fare (fortunatamente, fallendo) con i filmini amatoriali di Hulk Hogan.

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È quindi divertente rendersi conto di come ci siano diverse canzoni italiane, più o meno famose, che trattano esattamente questo argomento, e nessuno abbia mai battuto ciglio. Nell'embed là sopra potete ad esempio ascoltare "Pomeriggio Ore Sei" dell'Equipe 84, a firma del cantante Maurizio Vandelli, pubblicata come singolo nel 1968: un pezzo che esordisce con la tranquillissima dichiarazione "Lei è molto giovane ma per questo non sarà / Che dobbiamo attendere la sua maggiore età". Il narratore descrive una relazione clandestina, vissuta nei pomeriggi in cui il padre di lei, che "parla di moralità" ed è spesso al lavoro, e quindi non può impedire al protagonista del pezzo di andare a timbrargli la figlia, dato che "non c'è amor platonico come ai tempi suoi". Che è da un lato un'onesta rappresentazione dell'evoluzione dei costumi dell'Italia degli anni Sessanta, ma dall'altro qualcosa di leggermente inquietante.

Passiamo a "15 anni" dei Quelli (che sarebbero poi diventati la PFM), dal loro esordio autointitolato del 1969, ed entriamo in territori da To Catch a Predator. "Ti accarezzo e la tua mano stringo già / Stai tremando e non sai che cosa fare", dice il testo: "Forse tu non capirai / Quindici anni solo hai". E per quanto il ritornello esploda in un "Io vedo nascere un amore che io so già perderò", resta che il pensiero oggi correrebbe a un'indagine della postale piuttosto che ad un amore impossibile.

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Allo stesso modo i Pooh, zitti zitti quatti quatti, ci hanno fatti dimenticare che la loro "Piccola Katy" aveva sedici anni. Anche se dal vivo Facchinetti e compagni tagliano sempre tatticamente l'intermezzo parlato che il brano ha nella sua registrazione originale, YouTube ci arriva in aiuto e non lascia scampo a interpretazioni non maliziose: "Il mondo è buio, è cattivo, non è fatto per te / Non andare, non gettare al vento i tuoi sedici anni favolosi". Almeno la voce narrante non sembra avere intenzioni troppo dirette nei confronti di Katy, ma frasi come "Stanotte hai capito / che carezzandoti ti hanno tradito / e alle tue mani han rubato il calore / che si conquista in un'ora d'amore" delineano una situazione non particolarmente piacevole per una ragazzina adolescente.

Concludiamo con un gruppo che riprenderemo più avanti: i Decibel di Ruggeri, che se ne uscirono nel 1980 con "Teenager", un pezzo scritto dalla prospettiva di un cantante che "non ha più bisogno di groupie", e quindi si dedica a una ragazzina senza essere assolutamente viscido: "Forse sei solo novità / Forse sarà per la tua età / Ma adoro mettermi nei guai", dice. E "se ti porto via con me forse una ragione c'è", conclude, con le sirene della volante che compaiono all'orizzonte. Forse è da qua che gli Oingo Boingo hanno trovato ispirazione per la loro "Little Girls".

LE CANZONI CHE PARLANO DI SESSO (NON) CONVENZIONALE

Lasciando stare le minorenni, penso che chiunque legga Noisey sia d'accordo con me nel dire che fare sesso è potenzialmente una cosa molto bella. Tuttavia, l'amore che potete sentire descritto sulle vostre stazioni radio preferite è, oggi, un sentimento inevitabilmente consensuale, idealizzato, glorificato e problematicamente intercambiabile. È lo spettacolo dopo il big bang, è l'universo tranne noi; è una palla clamorosa. Conseguentemente, il sesso reale—finché cantato in italiano—è un argomento praticamente tabù a livello musicale. Rendersi conto di questo implica però una curiosa visione problematica di come sia stato complicato raccontare il "leggermente ampio" campo delle relazioni umane, soprattutto nei momenti esterni a quello che Santa Romana Chiesa reputa "normale". Provate a pensare che, non aveste ascoltato "Mi Ami?" dei CCCP in una delle cassette di vostro padre, la vostra idea del sesso in musica sarebbe potuta essere inestricabilmente legata ad una relazione monogama ed eterosessuale, o comunque in funzione di essa.

