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Musica

Lo Stato Sociale non farà mai un disco krautrock

Perché sennò non sarebbero più loro, dai, è ovvio. Però abbiamo provato a consigliarglielo.
Sonia Garcia
Milan, IT

Dal loro Facebook, "in due è amore, in cinquemila di parole non ce ne sono più, grazie, ci avete cambiato la vita", credits: Lo Stato Sociale.

Mi è capitata questa cosa, qualche settimana fa, di andare in giro per Milano, nel suo luogo più agghiacciante dopo i Navigli d'estate, cioè Ticinese, a chiedere agli italiani quale fosse il cantante italiano più insopportabile di sempre. Che gran bella impresa è stata. Contro ogni mia aspettativa le volte in cui è stato nominato Jovanotti/Mannarino sono state: zero. In compenso però una o due persone hanno tirato in mezzo il gruppo indie pop bolognese preferito da Birsa, cioè Lo Stato Sociale—e comunque o erano loro o I Cani. Al nostro tweet, quel giorno, hanno risposto con un interesse che non poteva essere ignorato, e infatti non l'abbiamo fatto, anzi. Il buon Mattia Costioli si è mosso alla svelta per organizzare un'intervista, ed eccoci al dunque.

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@Noisey_IT interessante,ma già che volevate citarci, tanto valeva intervistare almeno uno che ci odiasse, a costo di cercare in redazione

— Lo Stato Sociale (@lostatosociale) 14 Maggio 2015

Ogni volta c'è sempre quel sottile lembo di mortificazione nel dover specificare che non ho—né abbiamo—alcun interesse narcisista a dover parlare di loro nel giugno 2015, a un anno esatto dall'uscita del loro ultimo album L'Italia Peggiore. Però ecco, del genuino interesse nell'andare direttamente alla fonte e farsi raccontare com'è esistere e coesistere con se stessi quando si fa parte di un gruppo come Lo Stato Sociale, c'era. Così ieri pomeriggio li ho incontrati tutti e cinque al Carroponte, mentre si stavano preparando per il loro imminente live serale, affiancati da mezza Garrincha Dischi—mia etichetta preferita—cioè Costa! e Magellano, tutti lì a pascolare pacificamente nell'afa. A fine intervista sono dovuta scappare perché avevo una cena ed ero in ritardo, ma dubito sarei rimasta a vedermi il concerto. I motivi sono più o meno sparsi qua sotto (nella parte in grassetto).

Noisey: Alla fine è nato tutto dall'articolo sui cantanti odiati, no? La gente vi ha nominati un po' di volte e vi siete sentiti presi in causa. Perché secondo voi ce l'hanno con voi?

Lodo: In quello specifico caso faceva ridere la didascalia di Twitter, in cui eravamo nominati come i più odiati, e poi nell'articolo la gente si riferiva a noi dicendo "Ah sì, Lo Stato Sociale, mi piacevano di più prima…" Quindi in realtà era tutto molto più all'acqua di rose.
Enrico: Ma menomale, sennò vorrebbe dire che non abbiamo fatto niente. È legittimo no? Quasi fisiologico che a qualcuno possiamo stare sul cazzo. Il perché non lo so, io sono una persona molto tollerante e non è che ho molte cose o persone che mi stanno sul cazzo.

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Non credo si parli di persone, ma di contenuto e valore artistico.
Enrico: Sì, pure su quello sono molto tollerante. Certe persone non lo sono, e hanno il diritto di non esserlo, per carità, secondo me la cosa si esaurisce qui.
Lodo: Io credo che in generale abbiamo sollevato grandissimi entusiasmi e in percentuale molto minore, grandissimi momenti di profondo scorno, cioè di profonda intolleranza. Questo secondo me è interessante. Non è una cosa per cui delle persone si sono limitate a dire "Ascolto altro", è una cosa per cui tutti quelli che ne hanno avuto a che fare, e quindi non tutta Italia, dato che non è che accendi la radio e ci trovi Lo Stato Sociale, si sono sentiti in dovere di dire la loro sul perché questo tipo di successo sia intollerabile e inaccettabile. Quando fai qualcosa che per qualcuno è inaccettabile, probabilmente stai facendo qualcosa che prima non succedeva. Se fosse successa prima sarebbe stata banalmente accettabile.

Questo non è sempre detto.
Lodo: Invece è abbastanza evidente, perché vuol dire che c'è un precedente.

Boh??

