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Musica

La Drum and Bass non morirà mai e Goldie ci spiega perché

"In Regno Unito, il movimento rave ha fatto crollare ogni barriera. Nessuno si pestava più, erano tutti più tranquilli": uno dei più grandi DJ drum and bass di sempre racconta i suoi anni d'oro.
goldie

Negli anni Ottanta, Clifford «Goldie» Price sbarcò a New York City, si fece mettere 32 denti d'oro e si costruì una reputazione super seria. Al suo ritorno in Gran Bretagna, scoprì i rave e la breakbeat—una scena nella quale si sarebbe poi totalmente immerso, prima come DJ, poi con la sua label Metalheadz e il suo primo album Timeless. 20 anni dopo, Timeless suona ancora come se arrivasse da un futuro cromato e pieno di luci al neon. Per questo motivo Goldie ha deciso, non molto tempo fa, di riadattarlo in un progetto speciale. Abbiamo chiesto all'ex B-Boy di Wolverhampton di raccontarci i com'è crescere in compagnia di generi come la jungle e la drum & bass.

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Quando stavo a NY, stavo in fissa con Kool G Rap & Polo, KRS-One, e tutte quelle figate che giravano lì negli anni Ottanta. Avevo diciannove, vent'anni all'epoca, e il giro hip-hop mi sembrava una cosa gigantesca. Sono partito da Wolverhampton per andare a New York, e poi ho fatto tappa a Miami e alla fine mi sono stabilito a Londra. Quando sono tornato in Inghilterra, ho realizzato che qualcosa era cambiato. Allo stadio la gente si prendeva le paste, tant'è che quasi non c'erano più risse.

"Quando sono tornato in Inghilterra, ho realizzato che qualcosa era cambiato. Allo stadio la gente si prendeva le paste, tant'è che quasi non c'erano più risse."

Ero tornato per il funerale di mio padre, ma non avevo assolutamente intenzione di tornare nelle Midlands, quindi sono rimasto a vivere a Swiss Cottage, Camden, con Gus Carl—il cameramen con cui ero andato a New York. Là ho incontrato Kemistry, una ragazza con lunghi dreadlock biondi, che lavorava da Red or Dead. E sopra il suo negozio c'era Zoom Records, dove andavamo a comprarci i dischi. La incrociavo praticamente tutti i giorni e ogni volta provavo a interagire con lei. Un giorno mi fa: "Vado alla serata Rage tutti i giovedì. Ci vediamo lì se ti va."

Ovviamente ci vado, con il mio look da B-Boy e il mio piumino a tre-quarti che mi arrivava alle ginocchia. Faccio la coda e il tipo all'ingresso, che si chiamava Churchy, mi guarda e mi fa "Non stasera, mi dispiace." Quel figlio di puttana mi aveva rimbalzato! Zio, io arrivo da New York! Pazienza, torno lì il giovedì seguente e ancora quello dopo. Alla terza volta mi fa entrare, Kemi mi ha fatto mettere in lista. Ero finalmente entrato nel giro. Lì dentro vidi per la prima volta gente ballare su un genere musicale che non avevo mai sentito. Me ne stavo seduto in un angolo, a sudare come un cazzo di maniaco e a guardarmi intorno. Mi dicevo "cazzo, cosa ci faccio tra questi deficienti e questi minchia di laser dappertutto?" E fu lì che sentii per la prima volta quel disco: "Visions of Rage" di Dragon Fly.

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Se dovessi nominare l'inno breakbeat per eccellenza, sarebbe di sicuro questo disco. È come se avesse tutto lo spirito di quel tempo dentro di sé. Alla fine è lì al Rage che ho preso la mia prima pasticca, sono uscito di testa et voilà.

Un sabato Kemi mi diede appuntamento all'Astoria, per un live di Manix. E quello è stato il vero momento di svolta. È lì che mi sono detto: "Ok, io voglio fare questa roba." Ho intercettato Mark dei Manix mentre era ancora sul palco, lui mi guarda tipo "chi cazzo è questo?" e gli ho detto: "Voglio fare un artwork per voi, ragazzi." Due settimane più tardi li ho beccati e ho ridisegnato il logo della loro label, Reinforced.