Prendiamo "L'odore Del Sesso" del Liga: dato che ce l'ha pure nel titolo, uno si aspetta un bel pezzo sporco, sudato, passionale. E invece via di pippone sul fatto che chissà se è amore o non amore, se il tempo lava via il dolore, e bla bla bla. Se oggi i nostri gatekeeper discografici permettono ai propri artisti di scrivere del coito, lo fanno inevitabilmente con la fascia protetta in mente, a differenza dei loro colleghi statunitensi. Ed è così da una quindicina d'anni: "Fuoco Nel Fuoco" dell'Eros nazionale è considerata generalmente un grande brano d'amore carnale ma, se facciamo attenzione a quello che effettivamente esce dalla sua bocca, la cosa più scabrosa che viene fuori è un "Vorrei sentire i tuoi seni accendersi, poi / Come due piccoli vulcani sentirli sotto le mie mani", che è una proposta eccitante come un'inaspettata mano sulle gambe in un tram affollato. Oppure, tiriamo in ballo "Buongiorno Bell'Anima", dimenticabile inno al sesso noioso del Chris Martin italiano, Biagio Antonacci, da cui vi riporto qua sotto la parte più stimolante:

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Voglio fare con te
L'amore vero quello che
Che non abbiamo fatto mai
Quello dove alla fine si piange

Colgo quindi ora l'occasione per rivendicare, oggi, il valore immenso di una canzone che è molto probabilmente servita a scatenare gli istinti ludico-riproduttivi dei cinquantenni di oggi, e quindi a contribuire all'esistenza dei nati tra il 95 e il 96: "Sentimento Pentimento" dei Neri Per Caso. Tra le varie forme musicali che uno può affiancare alla bellezza dell'ammore, quella di "gruppo vocale italiano" non è certamente la più gettonata. Ma, contro qualsiasi preconcetto, "Sentimento pentimento" è la trattazione più positiva e progressiva del coito mai apparsa nella musica italiana moderna.

Analizziamola: "Non restare sulla porta / Entra pure se ti va / Che se non sarà stasera / Prima o poi succederà". Non è un inizio lurido, niente strizzatine d'occhio. Sono le prime pennellate di una scena d'interni. È una proposta in cui è già insita l'accettazione di un eventuale rifiuto: magari succede, magari no. Stiamo bene comunque. Il narratore è umano, si fa anche un po' di paranoie: "Maledetta timidezza / Che la voce se ne va", dice. Ci sarà capitato a tutti, no? Siamo a casa l'uno dell'altro/a, è tutto lì, è tutto a posto, ma siamo immobilizzati tipo in "Girl Afraid" (dato che stiamo parlando di amore da cameretta ci dovevo mettere un pezzo degli Smiths, scusate). La lezione dei Neri per Caso è sempiterna: "Quando c'è sentimento / Non c'è mai pentimento". Che uno dice, "Ah, ma intende che si può far l'amore solo se c'è amore". E invece no, e ancora no, e lo giustifico a destra:

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"Tutto gira intorno al sesso / perché il sesso tira su
Ma bisogna farlo spesso/ non esistono i tabù
Fare sesso è naturale / e va bene ad ogni età
Non c'è niente di immorale / e beato chi lo fa."

In un'Italia post-family day, il messaggio dei Neri Per Caso è di una bellezza rara. Ed è ugualmente liberatorio rendersi conto che una quindicina di anni fa pure il rap più pensato in chiave commerciale non si faceva tutte 'ste paranoie a lanciarsi in grezzi edonismi, come ci insegnava nel 2002 la "Spirale Ovale" degli Articolo 31. "Guardarti accende un desiderio incontenibile" potrebbe essere un incipit anche un po' all'acqua di rose, e invece J-Ax era riuscito a scrivere un testo che non solo non glorificava la figura dell'uomo-rapper macho e seduttore, ma riusciva invece a parlare candidamente di una relazione umana, fatta di persone "vive e nude".