Sì, ma anche fosse si tratta sempre di fotografie di realtà che prescindono da quante volte siano state scattate in precedenza.
Lodo: Sì, non puoi prendere una cosa isolata dal suo contesto. Quello che c'è stato prima e quello che c'è stato dopo influenza quello che c'è nel momento in cui c'è. Nel giudizio che hai questo interviene per forza di cose, e se fai qualcosa che spezza un po' in parte vai a finire su questo meccanismo, che porta le persone ad avere un'opinione su di te e sul tuo operato artistico in virtù del fatto che è arrivato a volere esprimere un'opinione su quello. Questo è successo non semplicemente perché siamo una moda o siamo famosi, ma per un processo di cose che porta ad essere una parte di noi a essere una moda, una ad essere famosi, una a fare canzoni, una ad andare sui palchi a fare le cose.

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Ho letto la descrizione che vi siete dati sul blog del Fatto, in cui affermate di essere prima che un gruppo, cinque amici che hanno tirato su un progetto musicale/teatrale e che di base "non sa suonare".
Albi: Di sicuro quando abbiamo iniziato non sapevamo suonare.
Bebo: È anche una roba che abbiamo scritto tre anni fa, e comunque Enrico è diventato "quello che sa suonare". No, non è vero, è ironia.
Enrico: Io a diciannove anni ero bravissimo…

Be', quindi mi dite che c'era dell'ironia?
Checco: No no, era come sono andate le cose. Col tempo abbiamo imparato poco a poco, ma non siamo musicisti tecnici virtuosi o chissà cosa.

Vi avvalete dei testi e dei messaggi al loro interno.
Lodo: Tanta gente ci ascolta e si diverte senza alcun interesse all'aspetto musicale.

Quindi il vostro scopo è divertire o rappresentare qualcosa, denunciarla?
Lodo: Il nostro intento è mettere in campo quello che siamo capaci di fare e che vogliamo fare. Però grazie al cielo ci sono delle cose che sono mononucleari, e ci sono delle cellule un po' più complesse. Come gli strati della cipolla, c'è uno strato molto superficiale in quello che facciamo, che è anche un po' simpa in tanti momenti.

Simpa?
Lodo: Un po' immediatamente accattivante, divertente.
Checco: Un po' paraculo.

Quindi riconoscete che quello che fate a tratti ha degli elementi paraculi? Mi ero scritta un testo da farvi leggere, aspettate…

"Non t'amerei senza perdere i denti, senza asfalti roventi o meritevoli agenti vivi ancora per poco, se l'isteria dei collocamenti, gli spari sugli studenti, per te non fossero altro che un gioco. Non t'amerei senza macchine che vadano a fuoco."

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Per voi c'è del paraculismo nell'affrontare, in questo caso, il tema dell'impegno sociale e/o politico?
Lodo: No io trovo che quella canzone nello specifico racconti una cosa molto particolare e che secondo me, è stata vissuta da gran parte della nostra generazione. Cioè il fatto che a un certo punto tu che sei lì, che da anni fai politica, da anni credi in un movimento etc, per un gesto di sopraffazione di qualche tipo, butteresti tutti quegli anni all'aria per riuscire ad avere una liberazione violenta, in quel momento lì. E questa è una cosa che penso sia molto difficile da leggere in quella canzone. Trovo che sia molto complessa, ma quello che è bello è che uno viene qua e se la balla volentieri, quindi c'è quell'aspetto più superficiale che emerge.

Ecco. In questa superficialità di linguaggio trovo della ricorrenza, sia in voi, che in tutta la generazione e corrente cantautorale indie di questi ultimi anni. E la contraddizione di fondo a mio avviso è sempre quella, cioè il trarre vantaggio dallo stesso sistema che si sta a denunciare.
Lodo: Non ho capito, quindi noi denunciamo il fatto che ci siano delle canzoni ballabili nel mondo?

No. Il modo in cui affrontate certi temi, che voi definite simpa, viene visto come una denuncia ironica di un mondo, fatta con strumenti che sono parte integrante, se non fondante di quello stesso mondo. Un esempio un po' più diretto è "Sono così indie".
Lodo: A me quella canzone sembra più un coming out che una denuncia.
Albe: Non è che deve essere tutto pesante per forza, anche quando denunciamo delle cose.