Dopodiché ho detto a Mark: "Sai che so anche suonare?" Avevo un po' di mixtape che avevo registrato su WBLS e Kiss FM a New York. All'epoca facevamo breakdance e avevo investito tutti i soldi tirati su vendendo erba per pagarmi qualche giorno in studio e fare un grosso mélange di tutti i miei pezzi breakbeat preferiti. Mark Rutherford, dopo averli ascoltati, mi fa: "Zio, hai riempito due sampler S-1000. Non conosco molta gente che raccoglie tutti sti sample. Cosa te ne farai?" E io gli ho risposto: "Non preoccuparti, so quello che faccio, vengo dalla strada, mi so organizzare!" E infatti poco dopo è uscito Killa Muffin, il mio primo EP per Reinforced.

Prima di quel momento ero già stato in Islanda con Ajax Project, e lì avevo registrato con un tipo che si chiamava B, che ora purtroppo non è più tra di noi. Grazie a quel disco Reinforced ha iniziato a fidarsi di me—ed era un white label, che si vendeva di mano in mano. Il mio amico Chris aveva un negozio di dischi su Green Lane che si chiamava Music Power. Grooverider ci passava sempre, al mercoledì, prima del Rage, per tirare su, appunto, dei white label, quindi io, Kemi e Storm ci siamo precipitati lì per intercettarlo. Gli stampi sul disco li avevamo fatti con una patata e ce n'erano 1000 copie in tutto.

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In Regno Unito, il movimento rave ha fatto crollare ogni barriera. I miei amici erano calciatori violenti ma poi hanno iniziato a drogarsi. Nessuno si pestava più, erano tutti più tranquilli. Il giorno e la notte.

Dopodiché ho incontrato Rob Playford, fondatore della label Moving Shadow—i Kaotic Chemistry erano una bomba incredibile. Ero pure affascinato da 2 Bad Mice, sempre di casa Moving Shadow. Quel Rob era riuscito a mettere insieme un bel po' di artisti molto validi, come Nookie, 2 Bad Mice, Foul Play. Rob non produceva, ma era un ingegnere del suono fantastico. Solo lui poteva aiutarmi a raggiungere il mio scopo, ed è appunto con lui che ho scritto Timeless.

Di base, Timeless era composto da tre dischi: Timeless, Inner City Life e Jah—ma Rob sembrava scettico. Hai mai sentito parlare di rimastoni? Alcuni ragazzi non riescono a uscire molto bene dalle serate in cui si tirano giù le paste, rimangono come incapaci di razionalizzare le proprie idee, i propri progetti. Bene, io ero esattamente così. E Rob era il tipo sobrio e scettico di cui avevo bisogno. Quando mi perdevo lui sapeva cosa dirmi. Questa tensione tra noi due era molto importante—tanto che è stato lui a darmi le basi sulle quali, in seguito, ho potuto basare il mio progetto. Timeless era il mio primo album, e non potevo rischiare di fare una cosa a metà, dovevo darci giù duro, durissimo. Non potevo sbagliarmi e, fortunatamente, avevo un po' di esperienza alle mie spalle: quei 10 anni di cultura breakbeat era rimasta nelle mie tasche. Era da lì che venivo.

Sono passati trent'anni da quel momento. In molti mi chiedono quale sarà il futuro della drum and bass. Non c'è un cazzo nel futuro, ragazzi. Quello che si vuol fare, lo si deve fare oggi. Il futuro è oggi. Per molti la fonte è stato il reggae: sì, è stata una componente importante del tutto, ma non è solo questo. La drum&bass è un mix di tante cose: jazz, blues, punk, reggae, soul, hip-hop. Abbiamo preso elementi da ciascun genere, le sonorità che ci interessavano, e ci abbiamo fatto un vero Terminator sonoro. Abbiamo costruito una macchina che è sopravvissuta ai tempi e alle mode. Un leviatano. Non può morire, è troppo forte. Ed è per questo che è l'adoro.

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