In una logica merito-demerito non possiamo non citare qua "Pere", brano sì scherzoso ma profondo come la pianura Padana e potenzialmente dannoso – almeno "Spirale Ovale" proponeva ai pischelli che si ascoltavano il rap sul walkman alla stazione dei pullman un modello d'amore reale, aperto ed umano. Nel frattempo i loro equivalenti contemporanei si beccano le lamentele da Uomini E Donne di "Cigno Nero", il machismo di "Single A Vita" e l'ironia spicciola di "Credevo Fosse Amore E Invece…", con il suo colpo di scena degno di Natale in India ("È una puttana, li mortacci!", dice il Boldi di turno, scoppiando in una risata fragorosa).

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Una grande sotto-categoria di questa tematica, che meriterebbe un articolo a sé, è l'evoluzione del trattamento dell'omosessualità nella canzone italiana. Qua mi limito a riproporre dei fatti per indurre un paragone. Gian Pieretti, cantautore pistoiese sfortunatamente semi-dimenticato, esordì ed ebbe successo nel 1964 con un singolo intitolato "Uno Strano Ragazzo" in cui parlava con piacevole e saggia ironia delle difficoltà incontrate da un ragazzo omosessuale nella società di allora. Scrisse musiche e testi per I nuovi angeli, Rocky Roberts, I Quelli e molti altri. Venne pure scelto da Kerouac per accompagnarlo in giro per l'Italia in una serie di conferenze, come esemplare cantante di protesta italiano. Una decina d'anni dopo, scrisse un concept album sull'esperienza di un amico gay, "Il vestito rosa del mio amico Piero", edito da una Ricordi che si guardò bene dal pubblicizzarlo. La carriera del Pieretti inciampò, e da allora non si è più rialzata. Nei decenni successivi ci sono stati numerosissimi e splendidi messaggi vitalmente androgini e queer nella musica italiana. Nonostante tutto, nel 2009, un brano con scritto "pregiudizio" sulla fronte come "Luca Era Gay" di Povia è arrivato secondo a Sanremo. Se di omosessualità si parla in positivo, invece, si finisce ostracizzati come Immanuel Casto.

Basta, tra l'altro, dire "Sanremo" e il pensiero corre a una colonna della TV italiana come Raffaella Carrà, che nel 1976 se ne uscì con un proto-inno femminista come "A Far L'Amore": "Se ti porta su un letto vuoto, il vuoto daglielo indietro a lui / Fagli vedere che non è un gioco, fagli capire quello che vuoi". Non c'è poi molta differenza di messaggio con il "Possiamo fare quello che vogliamo" di Miley Cyrus: Miley e la Raffa sono entrambe figlie della TV, ed entrambe hanno voluto/sono state scelte per rappresentare un certo stile di vita, e relazionale, libertino e "contro", con solo qualche anno di distanza. E prima ancora, ad annunciare l'arrivo della Raffa nazionale, era arrivato in pompa magna il "Tuca Tuca": e ci dispiace per gli amici di Udine ma, anche se la firma del testo è di Gianni Boncompagni, a pensarci bene essere riusciti a dire più volte sulla RAI del 1971 che far l'amore era bello da Trieste in giù è stata una grande vittoria.

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Chiudiamo la sezione con un oggi improponibile inno ai one night stand, direttamente dal 2003, firmato da quegli eroi chiamati Eiffel 65: "Una notte e forse mai più". Perché, per quanto il pop italiano stia cercando di convincerci del contrario, fare tutto in una sera con una persona e non sentirsi una merda appena dopo è possibile. È anche potenzialmente una merda, ovvio, come Tinder spesso insegna, ma è parte dell'esperienza relazionale contemporanea, nonostante la gente che si fa i profili di coppia su Facebook e va a vedere i Modà dal vivo si sia convinta del contrario (apro e chiudo questa parentesi per dire che il pezzo di "Sono Già Solo" in cui Kekko canta TORNERAI TORNERAI *armonico naturale di chitarra elettrica tamarrissimo* ALTROCHE SE TORNERAI mi pompa da dio).