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Infatti non credo sia il vostro caso. Lo stile vostro è uno, ben distinguibile e tutt'altro che "pesante".
Albe: Bisogna distinguere tra le cose facili e semplici, quelle importanti delle con ironia, insomma, non c'è solo un canale per dire le cose.
Bebo: Nei termini che proponi tu, la forma "indie" di "Sono così indie" è anche un modo per rompere di più i coglioni, forse. Poi bisogna vedere, io l'ho scritta non perché pensavo di tirare in mezzo delle persone altre da me, nel senso che io quella roba la facevo. Parlavo di me al novantanove percento di quelle righe, perché vivevo quel mondo, ed ero interessato e innamorato di quel mondo, con tutti i suoi difetti. Era una passione, ma non cieca. Riconoscevo gli stereotipi che mi portavo dentro e in parte acquisivo. Chiaro che poi quando la butti giù, è bello vedere l'effetto che può fare parlare all'ombelico, cioè di qualcosa rivolgendola a se stessi. Chiaro anche che ha a che fare con un'autoreferenzialità gigante, o un'autobiografia.
Lodo: È un pezzo che si basa di per sé sulla costruzione autoironica e autoreferenziale, sennò non sarebbe esistito. Senza la voglia di prendersi in giro non avrebbe avuto senso farlo.
Bebo: Potevo chiamarlo tranquillamente "Sono così Alberto Guidetti".
Albe: Hai preso un esempio che è particolare, in realtà su ogni pezzo nostro ci si potrebbe fare un discorso a parte, perché al contrario di quello che noi pensiamo e al contrario di quello che dicevi tu prima, non abbiamo un unico modo di fare le cose, nel nostro piccolo. Anzi, ce ne sono tanti, e ogni canzone nasce in maniera diversa l'una dall'altra.

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Dal punto di vista musicale dici? O di testi?
Tutti: Di dinamica interna, sia dall'attitudine dei singoli componenti alla stesura dei testi.

Però non potete negare che fa tutto comunque parte di un unico immaginario stereotipato, non uscite da quel tipo di cantautorato di nuova generazione di cui parlavo prima.
Lodo: Invece è un immaginario molto composito. Adesso non so quante persone ci siano in giro che fanno un pezzo parlato con quattrocento parole, un pezzo in cui c'è un'altra voce e si ha del vero reggae, un pezzo in cui invece c'è il bel canto, uno in cui si parla di politica e uno in cui si fa per ridere, uno improvvisato…

Quindi voi definite alcuni dei vostri temi propriamente "politici"?
Lodo: È evidente che c'è della politica dentro, non credo sia difficile da leggere. Tutto è politica, anche non parlare di politica è una scelta politica, questo è abbastanza banale, però i riferimenti che facciamo sono ancora più espliciti. Politica significa che siamo qua per estendere un programma elettorale? No, grazie al cielo e per fortuna di tutti gli altri che non hanno da votare noi, e per fortuna anche nostra che non siamo capaci. Siamo qui e portiamo un punto di vista che è anche politico sul mondo? Sì. Lo facciamo per metafore? Quasi sempre. Perché lo facessimo chiaramente staremmo chiedendo dei voti. Lo facciamo creando un canale di comunicazione empatico con molte persone, che comunque hanno bisogno di credere che abbia senso ragionare in termini collettivi. E questa è già l'azione politica principale.

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È molto chiaro, quello che però io vedo come limite è la sterilità propositiva di tutto questo ingranaggio metaforico e autoreferenziale, circoscritto a se stesso. Non è solo vostro eh, ma di tutta quella fetta di indie pop cantautorale, appunto, che instaura questo tipo di dialogo con il proprio pubblico.
Lodo: È chiaro, perché il lavoro non dobbiamo farlo tutto noi. È ovvio che è uno strumento circoscritto, e sono pronto a inciderlo sulla pietra.

Ok, io lo trovo poco originale, non so tu. Non è neanche una questione di stile musicale, non deve per forza essere tutto indie con chitarre e voci sbarazzine. Anche lo screamo attuale, in Italia, è spesso così. Si mantengono le strutture rigide di forma e contenuto, in questo caso non so, il nostalgismo generico e l'urlato, e il risultato è il medesimo.
Bebo: Come in tutte le scene musicali eh. Io comunque continuo a pensare che noi non lo facciamo, abbiamo una tale varietà…
Albe: Queste strutture rigide le vorrei proprio avere, anzi. Delle volte non ci capisco più un cazzo e chiedo loro, "Dai, lo facciamo un disco krautpop?

Eh, perché non vi mettete a fare un disco krautpop? Cioè, krautrock, diciamo.
[Tutti che rispondono contemporaneamente] Perché non è l'attitudine nostra, perché non saremmo noi… perché non…

Non vi piace?
[Tutti] No… A ognuno piace qualcosa di diverso…
Checco: Siamo in cinque, cioè, e dobbiamo essere tutti d'accordo… si mescolano tante cose.