LE CANZONI CHE PARLANO DI VIOLENZE E BRUTTURE

Disclaimer: da regazzino ero completamente fuori dal pop, tranne che per il singolo di "Get Busy" di Sean Paul che mi passò alle medie il mio amico Massimiliano De Angelis. E quindi, quando recentemente mi hanno fatto ascoltare senza ironia "Mary" dei Gemelli Diversi, ci sono rimasto un po' di merda. Il ritornello mi era entrato in testa anche senza effettivamente aver quasi mai ascoltato il pezzo, come penso sia capitato a molti. Fermiamoci però un attimo ad analizzarlo: senza troppi giri di parole, è un'esplorazione della psiche di una ragazza eroinomane molestata dal padre. È una storia a lieto fine, ci mancherebbe dato che è il singolo di una boy band, ma la visione del video ufficiale ha a tratti la stessa piacevolezza di un ipotetico documentario sulla vita e le opere di Josef Fritzl.

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Il video si apre con il classico disegno che i bambini molestati mostrano al loro psicologo quando questo gli chiede di spiegarli come va a casa, osservato da una madre in lacrime. Mary "è andata via, l'hanno vista piangere". Il padre, canotta e catenazza d'oro, entra nella stanza e strappa il disegno della figlia. In una serie di Flashback, osserviamo Mary che viene picchiata, Mary che fa vedere a sua mamma che si fa le spade, Mary che si fa consolare da un Gemello Diverso che vive nell'appartamento accanto, Mary in mutande buttata sul letto dal padre con primo piano delle situazione e orsacchiotto buttato per terra annesso. "Quella bestia non è il mio papà", chiude il ritornello.

E poi, dal nulla, arriva l'ultima strofa: chitarrina acustica, toni caldi, Mary che lavora come paninara fuori dallo Stadio Olimpico, sorride e "bacia la bambina nata dal suo vero amore" (il cui padre ha tra l'altro una barba e pizzetto e dei capelli ingellati che solo una sana educazione perferica degli anni Novanta poteva regalargli). Lieto fine, giù il sipario. Nel frattempo – 2001/2002 – gli NSYNC e i Backstreet Boys avevano singoli in cui parlavano rispettivamente di quanto la loro musica sarebbe durata nel tempo e fanculo gli hater e di ricevere una chiamata da una tipa e far serata. Chi aveva le boy band migliori, eh America? EH?

Tornando indietro negli anni, spezzerei una lancia a favore di Lu Colombo e della sua "Maracaibo" – canzone che ai più fa venire in mente il bel faccione di Umberto Smaila e una serata tra raglie e modelle al Pineta di Milano Marittina, ma nasconde in realtà una trama da film che neanche i clip di McBain nei Simpson. Protagonista è una ragazza cubana che fa la trafficante d'armi e, per nascondere le sue attività, fa la ballerina. E si fa nientepopòdimenoché il signor Castro, come testimonia il live qua sopra. Sulla versione registrata arrivò infatti la censura discografica e "Fidel" venne cambiato in un generico "Miguel", ma comunque: Fidel è impegnato "in cordigliera", e la zia si fa tale "Pedro", che decide di spararle quattro colpi di pistola appena scopre di essersi beccato le corna. La tizia sopravvive, apre un bordello, si da' a "rum e cocaina", diventa obesa fino a pesare "centotrenta chili", offre "la sua pelle nera" a chiunque le faccia ricordare il suo passato felice e stop, titoli di coda. Un finale così depre e crudo che renderebbe felice Lars Von Trier.