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Quindi ormai è come se vi foste creati questo personaggio "Stato Sociale" che non può andare oltre certi canoni da voi impostati in passato.
[Tutti] No…
Checco: Sono dinamiche interne.
Bebo: Puoi fare tutto idealmente, però è chiaro che ognuno ha idee diverse e se uno potesse decidere per gli altri sarebbe una monarchia, e non si avrebbe libertà di spaziare tra varie menti come facciamo invece ora. C'è sempre una politica di compromesso a livello stilistico costante, poi vive anche dell'evoluzione delle nostre persone. Quindi se il disco uno e il disco due sono stati fatti in una certa maniera, il disco tre sarà fatto in un'altra maniera ancora.

Ve lo dico perché quest'anno mi sono imbattuta in un artista che, benché in passato abbia fatto parte di quello scenario indie pop descritto sopra, ha dimostrato di averlo superato sia a livello di forma che di contenuto, evolvendosi in qualcosa di più sperimentale e quindi—a mio avviso—più interessante. Parlo di Iosonouncane.
Bebo: A te non piacciono le parole però.

Certo che mi piacciono, ma qui parlo, per esempio, di un approccio strumentale alla musica ben più profondo e complesso rispetto a quello originario. Io personalmente l'ho apprezzato molto.
Enrico: Posso dire? Ci ha messo cinque anni a fare quel disco lì. C'è voluto tempo per pensare, sperimentare, provare e riprovare.
Albe: È anche una persona sola che decide per sé.
Checco: Si battezza una via, decide cosa vuole fare, in che direzione vuole andare, ma poi non lo sa bene neanche lui. Pian piano poi le strade si creano. È come scrivere le canzoni in cinque alla fine.
Lodo: Di sicuro c'è una differenza fondamentale. Noi come moltissimi altri abbiamo creato un canale di interlocuzione molto vivo con una fetta ampia di persone. Ignorare l'interlocutore non è mai un'azione scenica interessante, quindi se noi domani ce ne fottessimo del tutto di cosa abbiamo detto fino a un secondo fa sarebbe insensato.

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Certo che è incoerente ignorare ciò che abbiamo fatto in passato, ma ciò non vuol dire che non si possa ambire a una crescita interiore, culturale o artistica che sia. Anche io muto costantemente gli interessi musicali che ho, ad esempio dall'anno scorso a ora sono davvero cambiati. Però ecco, era per dire che per me l'ambiente in cui militate mi continuerà a sembrare troppo sterile e autocompiacente, se non si muoveranno cambiamenti perlomeno stilistici.
Albe: Io non lo conosco questo ambiente indie di cui parli, continui a nominarlo ma non so cosa sia.
Lodo: Ti solleciterei a notare che tutto sommato, in un paio di dischi e in un paio di anni, siamo andati a prendere delle persone che prima non andavano ai concerti, e non sapevano neanche esistesse questa cosa. Ignoravano di poter fare questa cosa qua. E ora si trovano in una situazione che dà risposte molto più positive di pancia e di intelligenza collettiva. Alla fine questa è l'unica intelligenza interessante che abbiamo ancora, incredibilmente, in questo paese.

Per intelligenza collettiva e condivisa ti riferisci a un insieme di menti affini che vanno a formare una "scena"?
Lodo: No, non ti sto parlando di nessuna scena. A me di quella a cui hai fatto riferimento te non mi interessa niente.

Non parlavo di quella nello specifico, ma di una a caso formata da tante teste che ragionano allo stesso modo e si identificano nelle stesse cose.
Lodo: Sì, o anche solo tante persone che hanno un motivo per uscire di casa, in un momento storico in cui il dato più importante è stare di fronte al computer e raccontare se stessi convinti di fare una rivoluzione su Internet. Da Grillo fino a scendere. Probabilmente a differenza di tante altre cose che sono successe fino ad adesso nel mondo della musica, cioè viaggioni molto chiari dentro il dramma e dentro l'autoironia, adesso abbiamo una situazione in cui in un momento sembra di essere in uno spettacolo di cabaret demenziale, un attimo dopo sembra di saltare a un concerto punk, un attimo dopo ancora sei col dito su a gridare qualcosa che per te assomiglia a quello che nel 2015 può essere definito come slogan. Tra l'altro, domanda interessantissima da porci tutti noi, cosa può essere nel 2015 uno slogan?