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Altre lezioni di pop scomodo ci arrivano dai Decibel di Ruggeri, il cui secondo LP autointitolato fu perfetta trasposizione pop delle sonorità e delle tematiche che avevano trattato nel loro esordio Punk, che chissà a che genere si rifaceva. Tutti conosciamo "Contessa", ma sullo stesso album c'è, ad esempio, "Sepolto Vivo": che tratta esattamente l'argomento che il suo titolo ventila, e contiene frasi come "Non mi serve urlare, c'è troppa terra" o "Graffio con le unghie il legno, ma sono inerme / Mi sembra di sentire un segno… No, è solo un verme". "A disagio" è invece raccontata dalla prospettiva di un tizio che sta venendo internato in manicomio, impazzito nell'attesa di una ragazza che l'ha lasciato inesorabilmente: "Lei è uscita, tornerà immediatamente", ripete Ruggeri senza sosta. "Pernod" è la storia di un alcolizzato, anch'egli mollato dalla tipa: "L'unica cosa che mi resta adesso / È vomitare piano dentro al cesso", dice. Nel 2016, Enrico Ruggeri ha presentato a Sanremo un brano intitolato "Il Primo Amore Non Si Scorda Mai", il cui testo è un'esaltante insalata di parole prese dal campo semantico "Baci Perugina".

LE CANZONI CHE PARLANO DI COSE SCOMODE

Probabilmente non ci avete mai pensato, ma "Maramao perché sei morto?" del Trio Lescano feat. Maria Jottini era, a tutti gli effetti, una canzone pesantemente ironica e antifascista. Uscita nel 1939 e immediatamente onorata con un Best New Music da Pitchfork, "Maramao" incorporava un canto popolare risalente al 1500 e divenuto di uso comune nel Regno di Napoli, con lo scopo di prendere per il culo i potenti. "Pane e vin non ti mancava"… ma sei morto lo stesso, merda. HA! Gli autori del testo moderno—quei due Supermario di Consiglio e Panzeri—fecero quindi una scelta piuttosto ardita nel dedicare, tra le righe, il loro pezzo a Costanzo Ciano, padre del noto Galeazzo, morto il 26 giugno di quell'anno. Il risultato fu relativamente gestibile: censura. Fortunatamente non ci furono misure violente nei confronti dei Marii, se non qualche richiamo ufficiale e un paio di interrogatori. Resta che Panzeri ebbe il privilegio di essere da allora automaticamente considerato da subito, più o meno consciamente, autore antiregime. Il protagonista della sua hit successiva, "Pippo Non Lo Sa" (che, vorremmo far presente, quando passa ride tutta la città), venne infatti identificato con un gerarca dal nome effettivamente molto adatto a fare il gerarca: Achille Starace. E così la resistenza entrava nella musica popolare.

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Il Trio Lescano o, le Pussy Riot ante litteram

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Ora: eravamo nel ventennio, e quindi una repressione verso qualsiasi pezzo anche solo apparentemente di protesta era anche da prendere in considerazione. Più assurda è stata, con il passare degli anni, la capacità dei nostri media di mettere i bastoni tra le ruote a chiunque facesse musica scomoda, causando un generale appiattimento del pop come veicolo di discussione e/o critica sociale fino alla trasformazione in generici e vuoti, vuotissimi proclami anti-politica. Senza entrare nel dettaglio di ogni verso che ha causato sdegno mediatico nel belpaese, ci limitiamo a presentare due casi, uno un po' dimenticato dal tempo e uno decisamente meno: quello dell'ultimo album dei Giganti, Terra In Bocca, e alcuni pezzi degli Elio E Le Storie Tese pre-X Factor.