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Mmh. In realtà mi stavo interrogando sulla natura delle realtà artistiche che tu riconosci nella vostra musica. Hai parlato di concerti punk, ma i concerti punk veri sono molto diversi dai vostri. O in generale la musica lo è, e così l'effetto che crea nell'ascoltatore. Stai usando della terminologia azzardata, o forse solo ingenua.
Lodo: Non credo perché quando delle persone un attimo prima sono da una parte e un attimo dopo stanno saltando l'una contro l'altra tirando giù delle transenne e facendosi male, stanno comunque creando una situazione che dal punto di vista dell'auditorium assomiglia a quella cosa lì, del punk. Che poi sopra ci sia il synthino o no, è un discorso del tutto marginale.
Enrico: Ci sono anche gruppi punk con i synth…

Sì, il synth punk esiste.
Lodo: I Camillas sono molto più punk di tutti i gruppi punk in Italia.

Perché i Camillas?
Lodo: Sì, almeno per come intendo io il punk. Quando una cosa che nasce con l'intento di rompere gli schemi e il come si fa le cose, proclamando la più profonda autonomia di pensiero e d'istinto, diventa uno schema da riprodurre sempre uguale per quarant'anni, quella cosa muore. Quasi tutto quello che assume un codice ristagna. Se poi è il punk, che dovrebbe essere la rottura dei codici, è veramente la sua morte, il suo funerale, il suo anniversario, etc.

Aldilà dei Camillas… pure voi vi definireste "punk"?
Lodo: Noi siamo molto meno punk dei Camillas. I Camillas fanno veramente quello che gli pare. Noi cerchiamo di fare quello che ci pare, ma abbiamo una cura per questa interlocuzione con il nostro pubblico, che è molto meno "Vaffanculo, entro nel mio viaggio."

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Avete a cuore il vostro pubblico quindi. Già che arriviate a definire certi vostri testi come slogan è indicativo del rapporto che avete con loro.
Lodo: Credo che trovare delle sintesi di concetti ampli e sentiti collettivamente sia una bella missione. Poi magari quelle sintesi fanno cagare, però è una missione da assumersi.

Funziona per chi ha ancora quell'approccio, perdonatemi se lo ripeto, cantautorale più conservatore, in cui si dà importanza quasi esclusivamente all'uso virtuoso delle parole. Molti messaggi si possono trasmettere anche senza, ovviamente.
Lodo: Sì, su questo siamo d'accordo. Però non ho capito cosa intendi per cantautorato.

Quell'ecosistema in cui i gruppi/artisti cantano e suonano canzoni che si sono scritti in passato, nel più classico e ovvio dei modi. È da sempre esistito, è ovvio quindi che mi riferisco a quelli di recente formazione e che quindi si rivolgono alla loro contemporaneità con strutture musicali se non rigide, sicuramente non originali.
Enrico: Secondo te Iosonouncane non è cantautorato? Certo che lo è, ma in lui ho visto un'evoluzione stilistica, originale. A differenza che ne so, dei vari Mannarini o Brunori SAS.
Albe: Quello è un modo di fare cantautorato abbastanza classico, abbastanza italiano. È tutto sul filone della canzone popolare classica.
Lodo: Sì, noi cerchiamo di fare delle canzoni popolari, nel senso che siano facilmente intellegibili da una larga collettività e possano, mantenendo le peculiarità nostre, attraversare un minimo le menti.

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Quindi non vi ponete in nessun momento contro a questo sistema di cui fate parte? Non ne vedete le criticità?
Lodo: Come mai ne parli come se fosse una cosa brutta?

Perché molti lo fanno, molti sono ipercritici verso questo mondo, ma, come dire, ci mangia su. Vedi I Cani.
Lodo: Ah, noi siamo persone che amano l'aggregazione. Sarà molto difficile avere mai un intento disgregatore.

Ok, quindi da questo punto di vista è molto onesto il vostro lavoro, non c'è niente di subdolo nella vostra volontà aggregante. Questo era già emerso qualche tempo fa.
Lodo: A noi non piacciono quelli che fanno i professori, né su un giornale né tantomeno in musica. Noi non siamo mai stati professori, e personalmente non trovo subdolo quello che fa Niccolò, che peraltro è più grande di me. Scusa, sono un po' sensibile con l'età ora che mi sto avvicinando ai trenta.

Tranquillo. Lo dicevo solo per analogia di linguaggio adottato, sia da lui che da voi, che riconoscerete avvalersi della sua stessa (auto/post)ironia.
Lodo: Anche nei risultati questa cosa porta a un'aggregazione più larga, e poi devo essere onesto, non sono mai stato a un suo concerto. Quello che so è che aldilà dei numeri, noi prendiamo una parte di pubblico che proprio non c'entra niente con I Cani. Proprio per niente.

Lo pensi davvero?
Lodo: Sì.
Checco: Sicuramente c'è una sovrapposizione, ma non così assoluta.

Be', in effetti la grossa differenza è che a voi questa scena forse calza a pennello e la vostra ironia nei suoi confronti è, appunto, aggregante e non disgregante.
Lodo: No, a noi di questa scena qua non frega niente, perché per noi non sono interessanti le categorie musicali. A me interessa l'indipendenza a confronto con l'industria. A me interessa sapere che i No Braino, che fanno una cosa che non ascolto, fanno il disco con il loro cazzo di discografico in casa, lo portano in giro col furgone, lo vendono ai banchetti, e tutto quello che costruiscono lontano dai percorsi dell'industria. O della radio e della televisione che si riciclano da sole eternamente, promuovendo prodotti invendibili e incomprabili. Il fatto che uno prenda il suo dischetto fatto con due lire, lo porti sulla strada e lo faccia diventare qualcosa è un meccanismo che a me affascina. Lì c'è del buono.

Lo capisco, ma a volte capita di dare importanza al contenuto, a ciò che stai creando e facendo girare in quelle esatte modalità indipendenti, più che a queste ultime.
Lodo: Sì chiaro, ma c'è una presunzione di oggettività sul contenuto che secondo me è una presunzione stupida. Io non ho le categorie e nessuno le ha, per dire che i No Braino facciano merda. So che non piacciono a me, ma il loro percorso è qualcosa che merita rispetto e va salvato.

Per me il confronto, anche arricchito da queste "presunzioni" di cui parli, è indispensabile, in questi casi.
Lodo: In nome di che?

Di un'onestà intellettuale che si possa definire tale!
Lodo: Allora sono onesti anche quelli che pagano i biglietti per andarseli a vedere, non è che sono disonesti.

Certo, ma se si instaurano dialoghi costruttivi sono necessarie anche le opinioni. Ad ogni modo, una cosa che non ho capito è un'altra. Voi con la vostra musica, sentite di essere portavoce di una fetta di Italia o lo fate per voi e basta?
Lodo: Non rappresentiamo nessuno, sono gli altri che si sentono rappresentati.
Bebo: Sicuramente riuscire a fare quello che facciamo, andare in giro tra di noi amici, e suonare è bello.

Quindi se non rappresentate nessuno, che urgenza avete avuto di cominciare a fare questo tipo di musica, con questi strumenti?
Lodo: Ah, guarda quello è stato un insieme di cose che sono capitate fortuitamente, delle quali tentiamo di dare delle spiegazioni solo ora. Come abbia fatto la nostra chiacchiera da bar, o il rifugio di casa sua, a essere in qualche maniera rappresentativa per così tante persone, spesso me lo chiedo.

Anche le scelte "simpa" di non cantare sempre, ma parlare, sussurrare, etc, sono strategie già sentite.
Lodo: Ci sono pezzi cantati, altri completamente parlati e senza melodia, poi alcuni con tre voci che si rimbalzano e altri ancora decisamente recitati.

E perché queste precise scelte? Sembra che sia più un ripiegamento verso opzioni più facili, rispetto al solito canto. Sempre questa immagine dell'impegno/non impegno.
Lodo: Perché è la scelta di fare stilisticamente cose diverse, e perché ci va di fare tutte quelle. Nel caso mio specifico c'è da dire che non sono mai stato bravo a cantare.

Be', un altro strumento per comunicare senza filtri è il rap.
Lodo: Sì, ma probabilmente non sarei stato bravo neanche a fare quello. E poi semplicemente non mi interessava.
Bebo: Magari qualche pezzo rap l'abbiamo pure fatto…

Sì, potenzialmente lo storytelling vostro può assomigliargli, anche qui conta molto la semplicità pop delle vostre "basi". Per me dovreste osare un po' di più, a prescindere da quello che poi potrà pensare il pubblico. Magari non nel rap, ma in qualcosa di più sperimentale a livello sonoro, neanche più linguistico.
Albe: Beh, sicuramente se abbiamo un po' di tempo lo facciamo. A noi va bene che piaccia alla gente e che ne sia felice.

Non tutti lo sono però.

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