I Giganti erano una band beat milanese che aveva, diciamocelo, un po' la provocazione nel sangue. Il loro primo singolo di successo e quella che è tuttora la loro canzone più famosa, "Una ragazza in due", aveva un testo innocuo ma un titolo che nel 1965 faceva immediatamente fare il segno della croce a tutte le brave mamme. Ovviamente, arrivò una censura della RAI e un enorme successo di vendite. Tempo due anni e la cosa si ripete: la loro "Io E Il Presidente" viene presentata al Cantagiro e provoca una reazione della censura: parla di un vagabondo a cui "piace pensare che oggi non sono nessuno / Domani il presidente della Repubblica", con annesso un leggero dissing alla questura. Anche qua, grande (e meritato) riscontro di pubblico nonostante i tentativi di repressione, e una carriera lanciata.

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Facciamo un salto in avanti: è il 1971, e i Giganti pubblicano quello che diventerà il loro terzo e ultimo LP, Terra In Bocca, concept sull'omicidio di un sedicenne da parte della mafia siciliana, narrato dal padre. In copertina un cadavere, con una foto del gruppo attaccata con una puntina alla suola della sua scarpa. Non erano ancora gli anni di Saviano e Gomorra, e allora il loro affermare "la mafia è una merda" fece partire non una claque di supporto sociale ma un sano boicottaggio mediatico: le radio si rifiutarono di trasmettere qualsiasi pezzo dell'album, la TV uguale, e i Giganti si sciolsero l'anno successivo.

Se i Giganti ai tempi hanno scelto di abbandonare il logorio del pop piuttosto di continuare per la loro via, Elio E Le Storie Tese hanno invece optato per la semi-omogeneizzazione alle regole della discografia. Da un lato, la loro arma retorica preferita è sempre rimasta la stessa: l'enumerazione di luoghi comuni per fare ironia su fenomeni terrificanti del belpaese, usata spesso in modo decisamente efficace. Gli esempi più importanti sono "(Gomito a gomito con l') Aborto", di cui avevamo parlato qua, e "La Terra Dei Cachi", canzone definitiva sull'italietta, che venne notoriamente scacciata di forza dal primo posto di Sanremo tramite un magheggio col televoto che incoronò l'indimenticabile (hahahahah) "Vorrei Incontrarti Tra Cent'Anni" di Ron.

Nel 2008, dopo diversi anni di relativa quiete, Elio e i suoi uscirono con "Parco Sempione", pezzo di denuncia sulla distruzione del Bosco di Gioia di Milano da parte della Regione Lombardia, che aveva deciso di usare quei terreni per costruire nuovi palazzi amministrativi. Otto anni dopo, ci si rende conto che finire un pezzo di effettivo successo con le parole "Se ne sono sbattuti il cazzo / Ora tirano su un palazzo / Han distrutto il bosco di Gioia / Questi grandissimi figli di troia" era ed è un gesto audace, onorevole e azzeccato. Oggi, però, Elio fa il giudice in TV e la qualità della critica degli Elii è tornata ad essere decisamente più politically correct, scegliendo come oggetti di scherno il concertone del primo maggio aka il festival del bottiglione e le logiche di Sanremo, a cui loro stessi stavano suonando. Pezzi buoni a farsi una risatina, ma al contempo perfetti per non far incazzare nessuno di veramente importante.

A mia memoria, "Parco Sempione" è tutt'oggi l'ultimo esempio di pezzo popolare /passato dalle radio, dalle TV, suonato in giro e relativamente conosciuto su ampia scala capace allo stesso tempo di trattare un fatto di cronaca politica in modo efficace, e quindi in modo specifico. Non prendendosela con il parlamento, o con l'Italia tutta, o la casta o sticazzi: ma con Roberto Formigoni, la sua giunta, e la loro precisa scelta di abbattere un preciso bosco per costruirci sopra dei precisi e inutili palazzi. Nel frattempo, Giuseppe Povia fa il cospirazionista cattolico, Rocco Hunt se la prende con "la politica in TV" e "lo stato", e ovviamente chiunque sia uscito da un talent non può certo uscire con canzoni rischiose: andrebbero contro, oltre che al contratto che ha firmato, al suo ruolo di intrattenitore generico e generale, applicabile all'esperienza di ogni spettatore di SKY o Canale 5, da Siracusa ad Aosta.

Scorrendo all'indietro tra i brani proposti a Sanremo negli ultimi anni, la prima parvenza di canzone effettivamente "scomoda" proposta nel passato recente può essere la pallosissima "Amanda È Libera" di Al Bano, eseguita nel 2011 e arrivata al terzo posto con un testo basato sull'omicidio di una prostituta nigeriana a Livorno. Ma diciamo "scomoda" con le pinze, dato che è un brano che denuncia qualcosa di indifendibile; porta con sé una storia che può essere solo condannata nel suo racconto. Ed è quindi, ancora, omogenea e tranquillizzante per la narrazione mediatica generalista. Quella con cui siamo bloccati, e a cui saremo molto probabilmente, inevitabilmente legati per un paio di generazioni.

A cambiare tutto questo non saremo certo noi con questo articolo, ci mancherebbe. Penso che l'opzione più plausibile per una spiegazione di questa situazione sia il nostro sano ritardo nel fare nostre logiche e strutture culturali e sociali: tra qualche anno, magari, qualche vecchio discografico con l'ufficio a due passi da piazza Missori si troverà in mano un ragazzo o una ragazza a cui lascerà un minimo di libertà artistica, o sceglierà consciamente di proporre un modello di pop diverso da quello che, speriamo, inizierà prima o poi a stancarci. Perché sarebbe davvero bello poter fare come fanno i nostri amici di Noisey UK, che hanno scelto come pezzo migliore del 2015 "What Do You Mean?" di Justin Bieber. E senza la minima vergogna, anzi: celebrando la sua improbabile parabola artistica. Noi intanto mettiamo l'hashtag fuori c'è il sole, che va tutto bene così.

APPENDICE: LE CANZONI CHE OGGI TI FAREBBERO BECCARE UNO SCAPPELLOTTO

Chiudiamo su una nota decisamente più leggera. La vita relazionale di ognuno di noi è il risultato di una continua negoziazione tra la nostra goffaggine e il corpo sociale, con un'impennata vertiginosa negli anni delle medie – quel piacevole periodo della vita in cui la terribile distinzione fighi/sfigati crolla addosso a orde di preadolescenti infoiati – e una progressiva stabilizzazione tra il liceo e l'università. Uno dei momenti più tragici in questa complicata e disumana gara alla sopravvivenza è indubbiamente il temuto scambio mamma-maestra, che tante risate ha fatto scoppiare in classi elementari, probabilmente in individui finiti poi a vivere coi genitori arrivati a 43 anni. E allora è curioso pensare che la concezione passata di "musica per giovani" autorizzava senza problemi un brano che esordisce con "Mamma, tu non sai / La mia ragazza è bella come te". E non solo: "Nei suoi occhi io vedo / L'amore sincero che ha per me". Lo sentite, quel brivido nella schiena? A cantare è Gianni Morandi, all'epoca aspirante al ruolo di "clone di Jim Carrey in Scemo E Più Scemo".

Co-autore di quel testo è Franco Migliacci, che ha scritto un paio di canzoni che potreste aver sentito tipo "Nel blu dipinto di blu" e "Tintarella Di Luna" con Modugno, "La Bambola" di Patty Pravo e sia "C'era un ragazzo che come me…" che "Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte" sempre del Gianni nazionale. Ma, per ogni verso indimenticabile, Franco ne ha scritti tre da mani nei capelli – fomentando un filone all'epoca probabilmente percepito come ironico-leggero, ma oggi decisamente improponibile. "Patatina", scritta per e con Gianni Meccia, era un singolo pop che oggi non potrebbe essere niente di più di una filastrocca da asilo. Idem per "Pussy", di Jimmy Fontana; il livello linguistico dell'Italia di allora certamente non lasciava spazio ad interpretazioni scabrose, e la parola era usata come vezzeggiativo. Qualche equivalente semi-contemporaneo c'è: Valeria Rossi, DJ Francesco, Il Pulcino Pio. Ma tranquilli che di quelli non ci mettiamo a parlarne. Per ora.

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